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CULT

E l’eterna ironia della comunità ci sputò su

Con il “Manifesto di Rivolta Femminile” e il saggio di Carla Lonzi “Sputiamo su Hegel”, entrambi del 1970, il femminismo italiano prende congedo dalla lotta del servo e del signore. La differenza sessuale conquista la scena della politica, dell’arte, del pensiero

Per Carla Lonzi e Rivolta Femminile la relazione con la filosofia hegeliana è orientata da un quadro più ampio di questioni che, a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, si delineano in indipendenza rispetto alle coordinate desumibili dall’opera del filosofo. Sputare su Hegel è l’asserzione, che anticipa il Vai pure con cui Lonzi congeda Pietro Consagra, di chi guarda con un distacco oramai guadagnato e passa oltre, ha altro da fare. Sputare dunque sulle pretese totalizzanti della cultura patriarcale nell’attribuire ruoli e funzioni – madre, moglie, sorella, musa – e assegnare destini al divenire dialettico della cultura dell’uomo. Essere autrici e autorevoli è condizione materiale e simbolica, significa aver trovato, nella relazione con altre, altri punti di inizio e di avvistamento su condizioni e questioni che la tradizione vuole invece compendiate a mai più nell’opera dell’Autore.

Da questa nuova posizione, guadagnata attraversando le contraddizioni materiali di un’epoca e delle singole vite, lo stile non è quello di chi deve dimostrare, legittimare, argomentare quanto va dicendo, ma piuttosto si mostra per frasi brevi che, lampeggiando, respingono chi vuole mettere a sistema le donne e illuminano le prospettive impreviste di chi va scoprendo altri mondi e un’altra umanità.

Hegel, il grande sistematizzatore del pensiero occidentale, punto di riferimento per il marxismo-leninismo, da quando Marx ed Engels hanno rimesso sui suoi piedi la dialettica, viene ripreso allora con la mano profanatrice di chi non si identifica con la Cultura: i passaggi cruciali della Fenomenologia dello Spirito  vengono rivelati come tappe della «fenomenologia dello spirito patriarcale» (Sputiamo su Hegel, p. 20); di una metafisica che ha giustificato «ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna», facendone un «essere aggiuntivo per la riproduzione dell’umanità», qualcosa di perennemente oscillante tra sfera divina e animale (tanta l’irrisoluzione maschile) (Manifesto di Rivolta Femminile, p. 10). «Eterna ironia della comunità», si legge nella stessa Fenomenologia a commento dell’Antigone sofoclea. Ma questo elemento femminile ironico, che presiede, sotto la protezione degli dèi Penati, al focolare domestico, incapace di prendere congedo dai legami di sangue, dal perimetro del privato, e pertanto escluso dallo status della cittadinanza, si fa adesso «istanza femminista» (Sputiamo su Hegel, pp. 18-19). Ascia critica, rivoltosa, che smaschera la meccanica dell’immagine della donna tramandata per millenni: una «invenzione» a uso e consumo del dominio maschile, che fa del risultato dell’oppressione un dato di natura. È così che Lonzi e Rivolta Femminile rivendicano a sé l’estromissione dallo schema del riconoscimento dialettico servo-padrone: in quanto «regolazione di conti tra collettivi di uomini», esso «non prevede la liberazione della donna», è una scena bellica tutta maschile, lotta a morte per la presa del potere (Manifesto di Rivolta Femminile, pp. 6 e 10). Una dinamica, quindi, sessuata, particolare e non universale. Ed è tornando su questo schema che la lotta di classe, ha finito per vendere le donne alla «rivoluzione ipotetica» (p. 10), a una fittizia universalità, la proletaria, dimentica delle origini buie della prima oppressione, quella di un sesso sull’altro – archetipo della proprietà privata (Sputiamo su Hegel, p. 16). La prospettiva di classe ha accecato il futuro Uomo nuovo tanto da non fargli nemmeno vedere nel lavoro domestico femminile la condizione fondamentale di sussistenza e ricostituzione della forza-lavoro, dunque, del capitalismo (Manifesto di Rivolta Femminile, p. 8).

Eppure, un qualche uso di Hegel verrà fatto. Più tardi, nel 1977, Carla Lonzi attribuisce al femminismo la capacità di aver logorato i legami inconsci che trattengono ciascuna presso la vita comminata da altri e conclude che, logorati tali legami, si possono avere «tutti gli interlocutori possibili». Questa conquista, se è una liberazione dell’intelletto, nondimeno non si fa nell’interiorità di ciascuna – tra una donna e il pensiero del canone patriarcale si trova la moltitudine dei desideri di libertà che altre hanno vissuto e detto in altre epoche, la potenza di tracce di vita «deperibili», che non sono entrate nella storia costituita da monumenti e documenti, e il pieno politico del suo tempo. L’interlocuzione si può dare dunque, ma passando per un uso selvaggio – che non rispetta la lectio né dell’erudizione studiosa né della versione egemonica – di elementi rubati, o meglio, riappropriati.

