ITALIA

Rapporto Inail, più di tre morti sul lavoro al giorno

1221 decessi lo scorso anno, con una flessione rispetto al 2020 che però va valutato anche nel particolare contesto dell’epidemia, in cui si susseguono licenziamenti e delocalizzazioni oltre ai contagi

Alle trionfanti dichiarazioni del ministro della pubblica amministrazione Brunetta per l’aumento del Pil nel nostro paese (+6,3% secondo la stima preliminare diffusa dall’Istat), che dimostra a suo parere «la straordinaria resilienza della nostra manifattura», fanno subito da contraltare gli open data dell’Inail sulle morti sul lavoro:

1221 lo scorso anno, pari a 3,34 al giorno. Siamo praticamente di fronte a una seconda “epidemia” di bassa intensità, che si aggiunge e di fatto si intreccia con quella da Covid-19 che, fra le altre cose, ha messo in crisi le condizioni di sicurezza di tanti settori d’impiego nel nostro paese.

La flessione, che pur si registra, dei decessi rispetto al 2020 (-3,9%) rischia di trarre in inganno. Da una parte, infatti, è possibile osservare una preoccupante tendenza in crescita delle vittime sul posto di lavoro in Italia nell’ultimo periodo: secondo i dati dell’associazione indipendente Osservatorio Nazionale Morti sul Lavoro, dalla media giornaliera dell’1,56 del 2013 si cresce in maniera quasi graduale (1,85 nel 2015, 1,92 nel 2018) fino ad arrivare alle cifre di oggi.

Inoltre, come afferma lo stesso Inail in una postilla, il raffronto «richiede cautela in quanto i decessi causati dal Covid-19 avvengono dopo un periodo di tempo più o meno lungo dalla data del contagio».

Non c’è dubbio che ci si trovi in una congiuntura “eccezionale” per quanto riguarda il mondo del lavoro. Soprattutto nel settore della sanità, l’emergenza Covid ha creato nelle diverse fasi e ondate condizioni difficili per il personale sanitario che, oltre ai rischi legati al contagio, ha dovuto e deve affrontare stress e ritmi massacranti.

D’altra parte, la situazione sanitaria ha portato a modificare in molti casi alcune delle “modalità” di lavoro, con un impiego esteso del telelavoro laddove fosse possibile.

Tutto ciò si riflette anche nelle statistiche: non è un caso infatti che, rispetto all’anno precedente, nel 2021 si sia verificato un forte aumento degli infortuni sul tragitto di andata e ritorno fra casa e lavoro (+20,6%).

Il numero degli infortuni sul lavoro denunciati, a ogni modo, è aumentato in tanti settori produttivi, 555.236 in tutto, con un +6,9% nella gestione assicurativa Industria e servizi (da 279.792 a 299.147 casi) e addirittura un +29,2% nel Conto Stato (da 25.176 a 32.516).

Cala rispetto alla sanità e all’assistenza sociale, in cui però il numero delle denunce si aggira attorno alle 30mila e in cui una flessione, se si pensa che un periodo così problematico come quello di marzo-aprile 2020 non si è fortunatamente più ripresentato, appare del tutto “fisiologico”.

Ma, appunto, si tratta di un periodo “eccezionale”, e infortuni e decessi rappresentano solo la punta dell’iceberg.

Sotto al già accennato aumento del Pil (che comunque, fa notare il Mef, non potrà attestarsi sugli stessi livelli per il 2022), nel nostro paese sussiste una crisi del mondo del lavoro che si fa acuta soprattutto per quanto riguarda i salari (ha fatto scalpore la notizia per cui, contrariamente a tutti gli altri paesi europei, le retribuzioni in Italia sono calate del 6,5% tornando a livelli inferiori di quelli del 1990).

Taglio delle ore, perdita del posto di lavoro (nonostante il blocco dei licenziamenti, poi revocato), aumento delle delocalizzazioni fanno poi il resto.

Già ad aprile scorso i dati Istat denunciavano la perdita di quasi un milione di posti di lavoro a causa delle conseguenze economiche della pandemia, con un tasso di disoccupazione incrementato al 31,6% per i giovani fino ai 24 anni. Da lì sono poi iniziati numerosi licenziamenti di massa, alcuni dei quali saliti all’onore delle cronache come la vicenda Gkn di Campi Bisenzio, quella della Caterpillar di Jesi oppure il disastroso passaggio da Alitalia a Ita Airways. In un tale contesto vanno dunque inquadrate le cifre relative a decessi e infortuni. 

Un contesto in cui, se allarghiamo lo sguardo su scala globale, i decessi sul lavoro rappresentano comunque una delle maggiori cause di morte al mondo: stando a un report dell’Oil di qualche anno fa, infatti, è possibile imputare al lavoro quasi 2 milioni di vittime.

Tanti passi in avanti sono stati compiuti in merito all’esposizione a sostanze tossiche, che provocano diverse malattie letali non trasmissibili (81% dei decessi associati al lavoro nel 2016), ma il carico di fatica dovuto alle mansioni svolte e le condizioni non idonee rimangono tragicamente influenti.      

Immagine di copertina da Wiki Commons