ITALIA

I riders delle piattaforme al tavolo con il governo: “Non per noi ma per tutti”

È in corso in via Flavia 6, sotto la sede del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il presidio dei riders delle piattaforme della così detta gig economy, che si apprestano a incontrare gli esponenti del ministero e del governo. Pubblichiamo la lettera distribuita in piazza a firma di Riders Union Bologna, Deliverance Milano, Riders Union Roma.

 

Oggi non siamo qua semplicemente come rider di Bologna, Milano, Roma e Torino. Portiamo a questo tavolo, all’attenzione delle piattaforme e soprattutto dell’opinione pubblica, un punto di vista comune che non parla solo di noi, di chi è seduto qua, ma che si è formato tramite tanti momenti di discussione e lotta fra ciclofattorini accomunati dalle stesse condizioni di vita e di lavoro. “Non per noi, ma per tutti”, lo diciamo da tempo. Quello che abbiamo da dire oggi è frutto di esperienze di sindacalismo sociale e metropolitano che hanno costruito la propria legittimità con scioperi, piattaforme rivendicative, assemblee di lavoratori, licenziamenti subiti e contestati.

In questi giorni abbiamo sentito tante e diverse proposte su come dovrebbe essere regolamentato il settore del food delivery. Poche partivano da quello che effettivamente i lavoratori chiedono e vivono. Anche molte aziende del settore hanno detto la propria ma da parte di queste ultime nulla di nuovo è stato messo sul piatto se non una fotografia del presente basata sul principio del business as usual fatto di co.co.co. o prestazioni occasionali arricchita da minacce vere o presunte (“siamo pronti a lasciare il mercato italiano”) o toni apocalittici (“non si possono concedere troppi diritti”).

La nostra posizione è semplice e, pur avendo bene a mente la specificità di ogni contesto cittadino e di ogni piattaforma, può essere condensata in due punti attorno ai quali tutti i rider sono pienamente concordi: riconoscere la verticalità del rapporto di lavoro, pur in presenza di una app; garantire tutele piene.

Il primo punto riguarda la qualificazione del rapporto di lavoro ed esprime la necessità di riconoscere il carattere asimmetrico del rapporto fra piattaforme e lavoratori. I vari gradi di etero-direzione ed etero-organizzazione permessi dalle app non cancellano, anzi rafforzano il potere di controllo, vigilanza e disciplinamento dei datori di lavoro. In quanto rider, rifiutiamo la retorica secondo la quale le aziende di food delivery sarebbero dei marketplace e i rider dei lavoratori autonomi che collaborano con le piattaforme. In questo, i rider sono rappresentativi di una trasformazione economica che vede la possibilità di organizzare e il lavoro e di trarne così i benefici produttivi ben oltre quelle condizioni che caratterizzavano la produzione industriale del passato. Non per questo deve essere calpestata la nostra dignità di lavoratori.

Che il lavoro sia fatto per poche ore a settimana o per tante, per un breve periodo o per tutta la vita, da studenti o da lavoratori all’ennesimo impiego poco importa: se il rispetto del lavoro non verrà garantito a tutti, allora tutti sono a rischio di vedere il proprio lavoro trasformato in ‘lavoretto’.

Il secondo punto riguarda invece i contenuti dei contratti. C’è bisogno di dare tutele piene e salario dignitoso a chi fa questi lavori. Si tratta di un aspetto che riguarda i rider così come tanti lavori considerati precari. Cosa vuol dire? Un monte ore garantito, un salario minimo (agganciato ai CCN di settore), copertura assicurativa INAIL piena per infortunio e malattia, contributi previdenziali, divieto del cottimo (in tutte le forme), abolizione di meccanismi di ranking, diritti sindacali.

Come trasformare dunque queste rivendicazioni in una proposta legislativa?

Lo diciamo chiaramente: adeguare la qualifica di subordinati ai rider ci sembra l’unico modo per rispettare pienamente quanto richiesto dai lavoratori stessi. Di più, osserviamo che è stato lo stesso Ministro del Lavoro, Luigi di Maio, a proporre nel cosiddetto “Decreto dignità” presentato 10 giorni fa un’estensione stessa della nozione di subordinazione, così da allargare le tutele che questa comporta anche a lavori come quello del rider.

Ciò non toglie che pensiamo debba essere garantita all’interno dei nostri luoghi di lavoro, ossia nelle città, la possibilità di un secondo livello di regolamentazione in merito a fattori contestuali o in merito ad aspetti specifici dei contratti. Questo non può che essere fatto attraverso un confronto pieno ed effettivo con le forme di organizzazione sindacale che gli stessi rider sceglieranno.

Da un punto di vista tecnico – purché vengano garantiti i diritti elencati in precedenza – le strade percorribili sono dunque diverse: una legge concertata tra le parti presenti oggi; un decreto legislativo del governo in seguito al tavolo di consultazione in corso; un accordo collettivo nazionale fra piattaforme e sindacati dei rider.

Sono strade percorribili? Sì, e non cerchiamo alibi. Una recente indagine dell’Adoc (Associazione dei consumatori) ha mostrato come gli stessi clienti sarebbero disposti a pagare di più i servizi di consegna se questo servisse a tutelare meglio i rider. In altri paesi i nostri colleghi hanno contratti diversi e migliori. Anche in Italia fino a qualche tempo alcune piattaforme applicavano la subordinazione ai propri lavoratori, finché la concorrenza sfrenata non ha forzato al ribasso le condizioni contrattuali di tutti i lavoratori.

Quello che chiediamo non è irrealizzabile se lo si vuole davvero e se nessuno si sottrae da una regolamentazione collettiva e uniforme.

Su questo non siamo disposti a trattare perché non è qualcosa che chiediamo in più ma il giusto che ci spetta.

Riders Union Bologna

Deliverance Milano

Riders Union Roma

 

Per approfondire: Riders la posta in gioco al tavolo con Di Maio di Alessandro Brunetti, consulente legale di Riders Union Roma