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Fuori i leoni. La difesa del territorio non è un buon affare

Che cosa succede a Roma? Una panoramica su alcuni dei monumenti storici più famosi che progressivamente sembrano diventare sempre meno patrimonio culturale di tutti…

La serata di Della Valle al Colosseo – La difesa dei beni culturali non è una cena di gala

Circa una settimana fa il Colosseo è stato teatro di un evento privato, o per meglio dire una cena di gala per celebrare la fine dei restauri finanziati da Della Valle con tanto di invitati vip ed esponenti del governo che non hanno risparmiato lodi al novello Mecenate: in realtà sono anni che ci si genuflette senza neanche troppa eleganza ai piedi firmati del produttore di scarpe di lusso, basta ritornare a sei anni fa quando al teatro Argentina un noto archeologo italiano accoglieva l’imprenditore come il nuovo benefattore dell’Urbs, cittadino modello che si prendeva a carico la sorte culturale di un intero paese.

Le lodi non sono state dirette solo al patron della Tod’s ma soprattutto a un modello (fittizio, diremmo, se non proprio in malafede) di connubio virtuoso fra privato e pubblico, come sostenuto senza neanche troppa vergogna dal ministro Franceschini su twitter, mentre mezzo monumento veniva chiuso per ore e si invadeva il secondo anello di sedie dorate e luci per illuminare la sontuosa cena degli invitati. Ovviamente per preparare un evento del genere, a parte le ditte esterne chiamate apposta per l’occasione, molti dipendenti hanno lavorato oltre il turno stabilito e si può immaginare che gli straordinari siano stati pagati dal datore di lavoro diretto: la Soprintendenza. Vi ricordate quando qualche mese fa questi lavoratori hanno tenuto chiuso il monumento per un paio d’ore proprio per UN’ASSEMBLEA sindacale che doveva discutere del mancato pagamento per le aperture straordinarie e per gli eventi? In quel momento si è gridato allo scandalo, il povero Colosseo era ostaggio di un gruppo di dipendenti fannulloni e facinorosi, ora che viene chiuso per ore e ore (e pure in alta stagione turistica) il ministro ha la sfacciataggine di lodare ed esaltare l’evento.

Più che un virtuoso connubio fra pubblico e privato, sembrerebbe la cena di gala che saluta una nuova gestione privatistica del monumento usando, perché no, anche un po’ di soldi pubblici. Così venticinque milioni di euro (tanto ha dato Della Valle per finanziare il restauro) risultano pochi per godere di una semi-proprietà del monumento, certo lo scarparo non guadagna nulla dagli incassi per l’ingresso al monumento, ma poter disporre (pare) a proprio piacimento di uno dei più famosi monumenti della storia occidentale non è poca cosa: oggi cena, domani sfilata o altro grande evento, staremo a vedere.

Copertura dell’arena: la nuova vita del “Colosseo-grandi eventi”

Non a caso, lo stesso giorno dell’inaugurazione, Renzi e Franceschini hanno annunciato la copertura dell’ipogeo con la completa ricostruzione dell’arena. Era da almeno un anno che si parlava di questo progetto, per cui servirebbero ben 18 milioni di euro che andrebbero sottratti a interventi più urgenti e più utili alla tutela del territorio e dei monumenti archeologici, ma ormai, si sa, tutto ciò che non produce un profitto diretto e immediatamente tradotto in moneta è visto come un bene di serie B, più un problema che una risorsa culturale.

Non bisogna essere dei pessimisti, dei detrattori del nuovo, degli imbolsiti difensori dei monumenti recintati per immaginare come andrà a finire: con buona probabilità l’antica Porta Libitinaria (l’ingresso dallo Sperone Stern, per intenderci) diventerà l’entrata per i grandi eventi, per le serate esclusive come le già viste cene, le sfilate di moda o i concerti per pochi eletti, perché ricordiamolo, il Colosseo non è né l’arena di Verona, né il Circo Massimo o l’anfiteatro di Arles, è un posto fragile che non ha conservato più nessuna gradinata, quindi non potrà certo ospitare manifestazioni pop.

