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Smagliature Digitali

Partendo dalla critica all’idea che la tecnologia, così come la vita, siano ambiti neutrali, Carlotta Cossutta, Valentina Greco, Arianna Mainardi e Stefania Voli, attraverso una serie di testi e di casi studio mostrano come per criticare politicamente questi ambiti occorra superare ogni tipo di binarismo e individualismo

L’universo intero tagliato in due e solo in due. In questo sistema di conoscenza tutto ha un diritto e un rovescio. Siamo l’umano o l’animale. L’uomo o la donna. Il vivo o il morto. Siamo il colonizzatore e il colonizzato. L’organismo o la macchina. Siamo stati divisi per norma. Tagliati in due. E poi costretti a scegliere una delle nostre parti. Quello che denominiamo soggettività non è altro che la cicatrice lasciata dal taglio della molteplicità che avremmo potuto essere

Paul B. Preciado

 

 

Le smagliature nella loro definizione biomedica sono cicatrici permanenti che derivano dalla rottura delle fibre elastiche della pelle. Queste rotture avvengono a causa di cambiamenti considerati traumatici per il corpo.

 Allungarsi, allargarsi, restringersi, cambiare forma. Sono eventi il più delle volte inevitabili, e spesso desiderabili nel corso di un’esistenza. Attraverso questi fenomeni passano storie pulsanti, deviazioni di cammino, cadute, fulgide riprese. Crescere, dimagrire, ingrassare, dimagrire ancora. La fisarmonica dei corpi è suonata da soffi di gioia e disperazione, la sua musica è in grado di modificare il corso della storia. Le striature della pelle sono il riflesso di questo.

Eppure se dovessimo attenerci alla mera descrizione scientifica non vedremmo altro che il risultato di un malfunzionamento del tessuto epidermico. La traccia di un errore biologico. 

Cosa succede quando rovesciamo il punto di vista con cui guardiamo ciò che si presenta come oggettivo?

È questo il grande interrogativo che attraversa la raccolta critica di saggi Smagliature Digitali.

Le quattro curatrici ci conducono per mano nel presente del dibattito transfemminista sulle tecnologie, e ci gettano nel vortice delle sfide future. L’ordine discorsivo e tecnologico è prodotto dai rapporti di potere che strutturano il vivere comune. Questo dominio tende a perpetuarsi lasciando ai margini, invisibilizzando o reprimendo, i soggetti e le condotte che incarnano altri mondi possibili.

Emerge l’urgenza di hackerare il sistema operativo del potere a partire da pratiche che proprio dal margine muovono per svelare l’oppressione della norma, la dittatura del normale.

 La tecnologia e i conflitti. Due elementi senza i quali, come dicono nell’introduzione le stesse curatrici, questo libro non esisterebbe. È grazie alla tecnologia infatti che quattro attiviste e ricercatrici precarie hanno potuto rimanere in contatto, comunicare, e ragionare insieme su questa antologia, pur muovendosi ognuna nel mappamondo su traiettorie instabili e divergenti.

Ma è anche e soprattutto dentro i movimenti di lotta transfemministi che questo libro trova la sua origine. Le maree che stanno inondando le strade del mondo e dell’Italia, scontrandosi ovunque con una rinnovata carica oppressiva dell’ordine patriarcale. Dentro le assemblee e le piazze di Non Una Di Meno, si sono incontrate e contaminate alcune delle parole e pratiche che delineano Smagliature Digitali.


I concetti di natura, bios, e di tecnologia, techné ci vengono generalmente presentati come neutri. Ma soprattutto separati e contrapposti. Se però abbandoniamo la visuale frontale posizionandoci alle estremità, intercapedini, vediamo che non solo il confine tra natura e tecnica è ogni giorno più labile, ma anche che entrambe sono socialmente prodotte e dunque possono essere attraversate e trasformate dai conflitti. I corpi non sono portatori di destini biologici ma spazi politici, tecnomodificati e modificabili. Ma se la tecnologia può essere uno strumento di liberazione dalla tirannia della natura, può rivelarsi anche un ripetitore di violenza molto efficace, in quanto esprime relazioni di potere, l’affermazione del modello dominante, maschile eterosessuale e bianco, lo stesso che la programma. 

Possono dunque i moderni strumenti tecnologici pensati e sviluppati come normalizzanti, essere stravolti negli intenti? Se la tecnologia è incubatrice di rapporti di potere, decostruirla è un atto politico. Ma come? I testi e i case studies raccolti dalle curatrici ci offrono diversi esempi di questi approcci possibili, uniti da un intento comune: porsi innanzitutto fuori e oltre qualsiasi binarismo, natura e tecnica, uomo donna, online offline.

 Si parte dagli appunti per una tecnologia transfemminista di Lucia Egana Rojas, si continua riflettendo su come dis/organizzare la sessualità attraverso la pratica del “fai da te” partendo dall’esperienza degli workshop di autoproduzione di sex toys raccontati da Ludovico Virtù. 

