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Il «cane morto» e la «civetta». Effetto Hegel, a 250 anni dalla nascita

Filosofo della Rivoluzione o della Restaurazione? O di entrambe? Nello speciale per i 250 anni dalla sua nascita, DINAMOpress rilegge Hegel con autrici e autori che, nel secolo XX e negli anni zero, con Hegel o contro di lui hanno pensato la trasformazione radicale dell’esistente

È noto il Poscritto (1873) alla seconda edizione della sua opera massima, nel quale Marx si professa apertamente scolaro del «grande pensatore», di Hegel. Così scolaro da «civettare», in particolare nel capitolo dedicato al valore, col peculiare modo di esprimersi dell’autore della Fenomenologia dello spirito. Dichiarazione controcorrente, tenendo in conto quanti «presuntuosi e mediocri epigoni», al tempo della febbrile preparazione e della scrittura del Capitale, trattavano Hegel come un «cane morto». Stesso trattamento che gli illuministi tedeschi riservavano a Spinoza, ricorda Marx.

Certo, con Marx la dialettica non è più la stessa: rovesciandola, ne scopre «il nocciolo razionale entro il guscio mistico». Se nella sua forma mistificata era stata una «moda tedesca», in quella razionale la dialettica è «scandalo e orrore per la borghesia». Per quale motivo? Marx è netto:

 

«[…] perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistenti include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza».

 

La dialettica, per Marx, è un’arma. Perché dei fatti coglie la contingenza, degli stati di cose i processi contradditori, radicalmente storici. Ma non è semplicemente il pensiero, a negare la compattezza granitica del presente. È la materia stessa a essere inquieta, dinamica, in continua metamorfosi. Perché è in primo luogo un rapporto, un tessuto ontologico che si fa e si disfa; ontologico e storico, perché è la prassi umana, a farlo e a disfarlo.

Mezzo secolo dopo, nell’esilio a Zurigo e poco prima del ’17, Lenin prende in mano lo stesso libro di Hegel che Marx, per caso, aveva avuto tra le sue di mani nel 1858, occupandosi delle teorie del profitto: la Scienza della logica. L’entusiasmo non è dissimile, tanto che, nel commento al testo Lenin scrive:

 

«Aforisma non si può comprendere perfettamente il capitale di Marx e particolarmente il primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta la Logica di Hegel».

 

E di nuovo la dialettica è un’arma, un’arma proletaria che – così l’originale lettura di Lenin – conquista il carattere ontologicamente produttivo della lotta di classe. Tra i più grandi artisti del Novecento e di sempre, con piglio leninista Bertolt Brecht dirà che la dialettica di Hegel si afferra nel modo migliore concependola come «una dottrina dei processi di massa». Il materialismo dialettico pensa l’essere come creazione continua, essendo quest’ultima un gesto collettivo, storicamente determinato.

Certo, di Hegel è stato fatto anche un uso assai diverso. Non sono tanto le vulgate fasciste, ad averlo reso inservibile, quanto quelle socialdemocratiche e quelle veteromarxiste che, seppur in modo diverso, lo hanno eletto ad autorità della conservazione. Nella materialità delle lotte, negli ultimi decenni, abbiamo verificato l’emersione di una molteplicità di figure sociali e produttive irriducibili alla volontà ferrea e alla mediazione organizzativa del partito. Con i movimenti femministi e neri, in particolare, abbiamo fatto esperienza di una pratica dell’autodeterminazione che non prevede superamenti universali.

Tutto chiaro, e la scala è gettata. Eppure, in un’epoca non più moderna, colpisce l’uso sovversivo che di Hegel è stato possibile. E quanto fecondo, è stato, quando si trattava di pensare dentro e contro. Di quell’uso, nella lotta e nel pensiero, vuole dar conto lo speciale di DINAMOpress. Tornando anche in quei decisivi “luoghi” critici che, da Hegel, hanno sancito la distanza. A 250 anni dalla nascita, il contributo di chi non smette di battersi per «abolire lo stato di cose presenti».

 

Indice

Das dürre Nichts. Hegel e Lukács, di Mimmo Cangiano

Del nuovo inizio [Brecht e Korsch], di Francesco Raparelli

La realtà del possibile [Marcuse], di Francesco Raparelli

Alla destra del Cane. Alexandre Kojève, hegeliano di destra, di Massimo Palma

La conoscenza è una ferita che si può curare [Adorno], di Emma Catherine Gainsforth

Per un hegelismo lacaniano, o: hegeliani, ancora uno sforzo se vogliamo continuare a essere hegeliani, di Marco Ferrari

E l’eterna ironia della comunità ci sputò su [Lonzi e Rivolta Femminile], di Federica Giardini e Marina Montanelli

Riconoscersi nei conflitti [Honneth], di Carlotta Cossutta

Slavoj Žižek, o il più sublime degli isterici hegeliani, di Pietro Bianchi

Dialettica hegeliana e fenomenologia del corpo in Judith Butler, di Tania Rispoli