Inoltre ci si dovrà domandare anche quale materiale verrà utilizzato per realizzare l’intera copertura, se si sceglieranno gli stessi che oggi compongono la piccola parte di arena già ricostruita, sarà impossibile per più della metà dei visitatori vedere e farsi un’idea dell’affascinante e incredibile reticolo di corridoi e stanzette in laterizio dell’ipogeo. Così avremo anche i turisti di serie A e di serie B: chi potrà permettersi il private tour negli undergrounds avrà modo di osservare l’ipogeo, per gli altri non resterà che la fantasia e un piccolo giretto nel secondo anello. Renzi e Franceschini giustificano tale scelta affermando che bisogna riportare il monumento alle sue antiche vesta, quando tutto l’ipogeo era coperto e sull’arena avevano luogo processioni, via crucis ed eventi religiosi, ma appunto a quei tempi il Colosseo era proprietà dello Stato del Vaticano. Insomma, non sembra proprio essere un grande esempio di tutela e valorizzazione di un bene comune…

Il miracolo delle Sorelle Fendi: camminare sulle acque e impadronirsi delle immagini

L’esempio delle sfilate ospitate in luoghi ad alto interesse storico è in effetti già realtà. Pochi giorni dopo la cena vips al Colosseo, Fendi ha deciso di chiudere l’area intorno alla Fontana di Trevi per la sfilata che celebrava l’anniversario della maison di moda. Per circa due ore modelle e modelli hanno letteralmente camminato sulle acque della fontana, su cui era stata istallata una pedana trasparente. Ma perchè Fendi ha ottenuto il monumento per un evento privato? Ovvio! Ha prima pagato il restauro della fontana: 2,18 milioni di euro e le tue creazioni fluttuano miracolosamente sulle acque. In questo modo la casa di moda ha chiaramente posto un vincolo, seppur momentaneo, di proprietà sul luogo, facendolo diventare una sorta di atelier privato, nessuno al mondo tranne Fendi può usare una passerella di cotanto prestigio.

Ma non è il primo tentativo di vincolare un monumento attuato da Fendi. All’incirca un mese fa in quanto “licenziataria legittima” dell’immagine del Colosseo quadrato, la casa di moda ha intimato gli organizzatori del Gay Pride di non usare l’immagine del Palazzo della civiltà italiana nei manifesti per pubblicizzare l’evento per poi fare un imbarazzato dietro front… Ma il problema resta: uno dei palazzi della storia di Roma è stato privato del suo valore collettivo per diventare un’immagine e un simbolo privato: Fendi è diventato anche proprietario dell’immagine, del valore simbolico di uno dei monumenti più emblematici di Roma. Si estrae profitto dappertutto anche dalle immagini, anzi sopratutto da queste. La maggior parte dell’interesse dei privati per i monumenti storici risiede non tanto nell’utilizzo materiale degli spazi, ma piuttosto e sopratutto dal valore storico e culturale che evocano, questo crea nello stesso momento prestigio e profitto.

La sponsorizzazione degli interessi privati

Infatti ciò che viene spacciato per mecenatismo non è nient’altro che un tentativo non troppo velato di privatizzare i monumenti, di cambiarne la funzione e l’interesse pubblico, di privarli di qualsiasi visione culturale e collettiva, di farli diventare dei beni privati, affittabili, dei palinsesti utilizzabili al caso opportuno. Sponsorizzare non significa aiutare la cultura ma cambiarle drasticamente il senso in modo privatistico: la cultura, la storia non è di tutti, è per pochi e non è “generalizzabile”. Per esempio – come spiega bene Tomaso Montanari – Autostrade per l’Italia ha presentato un progetto dal titolo evocativo “Operazione Grand Tour” che, in cambio di un’erogazione di denaro, vorrebbe imporre all’Appia «un nuovo modello di gestione» diverso da quello pubblico, istituendo una «cabina di regia» che esautorerebbe lo staff che ha fatto del recupero dell’Appia una best practice internazionale.

C’è poi chi spesso fa confusione fra sponsor e Art-Bonus, come per esempio è accaduto per l’affaire Colosseo. A differenza della sponsorizzazione, l’Art Bonus non vincola il monumento agli interessi privati del sovvenzionatore: lo sgravio fiscale è già un vantaggio di per sé. Al contrario la sponsorizzazione è una dimensione ambigua, che cambia le regole caso per caso e vede l’interesse collettivo messo sempre in secondo piano. La negoziazione non è regolata da alcuna legge o da protocolli ben stabiliti: è come mettere la valigetta di dollaroni sul tavolo, si capisce subito chi ha il coltello dalla parte del manico e il rischio di avvantaggiare gli interessi privati è sempre in agguato, come abbiamo potuto vedere.