Così il riconoscimento ritorna, come relazione necessaria per conseguire l’autocoscienza, ma lo spostamento rivoluzionario sta nel rifiuto di qualsiasi simmetria: la donna non sta all’uomo come il servo al signore o, nei termini dell’epoca, non esiste una condizione femminile che duplicherebbe, o accompagnerebbe come questione derivata, la condizione proletaria e la sua lotta di emancipazione. Il salto fuori dalle coordinate hegelo-marxiste trova il proprio punto d’appoggio nelle vite e nella ricerca delle parole per dirlo: se relazione di riconoscimento c’è, è tra donne – il Diario di Carla Lonzi è anche la cronaca della relazione con Sara; l’autocoscienza come pienezza di un soggetto che si autodetermina sarà allora la pratica per la quale ciascuna può arrivare alla verità delle proprie contraddizioni e del proprio nascente desiderio. La pratica di un nuovo percorso di costituzione del sé, che prende forma nella relazione con altre, risonanza ontogenetica e storica di parole, esperienze, gesti che innesca «la nascita a soggetto delle singole componenti di una specie soggiogata dal mito della realizzazione di sé nell’unione amorosa con la specie al potere» (Rivolta Femminile, Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, p. 120).

«Il destino imprevisto del mondo sta nel ricominciare il cammino per percorrerlo con la donna come soggetto» (Sputiamo su Hegel, p. 47). Far saltare la relazione di dipendenza, obbedienza e inferiorizzazione instaurata dall’uomo, ancor di più le sue promesse di elargizione paternalistica di libertà e riscatto, per andare altrove. L’autonomia comincia col rifiuto del riconoscimento uomo-donna in quanto relazione già in partenza coercitiva: imprevisto è il gesto di rivolta che ricusa il ruolo di oggetto e, con esso, la salvazione per mano d’altri. (Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, p. 115). Imprevisto è il Soggetto che così ha inizio (Sputiamo su Hegel, p. 47).

L’autodeterminazione femminile comincia con l’esodo, il gesto di separarsi, verso uno spazio che è insieme «storico, psicologico e mentale» e su cui la facoltà di giudizio maschile – approvazione/disapprovazione, gratificazione/umiliazione – è sospesa, non ha più alcuna vigenza (Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, p. 118). L’abbandono della cultura della presa di potere è il segno specifico dell’irruzione del soggetto femminista nella storia: si tratta di un conflitto che non è dell’ordine del riconoscimento hegeliano, uno scontro sì, ma che si svolge su un altro piano rispetto a quello dell’antitesi dialettica – e, quindi, dell’unità sintetica come scopo finale (Sputiamo su Hegel, p. 42). Ma come può avvenire la lotta contro il patriarcato se non c’è una posta in gioco comune, se non si mira a che l’altro ceda un pezzo del suo dominio o dia riconoscimento nella propria lingua? Quando radicalmente si genera e rigenera la vita, accade che lo spazio guadagnato vada a scontrarsi con quelli ordinati altrimenti. Non uno scontro frontale, quindi, un attrito piuttosto, un conflitto distribuito in ogni luogo dove si compia questo gesto al contempo generativo e distruttivo. Gesto, che si pone a un livello molto alto. Lonzi, parlando di arte, filosofia e religione, afferma che «il femminismo deve misurarsi lì per vedere l’insufficienza del regime patriarcale» (Perché si sappia I, p. 110): la chiamata in giudizio è sui punti più alti dove il potere si esercita, insieme alla cultura, che è «valutazione dei fatti in base al potere». Il conflitto consiste dunque nel disfare gli effetti del potere per generare altro: «la donna non ha contrapposto alle costruzioni dell’uomo se non la sua dimensione esistenziale» – la vita … – «non ha avuto condottieri, pensatori, scienziati» – la storia. «Ha avuto energia, pensiero, coraggio, dedizione, attenzione, senso, follia» (Sputiamo su Hegel, p. 37). Averi, a partire da cui il Soggetto Imprevisto non ha smesso di farsi corpo nuovo sulla scena della storia, eterna ironia che pretende la «modificazione totale» della comunità, della vita, materiale e simbolica.

 

Immagine di copertina: Carla Accardi, Arciere su blanco, 1965