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ITALIA

Ita Airways decolla, ma lascia a terra 8mila dipendenti. Continuano le proteste

Lavoratrici e lavoratori di Alitalia in mobilitazione, fra esuberi e mancati contributi. Grazie anche alla nascita del comitato Tutti a bordo la loro lotta si sta intersecando con le istanze di studenti, operai Gkn e movimento transfemminista

Esattamente due mesi dopo la fine di Alitalia e l’attivazione di Ita Airways, all’ingresso della sede centrale Inps di via Ciro il Grande a Roma c’è una grossa scritta con i caratteri e i colori della compagnia aerea che dice “Vergogna”. Attorno, come a fare da “tappeto rosso”, le bandiere di tanti sindacati di base e di categoria, da Usb, Cub ad Assovolo, che hanno convocato un presidio di protesta. «Ci sono lavoratori che da settembre non stanno percependo assolutamente nulla», ci spiega Maura Arnaboldi del comitato Tutti a bordo-No al piano Ita, formatosi a maggio scorso.

Negli ultimi tre mesi, infatti, l’erogazione della cassa integrazione base ha accumulato ritardi. Inoltre, mancano informazioni sulle remunerazioni di novembre e dicembre.

Considerando che per la maggior parte dei lavoratori tali entrate compongono l’unica busta paga e che è proprio in questo periodo dalla somma totale verranno trattenuti i conguagli della 730, penalizzando quindi il salario, la situazione è critica. «Se non fai casino, non ti danno niente. Se ne fregano», ci dice una delle persone presenti al presidio convocato davanti all’Inps, in occasione della riunione che deciderà dell’erogazione del fondo straordinario del trasposto aereo bloccato dal 21 settembre che permette di accrescere la cassa integrazione dal 60% all’80%. Siamo alla vigilia dello sciopero generale del 16 dicembre. Due giorni dopo, venerdì 17, lavoratori e lavoratrici di Alitalia e Ita Airways scenderanno ancora in piazza, a Santi Apostoli, Roma.

Una crisi dopo l’altra

Sul tema dei contributi per la cassa integrazione l’amministrazione straordinaria Alitalia e Inps stanno sostanzialmente giocando allo scarica barile, rilanciandosi la palla senza trovare una soluzione e lasciando i lavoratori nel limbo. Ma questa non è che l’ultima delle tante controversie che coinvolgono la compagnia aerea nazionale. Come riassumeva su DINAMOpress già un anno fa Gaetano De Monte, la storia di Alitalia assomiglia a un «cane che si morde continuamente la coda. Il privato fallisce nonostante la mole di profitti, accumulando debiti nell’azienda che è strategica per il paese e così il governo è costretto a intervenire aprendo i cordoni della borsa, nominando i suoi commissari straordinari. Imponendo il “suo” management».

In sostanza dal 2006, anno in cui l’allora governo Prodi iniziò a privatizzare la compagnia (collocandone il 37% delle azioni sul mercato), comincia un lungo periodo di cicliche crisi e successivi “rimpasti”: nel 2008 con Silvio Berlusconi al governo viene costituita la società Cai-Compagnia Aerea Italiana, presieduta dall’imprenditore Roberto Colaninno e composta da una ventina di imprenditori (i cosiddetti “capitani coraggiosi” raccontati dal giornalista Gianni Dragogni nel suo libro dedicato al caso) che decide di acquisire Alitalia per provare a risanarne i debiti.

Operazione fallita, visto che sei anni dopo – stavolta con Enrico Letta a Montecitorio – si va incontro a un’ulteriore ricapitalizzazione in cui entra in gioco anche la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti che acquisisce il 49% della proprietà della rinominata Sai-Società Aerea Italiana.

Ma non basta: già nel 2017 una nuova crisi fa sì che si verifichi l’ingresso in amministrazione straordinaria dell’azienda, gettando così le basi per gli ultimi sviluppi decisi dal decreto Cura Italia dell’anno scorso. Ita Airways, presieduta dal manager pugliese Alfredo Altavilla (per 30 anni in Fca e già braccio destro di Marchionne), acquisisce il marchio di Alitalia per 90 milioni di euro e inizia le proprie attività dal 15 ottobre 2021.

A fare le spese di questi complicati intrecci sono quasi sempre lavoratori e lavoratrici della compagnia: con il passaggio a Cai del 2008 per esempio le persone impiegate in pianta organica nella compagnia, tra personale viaggiante e di terra, scendono da circa 20mila a 12mila. Almeno 8mila esuberi, in quello che il Cub definì allora un «massacro sociale». Tredici anni dopo, le cifre sono praticamente le stesse: con l’attivazione di Ita Airways, altre 8mila persone lasciate a casa.

Più che una ricapitalizzazione dell’azienda, si è tratta di un vero e proprio “ridimensionamento”, come ci racconta Antonio di Cub.

