ITALIA

Bm Service e Grafica Veneta, Workers Lives Matter

Il sindacato di base Adl Cobas lancia un’iniziativa di sostegno per lavoratori e lavoratrici vittime di sfruttamento e caporalato nelle aziende venete e trentine che sono oggetto di indagini della magistratura

Il caporalato non si annida esclusivamente nelle campagne del centro-sud ma è ben presente in tutto il Paese, specie nelle sue parti più ricche come il Nordest; lo si individua spesso ben strutturato nel sistema degli appalti e dei subappalti di manodopera, coinvolge cooperative, aziende e industrie dai grandi fatturati che si giovano in termini di profitto dello sfruttamento di lavoratori e lavoratrici, spesso stranieri e in condizione di ricatto estremo, costretti a lavorare molte più ore di quelle previste per contratto, percependo salari da fame, sottoposti a violenze e ricatti, erosi persino di una parte del loro stipendio per prebende varie.

Tutto questo non è altro che quanto emerge dall’indagine che ha coinvolto la cooperativa BM Service di Lavis (Trento) e la Grafica Veneta, rampante e solida azienda veneta, nuovo episodio di caporalato e di sfruttamento schiavistico che viene periodicamente alla luce nel ricco Nord-Est e non solo.

Il sistema di reclutamento di forza-lavoro conosciuto con il termine caporalato è presente in tutta Europa, rappresenta, specie in alcuni settori come l’agroalimentare, il nerbo di una organizzazione del lavoro che ha assunto livelli di sfruttamento e di negazione dei diritti prefigurante forme di costrizione lavorativa di tipo servile, schiavistiche nei confronti per lo più lavorator* stranier, migrant extracomunitar* e comunitar*. Italia, Spagna e Grecia detengono nell’UE il primato di questo sistema di sfruttamento.

Nonostante l’entrata in vigore in Italia nel 2016 della legge n. 199 che punisce chi recluta la manodopera con modalità tipiche del caporalato, il fenomeno nel nostro Paese non è affatto diminuito ma, anzi, con modalità differenziate si è esteso dalle campagne del sud al resto delle regioni.

Solo nel settore agricolo si stima la presenza di almeno 400 mila lavoratori assunti attraverso il caporalato, l’80% di questi sono stranieri con paghe che, quando va bene, sono la metà di quelle già basse previste dai contratti nazionali; si tratta di una parte consistente di popolazione lavorativa costretta a condizioni di vita precaria, sia dal punto di vista abitativo che sanitario.

Se la condizione semiservile a cui sono costretti i lavoratori e le lavoratrici delle campagne durante le raccolte dei prodotti agricoli sono ormai conosciute grazie alle loro mobilitazioni e per una serie di meritevoli indagini giornalistiche; se si comincia a scoperchiare anche il marcio che sta dietro agli ingenti profitti che questo sistema consente di fare alla grande distribuzione agroalimentare attraverso il ribasso dei prezzi dei prodotti raccolti e gli altrettanto bassi costi del lavoro, molto meno si sà di altre forme, più mascherate e ambigue, in cui il sistema del caporalato si annida, come appunto quelle degli appalti di fornitura di manodopera.

Il caso dei lavoratori della BM Service sas di Lavis (Trento) è solo l’ultimo in ordine di tempo di una serie di altri episodi che, in particolare nel mondo del logistica e nella grande cantieristica (vedasi i casi scoperchiati in Fincantieri) evidenzia la presenza di forme di caporalato, di sfruttamento estremo di frazioni di lavoratori maggiormente ricattabili, di intreccio di interessi e profitti tra aziende appaltanti e fornitori di forza-lavoro, dove anche i più elementari diritti per i lavoratori e le lavoratrici coinvolte sono sostanzialmente cancellati.

Salari già bassi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria vengono ulteriormente ridotti all’osso per questi lavoratori, accompagnati da ritmi e intensità lavorativa ancora più alta, mancanza di sicurezza e azzeramento di tutele e diritti.

La costrizione ad accettare condizioni di lavoro supersfruttato e malpagato si accompagna spesso anche alle minacce o a veri e propri pestaggi organizzati direttamente dai caporali come nel caso di un nostro delegato RSA che alcuni anni fà denunciò queste forme di reclutamento in alcuni magazzini agroalimentari padovani e per questo suo atto di coraggio subì una violenta aggressione o come nel caso dei lavoratori pakistani, che hanno improvvisamente “alzato la testa” rivendicando ciò che gli spettava da contratto nella vicenda BM Service-Grafica Veneta.