Ci si addentra nelle maglie della riproduzione biotech con Balzano e nelle normazioni della maternità veicolate da interfacce digitali apparentemente neutre, si analizzano con Virgili i manifesti cyborg, accelerazionistae xenofemminista come percorsi stratificati che deviano dal binarismo imposto e immaginato tra corpo e tecnologia, si arriva poi alla frontiera fra USA e Messico a individuare come il confine sia esso stesso una tecnologia che agisce sulla rappresentazione della sessualità, on e offline. Ricerche diversissime, sperimentali, disorganiche, interrotte e riallacciate, che scelgono di situarsi su quel margine, sulla striatura, fra soggettività incontenibili e sistema tecnonormativizzante.

In mezzo a queste ricerche, a rompere un ulteriore binarismo, quello fra ricerca e attivismo, il collettivo Zarra Bonheur, e le sue esperienze di contaminazione radicale di spazi fisici ed epistemologici. Tra le forme di riappropriazione tecnologica per intenti emancipatori troviamo l’esperienza di Obiezione Respinta che prende lo schema dello storytelling solipsistico 4.0 e lo trasforma in reticolato di sorellanza che predispone all’azione collettiva, l’esperimento Eva Kunin che usa l’editoria e i codici digitali per inventare attraversamenti urbani e ridisegnare geografie, e il grande lavoro Transcyborgllera, il primo archivio artistico, storico e politico queer, ipertestuale e in continuo divenire. E infine l’apertura di un interrogativo sul rapporto tra io, privacy e forme di controllo, nell’era della perpetua autoesposizione social, trattata nell’ultimo saggio di Cossutta e Mainardi. Azioni eterogenee ma unite dal tratto comune di essere andate oltre facili tecnoentusiasmi e obsoleti primitivismi, di aver cercato trovato e dilatato uno spiraglio fra le maglie precostituite della teknè, tutti esempi di smagliature, alterazioni, riprogrammazioni, possibilità di agire politico offerte da un approccio transfemminista alla relazione fra corpi e tecnologie.

Smagliature quindi che creano spazi, ed è proprio il concetto di spazio è l’elemento che ricorre trasversalmente nel testo. Il corpo come spazio abitato da desideri, la rete come spazio di emersione di rotture e alleanze, le città come spazi da risignificare con saperi ed esperienze collettive. Concetto oggi più che mai importante visto l’attacco istituzionale proprio agli spazi, fisici e virtuali, femministi e antirazzisti.

Ma c’è anche un altro concetto che è sempre presente tra le pagine di questa raccolta e, a differenza del primo, non viene spesso nominato esplicitamente. Il fil rouge di Smagliature Digitali è forse ancora più che lo spazio, l’agire. Tanto dai saggi che dai case studies, infatti, emerge come il solo rovesciamento possibile, di natura e tecnologia, come dispositivi di disciplinamento e sfruttamento, avviene nello stesso momento in cui si agisce, si produce o si rappresenta un’alternativa. Il margine, prima passivamente abitato diviene, se agito in quanto tale, una posizione di attacco. Per questo i movimenti di massa transfemministi, ma anche gli incontri, i presidi, le danze, che proliferano nei territori sono matasse energetiche in grado di dirottare gli algoritmi, e infestare i binarismi.

C’è invece un concetto assente nell’antologia, un’assenza che appare del tutto voluta, insita nello spirito del libro, e cioè l’intento di collocarsi fuori dal dibattito tra tecnoentusiasti e primitivisti. Questo grande assente è il concetto di tristezza. Tristezza è il nome che attribuiamo all’emozione del corpo isolato. Oggi la virtualità assume una porzione sempre più ampia del nostro tempo vita, e una parte molto consistente della nostra attività relazionale avviene in assenza di corpo. Dove restano questi corpi mentre siamo online? E cosa sentono? Nella miriade di interazioni virtuali sembra di non essere mai soli, mentre i corpi come involucri e accidenti si contraggono in se stessi, nei loro percorsi guidati della solitudine familiare quotidiana.

Smagliature Digitali ci pone di fronte alla necessità di decostruire il potere tecnologico, individuarne i meccanismi di sfruttamento e rivoltarne l’intento. A questo vorremmo aggiungere un altro piccolo tassello in un dibattito già ricchissimo e appassionante. Confrontiamoci anche sulla “tristezza”, in attesa di parole migliori per definirla, del corpo isolato, che è anche la tristezza delle città svuotate di luoghi di socialità trasversale. È ancora dentro la tecnologia e i suoi strumenti che si può trovare una risposta? Nella ricerca di ponti e alleanze fra esperienze digitali e in carne ed ossa, c’è forse anche spazio per ripensare il rapporto tra sensorialità e politica.