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ITALIA

La Caterpillar di Jesi. Favola operaia con lieto fine incerto

Nello stabilimento di Jesi sono 270 i lavoratori che perderanno il posto: 200 assunti e 70 stagionali. La Fiom: «Per noi è il momento della mobilitazione, venderemo cara la pelle. Faremo di tutto perché la produzione resti a Jesi». Il 23 dicembre manifestazione cittadina

Una giornata senza pretese

L’incontro tra la dirigenza della Caterpillar di Jesi e i delegati dell’Rsu dello stabilimento era fissato per le 11 della mattina di venerdì 10 dicembre. Un fatto un po’ strano, di solito le convocazioni per questi incontri di routine sono fissati per le 9. Niente di particolare, comunque, tutti si aspettano che si tratterà di un’amabile chiacchierata: Caterpillar è un’azienda sana, che lavora molto, anzi moltissimo: a Jesi ormai da mesi si lavora su tre turni giornalieri, con ampio ricorso agli straordinari e gira insistentemente la voce della trasformazione di una ventina di interinali in contratti a tempo indeterminato. Vuoi vedere che la locomotiva Italia sta ripartendo davvero, che il rimbalzo dopo l’annataccia abbondante del Covid è sul serio una cosa che porterà a migliorare le condizioni di vita reali delle persone, che tutto quel tirare la cinghia alla fine ha portato a qualcosa di buono.

Quando però i delegati sindacali fanno il loro ingresso in sala riunioni non trovano volti sorridenti. Né trovano gli interlocutori di sempre: di solito al tavolo ci sono il capo del personale, il direttore di produzione e il capo della logistica. Seduto al centro c’è il nuovo direttore, Jean Mathieu Chatain, nominato alla fine di novembre, vicino a lui un signore che si presenta come avvocato. E intorno tre guardie del corpo che guardano il vuoto davanti a sé.

Cos’è quest’aria tesa? Caterpillar sarebbe un colosso multinazionale da 97.300 dipendenti, 500 stabilimenti nel mondo, 42 miliardi di fatturato e 4.6 miliardi di utile. Una realtà universalmente ritenuta solida e affidabile.

Chatain sì e no saluta con un cenno, poi, come se stesse parlando del tempo, annuncia che «in data 2 dicembre» il consiglio d’amministrazione ha deliberato di chiudere la sede di Jesi. «Ragioni di mercato», aggiunge. In pratica, fatti due conti, è venuto fuori che i cilindri fabbricati nelle Marche costerebbero il 20% in meno se prodotti in un altro stabilimento e addirittura -25% se venissero esternalizzati, passati all’indotto.

Quelli dell’Rsu manco replicano: si alzano e vanno via. Sono 270 i lavoratori che perderanno il posto: 200 assunti e 70 stagionali, per la precisione. Il ritorno in fabbrica è tetro e sfibrante: gli operai del turno della mattina, appresa la notizia, mollano tutto e vanno verso i cancelli della fabbrica. C’è chi piange, chi la prende con rabbia, chi cerca di razionalizzare, chi ancora non capisce.

Sempre accompagnato dalle tre guardie del corpo, a un certo punto, arriva pure Chatain. Prende il megafono in mano, affronta la piccola folla operaia, si batte la mano sul petto. Si dice dispiaciuto. E però è fermissimo: si chiude. Entro febbraio tutti fuori, intanto lui in persona si impegna a cercare di vendere lo stabilimento. Dall’altra parte gli operai prima mormorano, poi rumoreggiano con maggiore intensità, infine cominciano ad avvicinarsi minacciosi a Chatain, che in tutta fretta risale nella macchina che l’ha portato sin lì e fugge. Gli operai lanciano oggetti, qualcuno prova addirittura a inseguire il veicolo del direttore, ma viene fermato sia dai suoi colleghi sia dalle forze dell’ordine che nel frattempo sono arrivate.

La piccola Milano

Nel 1977 quella che oggi si chiama Caterpillar era la Sima, produceva «i migliori cilindri oleodinamici d’Europa» (o così almeno dice lo storico Tullio Bugari) per conto di Iveco, soprattutto, ma anche della multinazionale americana che tempo dopo avrebbe rilevato tutto. Jesi era detta «la piccola Milano» – particolare peraltro riemerso la scorsa estate, quando qualche giornale ha deciso di mandare un inviato in città per scoprire le radici del ct campione d’Europa Roberto Mancini – perché l’industria meccanica e l’agricoltura sembravano aver arricchito un sacco di gente, molto più che nelle altre aree industriali delle Marche, Fabriano con la sua aristocrazia industriale targata Merloni e Ascoli Piceno, storica cuginetta povera beneficiata dalla Cassa del Mezzogiorno.