La cooperativa trentina BM Service, di proprietà di due pakistani con cittadinanza italiana, gestiva un appalto all’interno della Grafica Veneta fornendogli un contingente di lavoratori anch’essi di nazionalità pakistana, alcuni fra loro richiedenti asilo. Questi lavoratori operavano al fianco dei lavoratori dell’azienda padovana con orari decisamente peggiori (sino a 12 ore giornaliere), con tutele inesistenti (niente pause e ferie) e con salari molto sotto la soglia minima contrattuale (4-5 euro), già di per sè più bassa dei 9 euro lordi/ora ipotizzati nelle proposte di legge per un salario minimo legale depositate in Parlamento.

Ovviamente nessuna garanzia di sicurezza veniva fornita dall’azienda appaltante a questi lavoratori (risultavano sprovvisti di Dpi) mentre lo sfruttamento della forza-lavoro da parte dei titolari della cooperativa non si limitava a questi aspetti ma giungeva a estorcere profitto anche dall’affitto in alloggi da loro gestiti – locali dove erano ammassati a decine – e dal taglieggiamento di una parte significativa dello stipendio e della tredicesima direttamente prelevata da bancomat.

Tutto ciò avveniva con la complicità della direzione della Grafica Veneta e nel silenzio dei lavoratori e lavoratrici dell’azienda che non potevano non vedere e non sapere di questa situazione o, quanto meno, di alcuni suoi aspetti. E’ lo stesso Procuratore di Padova Antonio Cappellari a confermare in conferenza stampa dopo gli arresti dei dirigenti della cooperativa trentina e dei due dirigenti della Grafica Veneta quanto sosteniamo dichiartando che la particolarità di questo caporalato «è la complicità […] dell’azienda italiana con quella gestita dai pakistani nonostante le solide condizioni economiche e la possibilità di operare in maniera regolare».

“Operare in maniera regolare” è spesso nelle aziende affiancato da una maniera di operare più “grigia” (si pensi solo agli accordi di smaltimento illegale di fanghi industriali che hanno e continuano a coinvolgere grandi industrie del nord del Paese con organizzazioni criminali che riempiono interi capitoli dell’annuale Rapporto sulle Ecomafie di Legambiente) come nel caso di Grafica Veneta che stimiamo abbia ricavato un vantaggio consistente da questa situazione, sia in termini di lavoro svolto dai lavoratori in appalto, sia in termini di risparmio economico, ragionevolmente stimabile nell’ordine di circa 500 mila euro annue.

Nessuna meraviglia quindi Procuratore, non sono solo le aziende in difficoltà o decotte ad operare in questo modo ma anche le altre, coerentemente, diremmo noi, con i principi capitalistici a cui si ispira il sistema delle imprese.

E lo fanno consapevolmente così come si ricava da quanto scritto dal Gip Domenico Gambardella: «Grafica Veneta è perfettamente consapevole del numero di ore necessarie per svolgere il lavoro che appalta e non a caso, disponendo delle timbrature dei dipendenti BM Service, ha fatto di tutto per non consegnarli alla Polizia giudiziaria».

L’azienda veneta era altrettanto consapevole di pagare un costo di appalto che non avrebbe consentito alla BM Service di rientrare dei costi della manodopera se non facendo lavorare questi il doppio delle ore stabilite dimezzandone la retribuzione.

Grafica Veneta si occupa di confezionamento e fissaggio di prodotti per l’editoria, a sua volta in appalto presso altre aziende; ha come clienti i più importanti editori italiani (Mondadori, GeMS, Feltrinelli), ha stampato tra gli altri i libri della saga di Harry Potter, dell’autobiografia di Barak Obama e i libri di Stephen King; da poco ha acquisito il controllo di Lake Book Manifacturing, azienda storica della produzione di libri statunitense; occupa oltre 500 lavoratori in Italia e 200 negli USA (come evidenziato da questi dati)

Durante la pandemia ha convertito parte della produzione a fornire sul mercato dispositivi di protezione dal coronavirus, non certo a costi modici ma passando, grazie alle magnificienze fattegli dal Presidente regionale Luca Zaia, per generosa impresa basata su solidi principi di etica sociale; operazione che ha contribuito a aumentare nel 2020 il suo fatturato rispetto all’anno precedente nonostante la crisi pandemica in pieno dispiegamento.

