DIRITTI

Madrid, un racconto dell’udienza per Lander e Aingeru

Droga o terrorismo? Ci ha chiesto più volte la guardia all’entrata del tribunale per sapere a quale processo intendevamo assistere. No, noi quello di Lander e Aingeru, ci ostinavamo a rispondere[…]

Lunedì 11 novembre siamo arrivat* presto a Torrejon de Ardoz, un comune della zona metropolitana di Madrid dove ha una sede distaccata l’Audiencia Nacional, chiamata a decidere sulle imputazioni a carico di Lander e Aingeru.

La sala adibita al giudizio è la più piccola del palazzo di giustizia.

Ci viene da pensare che la solidarietà fa paura e che in qualche modo vogliano ostacolarci e impedirci di portare la nostra vicinanza a Lander e Aingeru. Non ci scoraggiamo e continuiamo a chiedere di poter entrare finchè non si convincono che è possibile farci fare dei turni per poter assistere.

Certo è che nella stessa mattina, l’aula “magna” della sede di Torrejon è occupata dal processo a carico di Daniel Pastor Alonso, Íñigo Zapirain Romano e Beatriz Extebarria Caballero, per l’accusa presunta di aver collocato il 28 luglio 2009 un furgone-bomba a Burgos e su cui pende una condanna di 3.498 anni di carcere ciascuno, secondo l’assurda legislazione spagnola.

Nella saletta dove si tiene il processo per danni aggravati nei confronti di Lander e Aingeru, possono entrare solo 5 ospiti alla volta. Inizierà così un “giro di valzer” con un continuo andirivieni dall’aula per permettere e ai/lle compagn* venuti da Bilbao e ai molt* attivist* del comitato “un caso basco a Roma” di rivedere Lander dopo 7 mesi dal giorno dell’estradizione.

Alle 10,30 inizia il procedimento vero e proprio, secondo la sceneggiatura che già conosciamo: l’arrivo degli imputati in aula, il giudice che legge loro i capi di imputazione e le richieste di condanna della pubblica accusa, le domande di ufficio che accusa e difesa rivolgono ai due.

E’ da notare come il “fiscal” (il pm, ndr) abbia inizialmente ridimensionato l’accusa nei confronti degli imputati, passando da un reato di “devastazione” a un più lieve “danneggiamento”. La pena richiesta: 3 anni di reclusione e 8 mila euro di responsabilità civile.

Conclusi i rituali che danno il là al processo, si è entrati nel vivo della fase dibattimentale. Hanno iniziato a testimoniare, così, gli agenti della polizia autonoma basca che sono intervenuti nel febbraio 2002 sul luogo del reato, poi il conducente del bus che prese fuoco e ancora gli agenti dell’Erzaintza che interrogarono ed estorsero sotto tortura le dichiarazioni di colpevolezza ad Aingeru. Tutti questi test hanno parlato schermati, anonimi, nascosti da un separè.

Dalle testimonianze del conducente del bus e degli aguzzini di Aingeru (che ammettono di aver raccolto le informazioni durante il suo periodo di “incomunicacion”) iniziano a insinuarsi le prime crepe nell’impianto accusatorio.

Dopo una breve pausa, riprende il processo con un confronto diretto fra i periti della polizia basca e il perito di parte riguardo alla prova che riporterebbe Lander sul luogo del reato: un ritrovamento di DNA su una felpa. E qui, l’accusa subisce un altro duro colpo. Perché – aldilà delle osservazioni sul metodo della raccolta del DNA, del ritrovamento della felpa e di altre questioni procedurali – tutti i periti concordano che i profili genetici delle diverse prove raccolte sono semplicemente “compatibili” – e addirittura in alcuni casi compatibili con una “mezcla” (miscela, ndr) – con quelli rintracciati sulle prove: come per dire che il DNA di Lander è compatibile con i DNA rintracciati sul luogo del reato, come potrebbe esserlo quello di un altro o di più individui.

Alla fine di questa fase, si è proceduti con le arringhe finali.

Il pubblico ministero conferma le richieste iniziali: 3 anni di reclusione ad aggiungersi al risarcimento civile, per il reato di danneggiamento con l’aggravante di finalità terroristica, fondando la sua tesi sulla dichiarazione in “incomunicacion” fornita da Aingeru e dalla compatibilità del DNA dei due con quelli rintracciati dall’Ertzainza a Bilbao.

La parola poi passa alla difesa che al contrario chiede un’assoluzione piena dei due, perché l’impianto accusatorio del “fiscal” non poggia su alcuna prova “diretta”: da un lato, infatti, la dichiarazione raccolta in “incomunicacion” (come suggerisce la CEDU che segnala questa come una pratica non rispettosa dei diritti umani) viene rigettata come prova acquisibile; dall’altro per tutte le falle che minano l’accusa dedotta dalla raccolta dei dati genetici. Inoltre, la difesa ha richiesto che decadesse l’aggravante di “terrorismo” vista la mancata rivendicazione dell’atto (come ammesso dallo stesso “fiscal”) e quindi che si prendesse atto della prescrizione maturata relativamente al reato di danneggiamento. E’ stato a quel punto che la Corte si è alzata e si è ritirata per deliberare la sentenza.

Ora siamo in attesa di notizie, torniamo a Roma con l’immagine forte di Lander, che si gira per guardarci durante il processo e ci sorride.