ROMA

foto Milos Skakal

«Basta accordi con l’industria del fossile»: voci dalla Sapienza occupata

Sulla scia di un movimento europeo da due settimane la facoltà di Geologia è occupata per mettere fine alla complicità dell’università con la lobby del fossile. Intervistiamo l3 occupanti che il 6 giugno hanno organizzato un corteo in città universitaria

Com’è nata questa occupazione?

Questa occupazione è contestualizzata in una mobilitazione internazionale che prende il nome di End fossil e che sta cercando di contribuire al movimento ecologista in Europa intorno alla pratica dell’occupazione fisica delle università, da rendere complementare a quella degli scioperi e di altre forme di lotta. A novembre scorso un primo giro di occupazioni in Europa ha coinvolto una cinquantina di università e di licei. Principalmente in Portogallo, dove a Lisbona hanno dato vita a una grande mobilitazione studentesca, in Spagna, come a Barcellona, in Germania, Svizzera, Austria, Olanda e qualche altro Paese del Nord Europa. L’eco si è iniziato a espandere ed è arrivato anche qui in Italia. A febbraio c’è stato un congresso, a Berna in Svizzera, per preparare questa seconda ondata che si è tenuta a maggio, e dall’Italia sono salite persone di vari giri. Tornati in Italia ci siamo detti di provare a coordinandoci tra di noi e quindi un po’ con un passaparola di una rete sviluppata nel tempo, siamo riusciti a coinvolgere una serie di realtà in giro per l’Italia e si sono attivate una decina di città, cinque tramite occupazione e altre cinque tramite altre forme di contestazioni. E poi nelle singole città si sono avviati percorsi di convergenze interne. Nello specifico qui in Sapienza sono state coinvolte una serie di realtà, partendo ovviamente in primis dai collettivi dell’università e successivamente alle realtà ambientaliste ed ecologiste che si muovono in Italia e nella città di Roma, soprattutto in questo mese di maggio che per il movimento ecologista è stato veramente un mese di esplosione per via della campagna di Ultima generazione e di Extinction Rebellion “Non paghiamo il fossile”. Quindi è su queste basi che si è costruita questa occupazione.

Quali sono le richieste che avete portato alla governance de La Sapienza?

Le rivendicazioni che abbiamo portato sono quattro. La prima è quella che unisce questa prima fase della mobilitazione di End fossil, che è chiedere che nell’università vengano bloccati gli accordi con aziende che hanno a che fare con la crisi climatica e, nello specifico, con il fossile. Anche noi, come tutte le altre città d’Europa e del mondo che hanno partecipato a questa mobilitazione, abbiamo portato la richiesta di stop agli accordi con aziende inquinanti, come nel nostro caso Eni, Snam e anche Leonardo, che sono presenti in varie forme in questa università: partecipano ai career day, organizzano seminari, hanno accordi di ricerca o finanziano determinate attività. Insieme allo stop agli accordi, pretendiamo anche che la Rettrice chieda al Ministero dell’Università e la ricerca un aumento del fondo pubblico alla ricerca. La seconda rivendicazione è chiedere un’esposizione pubblica dell’Ateneo e della Rettrice sull’operato di queste aziende fuori dall’università, e sulle responsabilità di queste aziende rispetto alle crisi che stiamo vivendo e che vivremo presto. Il terzo punto è quello di chiedere che vengano indicizzati in modo semplice, chiaro e trasparente tutti gli accordi e le collaborazioni tra La Sapienza e le aziende private che investono nelle fonti di energia fossile. A oggi dobbiamo aspettare mesi per leggere un accordo quadro, oppure dover andare a spulciare ogni singola pagina del sito del dipartimento per provare a cercare progetti, e alcuni manco ci sono. E l’ultimo punto, invece, è quello di avviare un percorso che porti a una democratizzazione della didattica e alla costruzione di corsi che parlino di giustizia eco-sociale e di giustizia climatica. L’idea è di riconvertire i corsi che sono stati prodotti dal Comitato tecnico scientifico per la sostenibilità dell’Università, che ha prodotto appunto un corso sulla sostenibilità che però non ci vede d’accordo su molti punti di vista.

Quali sono state le risposte delle istituzioni a queste richieste?

Rispetto al primo punto, sullo stop agli accordi con le aziende “fossili”, la Rettrice si è espressa dicendo che non si poteva assolutamente fare, perché in questo Paese esiste la libertà di ricerca e quindi dal momento in cui viene proposto un progetto e ci sono delle ricercatrici e dei ricercatori che hanno voglia di farlo non glielo si può negare. Rispetto alla richiesta di aumentare il fondo di ricerca ha detto che lei l’ha già fatta varie volte, anche se non abbiamo trovato sue dichiarazioni pubbliche in questi termini, e ha liquidato così la questione. Noi l’abbiamo preso per buono, contando sul secondo punto che era invece di una posizione pubblica sull’operato delle aziende fuori dall’università, perché magari i progetti che portano avanti all’interno dell’Ateneo rientrano nella cosiddetta sostenibilità anche se questo concetto non c’entra nulla con quello che diciamo. Anche se quelli sviluppati dentro l’Ateneo non sono progetti impattanti, non si parla di progetti sulle estrazioni di carbone per esempio, comunque sono dei progetti che seguono le linee di aziende che nel loro operato continuano a basarsi sull’estrazione di materie prime fossili. Sull’esposizione pubblica la Rettrice ha iniziato a essere in difficoltà. Ci ha detto che non poteva fare una dichiarazione senza passare per tutti quanti gli organi dell’Ateneo e per cui ha detto che ne avrebbe dovuto parlare alla prossima seduta del Senato accademico, il 13 giugno, ma il punto non è stato inserito nell’ordine del giorno e pare che non lo metteranno.

Rispetto al Comitato tecnico scientifico sulla sostenibilità e al corso che promuove, noi divergiamo sul modo in cui viene affrontato questo discorso sulla crisi che stiamo vivendo dal punto di vista climatico e sociale. Per cui crediamo che un percorso avviato in questo modo serve per pulirsi l’immagine. Secondo me ha un ruolo di green washing parlare di sostenibilità senza parlare di tutta una serie di temi come la giustizia eco-sociale e la condanna del modello economico in cui viviamo, del sistema produttivo ed estrattivo su cui il nostro sistema si avvale e delle modalità di rapporti che vengono instaurati tra persone e tra persone e in natura. Per esempio non pensiamo che il concetto di capitale naturale sia una buona base per parlare di transizione ecologica.

Quali sono le prospettive per il futuro?

Qui in pochi mesi, sull’onda di una voce arrivata da fuori dall’Italia, si è costruita una mobilitazione che ha coinvolto centinaia di persone a Roma e anche in altre città è successa la stessa cosa, come a Milano, a Napoli, e a Palermo. Credo che ci sia una base per poter costruire un coinvolgimento molto più grande la prossima volta, e anche più impattante. Il coordinamento tra città si sta affinando, perché fino a ora ci si muove in modo abbastanza informale. Ora si sta cercando di strutturarlo, non per costituire un movimento, ma semplicemente per poter mobilitarci la prossima volta in una maniera molto più incisiva e molto più coordinata a livello nazionale. E che possa coinvolgere molte più persone e realtà, come per esempio i licei. Ci sarà una nuova ondata nel prossimo autunno e penso che in Italia riusciremo a fare qualcosa di importante.

immagini di Milos Skakal