Roma diventa un giocattolo di lusso. Il divenire Roma di Las Vegas e la Fontana dell’Acqua Paola

Ma del resto, al di là delle sponsorizzazioni ad hoc, un cambio di paradigma che strizza l’occhio agli interessi dei Grandi Tour Operator e dell’economia del turismo di massa è già avvenuto. A Venezia come a Roma o Firenze il meccanismo pare ben oliato: le grandi aree archeologiche e di interesse storico vengono di fatto strappate dal tessuto urbano di appartenenza per diventare delle oasi nel deserto per i turisti di ogni dove, delle piccole città finte per il divertimento di improvvidi turisti. La Venezia di cartapesta di Las Vegas è sorpassata: ora è la stessa Venezia che è diventata pura scenografia per i turisti, e lo stesso vale, per lo meno, per l’area centrale di Roma.

Un luogo che pian piano sta perdendo la sua dimensione urbana, da cui i cittadini si allontanano: un divertimentificio in cui si è persa qualsiasi dimensione storica per diventare il grande proscenio del nulla, dello storytelling del nulla, delle guide sottopagate e dei falsi storici. È inutile quindi gridare allo scandalo quando tre turiste accaldate si gettano nell’Acqua Paola, fa parte del gioco, dell’Acqua Park dei divertimenti a cui veniamo tutti sottoposti in nome del profitto, come se valorizzare la cultura significasse questo. Perché è utile ricordarlo: a fronte di questa macchina per far solo e soltanto denaro che sono diventati gran parte dei centri storici italiani ci troviamo davanti a un definanziamento massivo e strutturale per i Beni Culturali e a un altrettanto massiccio utilizzo di forza lavoro gratuita (iperspecializzata per di più) per far andare avanti le cose. Non è vero che con la cultura non si mangia, piuttosto ci mangiano in pochi nelle cene di gala, a discapito della ricerca e della sperimentazione di nuovi ed effettivi modi di raccontare, tutelare e collettivizzare i luoghi.

Tutela adieu

Questo cambio di paradigma è facilmente riscontrabile anche nelle riforme delle Soprintendenze e dei Musei, che dovrebbe avere attuazione proprio in questo giorni, e che prevede la fusione tra archeologia, Belle Arti e paesaggio in un unico ente con evidente riduzione delle competenze a scapito della tutela dei territorio. In questo modo, infatti, sarà molto più facile compiere un qualsiasi abuso: costruire una villa sulla Via Appia o un locale a Villa Adriana, per esempio.

Nella riforma si prevede anche l’autonomia finanziaria dei Musei e delle aree storico-archeologiche, vale a dire: chi fa soldi può utilizzarli, che gli altri si attacchino, come se il valore storico e culturale di un’area dipendesse soltanto dalla sua capacità di fare denaro….Così siti altrettanto importanti e suggestivi da un punto di vista artistico verranno dimenticati e lasciati là. In un circolo perverso, i siti più visibili prenderanno così i finanziamenti dei privati e anche i finanziamenti pubblici, lasciando al proprio destino migliaia di luoghi importantissimi meno conosciuti. Vittime di questa riforma saranno, infatti, musei e siti importanti ma poco turistici, come i musei archeologici o le ville fuori Roma, per non parlare dei numerosissimi spazi e luoghi e parchi che a oggi vengono, là dove possibile, solo tutelati dai comitati di quartiere, spesso l’unico strappo a colate di cemento e abusivismo edilizio. Una riforma del genere è un chiaro attacco all’autonomia e alla difesa del complesso territorio italiano, dei suoi paesaggi culturali e del necessario e importantissimo valore che questi luoghi hanno per le città e per il loro futuro.

In conclusione, la valorizzazione dei beni culturali, unico obiettivo di questo dicastero è un termine che per questa logica contiene purtroppo solo una messa a valore economico, spersonalizza i luoghi e li allontana ancora di più dalle persone, da chi quei luoghi li vive e attraversa quotidianamente. Si perde così il loro senso e importanza, se ne cancella memoria e funzione, si rende estremamente difficile ogni tentativo di condivisione sociale e pubblica e li si fa diventare vetrine per passerelle di moda, piscine e festini privati.