Prosegue: «Ciò che sappiamo in questo momento è che sono stati impiegati 2mila lavoratori circa (il personale previsto inizialmente era di 2800 dipendenti, di cui 1600 come personale di volo tra piloti e assistenti e 1200 come personale di terra), mentre gli arei in flotta dovrebbero essere 52 anche se attualmente ne volano solo una trentina. Si tratta davvero di una piccola compagnia, rispetto a cui non c’è tra l’altro stata la possibilità di conoscere nel dettaglio il piano di rilancio: quest’ultimo era stato infatti presentato un anno fa, quando il presidente di Alitalia era Francesco Caio, in forma di bozza alle commissioni competenti in Europa, che risposero inviando un centinaio di domande e richieste di chiarimento al Mef. Da lì sono partite diverse trattative fra Europa e governo italiano, che hanno modificato il piano nella sostanza senza renderlo pubblico».

Il risultato è un “rilancio” che crea numerose problematiche per lavoratori e lavoratrici su diversi fronti: non solo gli 8mila esuberi e i ritardi sulla cassa integrazione, infatti, ma anche procedure di riassunzione del personale poco trasparenti e l’introduzione di un nuovo regolamento interno che sta falcidiano i salari (con riduzioni che arrivano anche al 40%, come nel caso dei comandanti di volo).

Un “pasticcio” in qualche modo certificato anche dai sindacati confederali di Cgil, Cisl e Uil che – convocati a sorpresa da Altavilla per un tavolo di discussione – il 2 dicembre hanno firmato un accordo sul Contratto Nazionale (che Ita Airways aveva inizialmente scelto di non sottoscrivere, “ancorando” i contratti a un semplice regolamento aziendale) con cui appunto si taglia il costo del lavoro.

A tutto ciò si aggiunge la controversia sull’articolo 7 del Dl 121/2021, il cosiddetto “decreto infrastrutture” che da alcuni è stato ribattezzato come “decreto della vergogna”: tale provvedimento consentirebbe infatti alla compagnia di Altavilla di aggirare la legge 2112 del codice civile, che garantisce la continuità occupazionale durante il trasferimento da una società a un’altra. «La firma dei confederali ha un po’ “tagliato le gambe” alle mobilitazioni di lavoratori e lavoratrici. C’è grande contestazione all’interno della categoria, ma è pur vero che il governo tira dritto e il sindacato praticamente gli fa da stampella. Ci saranno le cause, i dipendenti stanno impugnando l’illegittimità. Ma cosa succederà? Arriverà prima il giudizio dei tribunali oppure un altro fallimento e la fine di Ita Airways?» – conclude Antonio, sostenendo l’ipotesi per cui Ita starebbe preparando la compagnia per cederla alla concorrenza Air France, Lufthansa e British Airways, portando di fatto al termine l’esperienza aerea italiana.

Discontinuità e divergenze

In questa storia di continue crisi e fallimenti, però, qualcosa sta forse cambiando sul fronte dell’organizzazione delle lotte. Come anche succedeva in passato, lavoratori e lavoratrici protestano, scendono in piazza, chiamano presidi e contestazioni sia all’aeroporto di Fiumicino che – come settimana scorsa – alle sedi Inps: è sostanzialmente dall’aprile scorso che si susseguono mobilitazioni di vario tipo. A maggio, inoltre, è nato il comitato autorganizzato Tutti a bordo-No al piano Ita (la cui storia viene tra l’altro raccontata nel libro Alitalia-cronaca di una lotta esemplare, appena uscito). Nonostante il “piano Ita” si sia ormai concretizzato e siano decollati i primi voli della nuova compagnia che va a sostituire Alitalia, il comitato non si è sciolto ma anzi continuano a crescere numericamente in termini di adesioni.

«Continuiamo a ribadire che quel piano non ha senso, non è credibile e va cambiato», ci raccontano Maura Arnaboldi e Daniele Cofani. «Rimaniamo coerenti in quanto abbiamo denunciato sin qui e i fatti non ci smentiscono: da tempo dicevamo che il passaggio a Ita Airways sarebbe stato un danno per il paese per la sostenibilità del suo sistema di trasporto, senza parlare poi dei licenziamenti e di tutti i danni che stiamo vedendo sulle singole persone, sulle famiglie e su tutte le professionalità impiegate sia a terra che in volo».

Il comitato si è costituito a seguito di un’assemblea di lavoratori e lavoratrici che aderivano alla stesura di un manifesto di protesta e fin da subito si è delineato come strumento democratico che rispondesse alla necessità di autorganizzarsi indipendentemente dalle sigle sindacali e per radicalizzare la posizione contro il piano Ita.

L’obiettivo del comitato è anche quello di far convergere all’interno della lotta tutti i settori di Alitalia, sia la parte di “volo” che quella di “terra” che comprende anche handling (assistenza a terra per aerei e passeggeri) e manutenzione, indistintamente dal fatto che le persone fossero appunto iscritte o meno a un sindacato. Il gruppo si ritrova periodicamente per discutere e prendere decisioni: si basa su una democrazia orizzontale, c’è una presidente, un gruppo promotore più ristretto di una ventina di persone e uno più ampio di aderenti che sono circa cinquanta (in maggioranza donne) a rappresentare praticamente tutte le categorie lavorative: un pilota, assistenti di voli, operai della manutenzione e del carico-scarico, impiegati e lavoratori di altre città. «C’è un reale confronto e quindi non c’è nessuna volontà di far predominare la propria idea su quella dell’altro e questa è una cosa che non succede nelle organizzazioni sindacali, anche di base», puntualizza Daniele. «Proviamo invece a mettere in campo una discussione franca, lineare, che porti a una sintesi fra le diverse posizioni».