Jesi era il sogno borghese fatto cittadina, un vero self-made town, c’è anche una grande scuola di scherma, sport aristocratico sottratto ai conti e ai marchesi e regalato ai figli dei professionisti: proprio vero che con il sudore della fronte si può raggiungere qualsiasi risultato.

Nel 1977, però, la Sima entra in crisi. Succede. Vanno bene la favola del successo provinciale, i sorrisi e le strette di mano, ma poi quando i conti in tasca non riportano la soluzione, allora come oggi, è sempre la stessa: licenziare, ridimensionare, rivedere al ribasso gli accordi sindacali.

Gli operai, comunque, resistono. E con loro tutta la città: le manifestazioni si susseguono giorno dopo giorno, tutti sembrano mobilitati per i lavoratori della Sima, arriva addirittura una lettera di solidarietà firmata da 1.400 studenti. Non si sa bene come, a un certo punto, un viaggio istituzionale del presidente Pertini viene dirottato verso Jesi per fargli incontrare gli operai in lotta. A furia di insistere, la crisi rientra e la Sima riprende a produrre con i ritmi di sempre.

La crisi industriale successiva scoppia nel 1989, e anche lì la resistenza dei lavoratori e la solidarietà cittadina fanno sì che, ancora una volta, la situazione non degeneri. Nel 1996 la svolta definitiva: Caterpillar Hydraulics compra tutto e garantisce crescita, stabilità e solidità. Tutto vero. Fino alla settimana scorsa.

Tempi supplementari

Giovedì 15 dicembre, all’ennesima assemblea convocata dalla Fiom, un operaio di 58 anni – cuore debole e voce di tuono – si accascia a terra. L’ambulanza lo porta via. Niente di grave, due giorni di ricovero e poi di nuovo a casa. Nelle pieghe delle cronache più piccole si trova il senso della storia. Cosa vuol dire perdere il lavoro a qualche anno dalla pensione? Cioè, come si sopravvive nel frattempo? Come ci si sente quando si realizza che il 20% del costo di un pistone è l’unità di misura di quel che resta della propria vita?

La lotta alla Caterpillar va avanti, ma nell’aria si respira soprattutto stanchezza. L’azienda, dopo aver annunciato la chiusura, è sparita. Non si fa vedere né sentire: i tavoli proposti dalla Regione Marche sono stati ignorati e quello che si aprirà al Mise non sembra comunque in grado di garantire sviluppi positivi.

«Questi non sono come Elica», commenta un sindacalista della Cgil alludendo a un altra vertenza che si è trascinata negli ultimi mesi, quella della ditta di cappe da cucina di Fabriano: 400 licenziamenti annunciati ad aprile poi tradotti in 150 dimissioni da concordare. Non un successo pieno, ma, spiega sempre il sindacalista di cui sopra, «è dal 2018 che non c’è una vertenza che finisce bene in Italia». La scena che si presenterà al Mise appare già scritta: «Caterpillar non ha mai preso una lira pubblica, nessuno potrà dire niente».

E allora, che si fa? Ci si arrende? Tiziano Beldomenico, segretario regionale della Fiom, annuncia battaglia: «Per noi è il momento della mobilitazione, venderemo cara la pelle. Non si sa dove vogliano delocalizzare la produzione, né a noi interessa saperlo. Faremo di tutto perché la produzione resti a Jesi».

Giovedì 16 dicembre gli operai di Caterpillar si sono presentati a Roma, per la piazza nazionale dello sciopero generale. Sono stati citati spesso durante i comizi di Pierpaolo Bombardieri e Maurizio Landini. Il tempo stringe, se tutto andrà come secondo i piani della dirigenza, a febbraio il lavoro sarà perduto e resteranno solo gli ammortizzatori ad accompagnare gli operai verso l’uscita.

Sarà un Natale di protesta a Jesi: per il 23 dicembre è convocata una manifestazione. In città sarà presente anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando. A dire cosa, però, non si sa.

Immagine di copertina di Renato Ferrantini, sciopero generale a Roma, 16 dicembre

Immagini nell’articolo dell’autore dell’articolo, presidio davanti alla Caterpillar di Jesi