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ITALIA

Il lavoro femminilizzato usura: infortuni, malattie professionali e disabilità da lavoro

Il lavoro femminilizzato in Italia offre poche tutele, un alto rischio di infortuni e malattie croniche, in un contesto in cui il lavoro di cura di persone piccole e anziane pesa quasi esclusivamente sulle donne

Il mercato del lavoro è segmentato da un punto di vista di genere, cioè esistono dei settori in cui sono occupati prevalentemente uomini (conduttori di veicoli, macchinari mobili e di sollevamento, artigiani e operai specializzati dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici) e settori in cui sono occupate prevalentemente donne (l’insegnamento, i servizi di pulizia, di assistenza alla persona). Questa divisione è visibile già dalla prima infanzia, ed è imperniata intorno ai ruoli e alle aspettative di genere che ognuno di noi subisce e performa. Ed è una divisione che definisce le diseguaglianze di potere economico e sociale tra i generi. Inoltre questa divisione binaria uomo – donna dei dati sul mercato del lavoro invisibilizza le esperienze delle persone trans, queer e non binarie, spesso fortemente discriminate, se non marginalizzate ed espulse dal mercato formale del lavoro. 

Questa segmentazione porta gli uomini a lavorare nei settori più pericolosi e usuranti. Nel 2023 dei 1.041 morti sul lavoro il 91,7% dei casi riguarda uomini, il 73,7% delle malattie professionali denunciate sono riferibili agli uomini e riguardano il sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo. 

Eppure il rapporto Inail sugli infortuni e sulle malattie professionali delle donne afferma che «Il 2022 è stato l’anno in cui gli infortuni sul lavoro che hanno coinvolto le donne hanno registrato, rispetto al 2021, una vertiginosa impennata (+42,9%)».

Le donne infortunate sono passate da 200.557 a 286.522. Anche per gli uomini sono aumentati gli incidenti ma in misura minore, un +16%, da 354.679 a 411.251 denunce. L’aumento generale tra il 2021 e il 2022 degli infortuni è largamente influenzato dalla pandemia di Covid-19, che ha lasciato emergere quel mondo del lavoro femminilizzato, con bassi salari e poche tutele. 

«Gli infortuni sul lavoro correlati al virus, infatti, dall’inizio dell’emergenza sanitaria hanno coinvolto maggiormente le donne (68%) – leggiamo sempre nel rapporto Inail – perché numericamente più presenti in quegli ambiti lavorativi con un’esposizione elevata al rischio di contagio come, ad esempio, il settore della sanità e dell’assistenza sociale, la grande distribuzione, le pulizie». Ma se nel 2021 era ancora in essere il lavoro agile, molte donne nel 2022 sono dovute tornare nei luoghi di lavoro e questo ci spiega anche l’aumento degli infortuni cosiddetti “tradizionali”. Tutto questo va pensato alla luce di un paese con un tasso di occupazione femminile al 52,2% (tra i più bassi d’Europa) e un tasso di inattività del 42,2%. 

Disabilità per infortunio o per malattia professionale 

Secondo i dati ANMIL, nel 2020, nel nostro Paese, circa 3 milioni e 100mila (il 5,2% della popolazione) persone avevano difficoltà a svolgere le abituali attività quotidiane a causa di problemi di salute di vario genere. Di questi i due terzi (2,05 milioni circa) sono donne, mentre un terzo (1,05 milioni) sono uomini.

Le lavoratrici vengono classificate “disabili da lavoro” quando hanno subito una menomazione di particolare gravità (grado tra 16% e 100%) e hanno pertanto diritto a un sostegno particolare, compresa la rendita vitalizia. Ebbene ogni anno in Italia circa 2.000 donne diventano “disabili da lavoro” a seguito di un infortunio o una malattia professionale, su un totale di circa 12.000.

La stragrande maggioranza delle donne disabili da lavoro, circa 68.000 (l’86,8% del totale), è stata vittima di un infortunio. Per 10.000 donne la disabilità deriva invece dall’aver contratto una malattia professionale. E se per la disabilità motoria la causa è legata quasi esclusivamente (95,1%) all’impatto traumatico che caratterizza l’infortunio sul lavoro, per la disabilità psico-sensoriale – e soprattutto per quella cardio-respiratoria – risulta nettamente prevalente l’effetto subdolo e prolungato dell’insorgenza della malattia professionale.