Forti di un’analoga esperienza referendaria del 2017, la prima iniziativa dell’organizzazione è stata costituita da una raccolta firme che chiedeva alle organizzazioni sindacali di utilizzare lo strumento del referendum per ogni decisione che veniva presa sulla testa dei lavoratori.

Negli anni passati, infatti, lo stesso strumento fu utilizzato da lavoratrici e lavoratori per bloccare il licenziamento di 1600 persone e per fermare i tagli ai salari, grazie a un 68% di persone che aderì per respingere la decisione. Questa estate il comitato si è poi diviso in gruppi per coordinare i banchetti all’esterno di diversi aeroporti (Roma, Linate, Reggio Calabria, Venezia), ai varchi di uscita degli operai e nei parcheggi degli impiegati Alitalia.

Sono state raccolte 3mila firme a dimostrazione della volontà dei dipendenti di essere partecipi alle decisioni rispetto al proprio futuro. A dimostrazione anche di una sempre più netta sfiducia nei confronti dei sindacati, in particolar modo di quelli confederali che nel caso di Alitalia hanno appoggiato il piano Ita firmando gli accordi del 2 dicembre.

Da lì, il comitato ha continuato a essere presente in piazza e a far sentire la propria voce, ad allargare la loro rete anche con lavoratori di altre aziende e vertenze non prettamente legate al mondo del lavoro come con gli studenti e i movimenti transfemministi. Commenta Maura: «Nessuna di queste piazze è slegata dall’altra e nessuno di questi problemi, da quelli degli studenti a quelli dei precari, dai problemi che interessano i disoccupati a quelli che coinvolgono le donne è scollegato. La cosa bella che abbiamo capito nel nostro comitato è che ci riguarda tutto, non ci sentiamo estranei a nessuna lotta».

Non è infatti un caso che in un sempre maggior numero di mobilitazioni – dallo sciopero generale dei sindacati di base dell’11 ottobre alle proteste di operai e operaie di Gkn fino alla marea transfemminista del 27 novembre – siano presenti rappresentanze del mondo di Alitalia in lotta. «La narrazione che viene fatta della vertenza Alitalia, così come dell’occupazioni della scuola sono tossiche», continua Maura. «Non affrontano il vero problema ma raccontano che in questo paese sta andando tutto bene, che siamo in un governo meraviglioso con situazioni che ci faranno stare bene. Noi lo sappiamo tutti i giorni che non è vero, lo sappiamo come lavoratori Alitalia e lo sanno gli studenti».

Venerdì scorso, in concomitanza con le rivendicazioni Alitalia in piazza dei Santi Apostoli, anche gli studenti sono scesi nelle strade di Roma per un partecipato corteo.

A oggi sono 40 gli istituti superiori occupati in capitale, studentesse e studenti rivendicano investimenti economici sulla scuola, ristrutturazione degli edifici, ridiscussione del modello “alternanza scuola-lavoro”, soluzione alle classi pollaio e agli orari a scaglionamento a seguito della pandemia, attenzione alla salute mentale. «Ci è venuto naturale nel momento in cui abbiamo sentito delle prime occupazioni studentesche su Roma, prendere contatto con questi ragazzi e vedere se c’era possibilità di dialogo. Loro sono stati ben contenti di invitarci nelle loro occupazioni per raccontare la nostra lotta, è successo con il Morgagni, Montale e Socrate», racconta Daniele.

Un percorso simile è stato intrapreso da parte del comitato nei mesi precedenti con lavoratori e lavoratrici di Gkn, su cui aggiunge ancora Daniele: «Li abbiamo presi un po’ come esempio, sia rispetto alla loro modalità di organizzazione da collettivo che non è prettamente un sindacato anche se all’interno ci sono dirigenti o comunque rappresentanti sindacali, sia rispetto alla radicalità del gesto di occupare la fabbrica e al loro modo di comunicare. Il 18 di agosto, con un caldo della miseria, abbiamo deciso di fare una macchinata e raggiungerli alla manifestazione che avevano indetto a Firenze, nonostante si trattasse di un’iniziativa prevalentemente regionale».

A stretto giro dalla giornata del 16 dicembre, in cui Cgil e Uil sono scese in piazza, viene allora da chiedersi se una vera “generalizzazione” degli scioperi e delle lotte sul lavoro non passi soprattutto da qui. Non passi cioè da quei percorsi di alleanza e di protesta che lavoratrici e lavoratori stanno mettendo in campo in modo spontaneo e autogestito e che – visto il crescente attacco ai diritti e la strage quotidiana sui luoghi di lavoro – non sembrano certo destinati a scemare.

Tutte le immagini di Patrizia Montesanti