Si tratta, quindi, di una azienda florida e solida economicamente che per bocca del suo presidente – Fabio Franceschi – in una intervista dell’aprile 2018 al Corriere del Veneto si lamentava persino di non riuscire a trovare manodopera sostenendo che “qualche ragazzotto che da la disponibilità c’è ma poco dopo rinuncia per via dei turni”. Evidentemente ha infine trovato quelli che non si lamentavano dei turni nei “ragazzotti” pakistani appaltati dalla BM Service che di ore sottopagate ne facevano anche 12 e più al giorno anzichè 8, per 7 giorni alla settimana.

Durante i mesi più duri della pandemia – marzo e aprile del 2020 – alcuni di questi lavoratori hanno denunciato di aver svolto anche 18 ore giornaliere: «entravamo [in azienda] e uscivamo per tornare a casa a dormire» per produrre le famose mascherine d’emergenza donate alla Regione Veneto e distribuite dalla Protezione Civile. «In quattro mesi», continua una delle testimonianze, «non mi sono mai potuto radere [vivevano in condizioni di sovraffollamento in poche stanze] perchè non avevo nemmeno il tempo di farlo. Ci portavano in azienda alle 6, poi stanchi morti tornavamo alle 19 o alle 20. A volte anche più tardi».

Un altro dei lavoratori, uno dei più anziani, impiegato in magazzino dell’azienda da 4 anni ha denunciato: «Lavoravo una media di 300 ore al mese [più di 12 ore al giorno] per portare a casa 1500 euro. Ma una parte di questo stipendio veniva chiesto indietro: serviva a pagare altri lavoratori in nero. Niente domenica, niente ferie, niente tredicesima, niente diritti. Ho lavorato anche con la febbre».

A gestire questi veri e propri schiavi erano gli stessi caporali, portandoli al lavoro, controllando che svolgessero le mansioni richieste, dotati da Grafica Veneta di tessera per chiudere e aprire il cancello.

Ma nessuno si è accorto di nulla, i dirigenti si dicono stupiti e i dipendenti, comprese le organizzazioni sindacali interne, hanno fatto sinora gli struzzi mettendo la testa sotto la sabbia arrivando una parte di loro – non sappiamo se consapevolmente o meno – persino a sottoscrivere una lettera aperta di solidarietà all’azienda. Come se i colpevoli fossero i lavoratori pakistani schiavizzati da questo sistema di appalto che starebbero infamando con le loro accuse le benemerenze dell’azienda.

Schiavizzati, supersfruttati, figure fragili del mercato del lavoro perchè stranieri e una parte anche richiedenti asilo, hanno alzato la testa e detto basta non accettando neanche il “contentino” di un contratto a termine di 6 mesi come bastasse questo a risarcirli dello sfruttamento subito.

ADL Cobas difende e sostiene le loro rivendicazioni

1. assunzione a tempo indeterminato e parificazione contrattuale con gli altri lavoratori per un lavoro che prima svolgevano attraverso l’appalto a BM Service;

2. la certezza del pagamento delle differenze retribuite maturate in questi anni il cui conteggio verrà fatto nei prossimi giorni. In via immediata invece va pagata la mensilità di giugno, quanto meno in surroga, perchè non avvenga come per altri casi come questo, dove una volta scoperchiata la pentola del malaffare e del soppruso a pagare siano le vittime, cioè i lavoratori rimasti improvvisamente senza lavoro, senza retribuzione e senza alloggio.

A questo scopo, per garantire con atti concreti e materiali supporto e solidarietà ai lavoratori BM Service, stiamo predisponendo un fondo di solidarietà attraverso conto corrente bancario. Chiediamo alla società civile padovana, ai lavoratori e delle lavoratrici di Grafica Veneta rimasti troppo colpevolmente zitti, al mondo della cultura, della letteratura e dell’editoria che in una sua larga parte ha con questa azienda relazioni e contratti commerciali in essere, di aderire e sostenere questa iniziativa e le rivendicazioni dei lavoratori. Questa sì è un’azione eticamente e moralmente giusta.

Questi i dati per donare al fondo di solidarietà:

IBAN: IT 49 L 01030 12 107 0000 61141064
Intestato a: ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI DEI LAVORATORI – COBAS
Causale: Contributo volontario Cassa resistenza lavoratori Grafica Veneta

(fino a venerdì 6 agosto è possibile portare anche delle spese di solo cibo presso la sede di Adl Bocas, in viale Cavallotti 2 a Padova)

Qui è possibile firmare la petizione su Change.org

Tutte le immagini dalla pagina Facebook di Adl Cobas Padova-Bassa Padovana