ITALIA

Se il movimento racconta se stesso. Uno speciale sul mediattivismo da Genova a oggi

Sei interviste su tecnopolitica, informazione indipendente e movimenti: da Radio Gap a Indymedia, da Global Project a Non Una di Meno, protagonisti e protagoniste di una “lunga ondata” di contronarrazione dal 2001 a oggi raccontano la propria esperienza e il proprio punto di vista sul presente


Si può essere attivisti senza occuparsi di media? Verrebbe da dire che la questione non si pone, tanto sono le nostre società e le nostre vite ormai profondamente intrecciate con i flussi di informazione, con le reti di scambio e condivisione: muoversi politicamente significa muoversi dentro un contesto già mediatizzato, significa fare – almeno in una certa misura – anche della tecnopolitica. Come diceva in un’intervista il ricercatore Javier Toret Medina, «il sistema-rete è un “clima sociale”», in cui la cultura militante del ragionare si unisce a un più ampio insieme di pratiche e idee del fare.

Sul terzo numero di DINAMOPRINT (qui l’indice dell’uscita, qui per acquistare la pubblicazione cartacea direttamente) abbiamo affrontato queste contraddizioni in un ampio articolo che dà voce ai protagonisti e alle protagoniste di Indymedia, Radio Gap, Carta, Global Project e Non Una di Meno. Si tratta di ripensare il rapporto fra movimenti e media e, parallelamente, il ruolo dei media di movimento nel presente.

Si tratta, cioè, di tornare alle giornate del 2001 a Genova – dove un certo modo di fare politica attraverso l’informazione è davvero esploso – per riannodare i fili di una storia tortuosa e complessa, che dalle radio libere degli anni ‘70 e ‘80 si ibrida con i principi comunitari e orizzontali dello zapatismo, passando per la proliferazione globale di nodi e centri mediatici indipendenti fino ad arrivare alla comunicazione transfemminista di esperienze, che reinterpreta il partire da sé all’interno dei nuovi codici di esposizione social.

Abbiamo allora deciso di approfondire quella ricerca anche sul nostro sito, interpellando quanti e quante si sono ritrovate da Genova a oggi a fare mediattivismo – o a “praticare attivismo politico attraverso i media” – per capire come possa risuonare ora questo termine, a vent’anni dall’esplosione del movimento alter-mondialista.

Dando uno sguardo retrospettivo sugli ultimi anni sembrerebbe infatti che molte sollevazioni e proteste nascano in concomitanza con l’esplosione dell’uso di determinati social e mezzi di comunicazione.

Per fare alcuni esempi, se le cosiddette primavere arabe del 2011 hanno sfruttato la rapidità di diffusione dei messaggi di Twitter, contemporaneamente dall’altra parte del Mediterraneo il movimento del 15M costruiva reti di comunicazione e azione politica anche grazie a strumenti come le mailing list e i gruppi Facebook. Guardando l’Europa orientale, invece, in Bielorussia l’utilizzo di chat criptate e canali di condivisione da parte dei manifestanti che scendevano in piazza la scorsa estate ha fatto parlare alcuni analisti di “Telegram Revolution”.


Certo, il lato emancipatorio delle nuove tecnologie trova spesso anche un contraltare più ambiguo e conservatore: partiti e sigle che si sono alimentati della fiducia nella “Rete” hanno poi seguito traiettorie politiche che su molte questioni “sterzavano” decisamente verso la destra più reazionaria, così come la “potenza di fuoco” e la disintermediazione offerte dai social sono state ampiamente assoggettate da figure autoritarie per le proprie esigenze di propaganda (dalla nostrana “Bestia” salviniana alle scorribande su Twitter dell’ex-Presidente degli Stati Uniti Donald Trump prima che lo bloccassero)…

Sembrerebbe quasi che le parole d’ordine e gli entusiasmi che quindici o vent’anni fa accompagnavano i primi approcci libertari ai nuovi mezzi di comunicazione e informazione stiano ora mutando di segno.

Li troviamo talvolta ribaltati nella loro valenza e nel loro significato politico: l’orizzontalità delle relazioni che si trasforma in difficoltà di distinguere i messaggi, la presa di parola spontanea che scivola verso la brandizzazione di sé, la capillarità di diffusione che viene cooptata in strumento di controllo e di estrazione di valore da parte delle grandi aziende…

Qui l’indice delle sei interviste, fra testimonianza e riflessione, che compongono uno speciale di racconto e di rilancio per fare il punto sull’infosfera in cui siamo immersi, e sulle pratiche di sovversione del reale che è possibile mettere in campo.

Le uscite

«Non c’è comunicazione senza intento politico». Indymedia da Genova ai social network (intervista a Blicero)

«Senza Indymedia, sarebbe stata un’altra Genova». Il mediattivismo fra autonarrazione e comunità (intervista a Kyrara)

«Genova, un ibrido ancora attuale fra storia e memoria». La potenzo dei documenti dal basso (intervista a Global Project)

«Un’informazione contro i desideri dei potenti». Le radio di movimento, da Genova al web (intervista a Radio Onda d’Urto)

«Far cadere la barriere dell’informazione». L’esperienza di “Carta”, fra sinistra tradizionale e nuovi movimenti (intervista ad Anna Pizzo)

«Partire da sé per cambiare il mondo». Il transfemminismo nell’epoca delle influencer (intervista ad Ambra Lancia – Nudm)

Immagine di copertina: foto tratta dal Libro Bianco Genova G8, 2002