Di queste donne disabili, il 56,7% (circa 31.000) sono in età pensionabile e perciò considerate inattive; il 40% (circa 22.000) è già occupato e solo il 3,3% (1.800 circa) non lo è. Questi dati dimostrano che le donne disabili da lavoro hanno un tasso di occupazione del 40%, significativamente superiore a quello delle donne disabili in generale (pari al 26,7%). Bisogna tuttavia considerare che si tratta di donne che già lavoravano prima dell’incidente e che, essendo per la stragrande maggioranza dei casi il grado di inabilità inferiore al 33%, hanno potuto in buona parte continuare a lavorare. 

L’incremento degli incidenti

Negli ultimi anni abbiamo visto un incremento di infortuni sul lavoro per incidenti dovuti a un’accelerazione, sovraccarico da lavoro, mancata sicurezza sul lavoro e una manodopera con un età lavorativa avanzata che non sostiene il carico da lavoro, con l’insorgere di malattie professionali che causano disabilità anche gravi. Fino al peggior epilogo, la morte sul lavoro e per lavoro. 

A prevalere sono i disturbi nevrotici, legati a stress lavoro-correlato, ad esempio per mobbing (l’82% per le donne e il 76% per gli uomini), seguiti dai disturbi dell’umore (rispettivamente il 14% e il 20%). A seguire ci sono le malattie professionali che riguardano l’apparato muscolo-scheletrico e queste a lungo termine espongono le risorse lavorative a un maggior pericolo di infortuni di disabilità permanenti o semipermanenti. 

Nel 2021 l’età media all’infortunio per le lavoratrici è di 42 anni, il maggior numero dei casi è tra i 50/59 (59.257). In questo contesto, le commissioni mediche del lavoro e l’Inail stanno adottando metodi sempre più restrittivi per il riconoscimento delle invalidità dovute al lavoro e per le ridotte capacità lavorative.

Un dato che, però, non viene mai preso in considerazione è quello relativo al lavoro riproduttivo domestico. Gli infortuni da lavoro domestico di cura gratuita nel 2021 sono stati 541 e hanno riguardato quasi esclusivamente le donne, con 13 casi mortali e 137 casi di menomazione permanente (si contano solo due casi di uomini).

Questo dato ci rivela plasticamente il grande non detto dell’economia: il lavoro domestico è ancora quasi totalmente a carico delle donne e le espone a infortuni gravi con possibili danni permanenti.

Per quanto riguarda gli infortuni su strada nella tragitto casa – lavoro, le donne sono maggiormente coinvolte rispetto agli uomini: 21% delle donne, rispetto al 16% degli uomini, con un’incidenza maggiore anche per gli incidenti mortali, 1 donna su 3 muore, contro 1 uomo su 5. Anche qui, il tema è la sostanziale diseguaglianza nella ripartizione del lavoro di cura nelle famiglie, dove le donne spesso devono mantenere un precario equilibrio tra dimensione lavorativa e familiare con possibili ripercussioni sul recupero della stanchezza, esponendo le donne a un maggior rischio. 

A questa divisione di genere va aggiunta una questione di classe: sono infatti le donne più povere e con minor scolarizzazione a essere impiegate nei lavori meno tutelati, e quindi più esposte al rischio di subire infortuni o contrarre malattie croniche da e per lavoro. Queste incontrano inoltre maggiori ostacoli nel vedere riconosciuti i propri diritti, avendo maggiore difficoltà a barcamenarsi nella burocrazia obbligatoria per vedere riconosciute indennità e sussidi. 

Quindi, le donne nel nostro mercato del lavoro, lavorano meno, in settori meno remunerati, e sono esposte a infortuni e malattie professionali tanto nel lavoro professionale, quanto dentro casa, con poche e sempre meno tutele. 

Immagine di copertina di Ginevra Bonina, Catania, passeggiata rumorosa, novembre 2023