PRECARIETÀ

Non si può morire così, a vent’anni, tra ciminiere e tamburi

Un anno fa moriva Giacomo Campo, l’ultimo operaio in ordine di tempo deceduto all’Ilva di Taranto. Negli ultimi cinque anni sono morti sette operai lì dentro. Mentre i dati degli infortuni dopo 20 anni sono in aumento in tutta Italia, è in gioco lo stesso diritto alla vita dei lavoratori.

«Il giorno in cui morì Giacomo Campo decisi che bisognava schierarsi dalla parte della verità. Raccontare senza indugi come si vive, soprattutto, come si muore in quella fabbrica. In realtà lo facevo già attraverso le mie poesie. Ma da quel momento in poi pensai che bisognava urlare più forte per chiedere a gran voce rispetto e dignità per i lavoratori e i cittadini». A parlare così è Vincenzo De Marco, operaio per professione, poeta per passione, si definisce. L’uomo lavora all’interno dell’altoforno 4 dell’Ilva di Taranto e di recente ha pubblicato la ristampa de “Il mostro, versi di amore e rabbia” una raccolta di sessanta componimenti, un racconto in versi con al centro l’Ilva e i suoi operai. Una delle poesie l’ha dedicata proprio a Giacomo Campo, suo collega di reparto deceduto un anno fa, il 17 settembre del 2016 e ultima «morte bianca» in ordine di tempo all’interno della fabbrica di Taranto, dove sette operai hanno perso la vita negli ultimi cinque anni.

Morire a vent’anni, un anno dopo. «Non è giusto morire così, a vent’anni, mentre la luna non si è ancora ritirata, tra ciminiere e tamburi», si legge in un verso del componimento che Vincenzo De Marco ha recitato nella piazza del comune in provincia di Taranto dove Giacomo viveva con la famiglia, a Roccaforzata. E dove qualche giorno fa l’associazione Arci Spazio Sociale aveva organizzato un momento di riflessione per ricordare il giovane scomparso. All’incontro erano stati invitati i sindaci dei comuni del circondario (quasi tutti non pervenuti) e la stessa amministrazione comunale di Roccaforzata, che non ha mandato alcun rappresentante. Il sindaco del capoluogo, Rinaldo Melucci, imprenditore portuale che fino a qualche mese fa era interessato con le sue società a rilevare i servizi marittimi di Ilva, invece, aveva mandato una lettera alla famiglia del ragazzo scrivendo che: « A 25 anni, uscire da casa per andare al lavoro e non farvi più ritorno per un tragico incidente è un avvenimento che si fa fatica non solo ad accettare, ma perfino a commentare». Non soltanto, il sindaco si auspicava anche che: «Questi momenti di commemorazione, così intimi e per moltissimi ancora tanto dolorosi, non vengano offuscati dalle polemiche».

La ricerca della verità. Romeo Cappello è lo zio di Giacomo. Quella mattina di un anno fa è stato lui per primo a raccogliere da terra il corpo schiacciato del ragazzo. «So soltanto che mio nipote era a letto a riposare, quando è stato chiamato d’urgenza alle quattro del mattino per un nuovo turno. È una vittima della produzione sfrenata, a tutti i costi, è stato mandato a pulire il nastro trasportatore senza che nessuno si fosse accertato prima che l’area fosse stata messa in totale sicurezza». Per il resto, dice: «Ci sono diversi testimoni, tanti suoi colleghi che hanno raccontato la verità e non hanno ceduto ai ricatti e alle intimidazioni. Anche se Giacomo non me lo restituirà più nessuno, pretendo giustizia, per tutti i morti all’interno e gli ammalati all’esterno della fabbrica ». Erano appena le sette del mattino, quel 17 settembre di un anno fa. Giacomo Campo era addetto alle pulizie industriali, lavorava per un’azienda subapaltatrice dell’indotto Ilva, la Steel Service. Avrebbe dovuto rimuovere la polvere prodotta dalla dispersione del minerale, ma è rimasto schiacciato tra un nastro trasportatore e il rullo compressore. A venti cinque anni. La ricostruzione della dinamica dell’infortunio è stata affidata all’ingegner Maurizio Sorli, docente del Politecnico di Torino. La Procura di Taranto aveva aperto un’inchiesta, iscrivendo come atto dovuto nel registro degli indagati dodici persone, tra cui il direttore dello stabilimento Ilva, Ruggiero Cola. Mentre si aspettano le conclusioni dell’indagine aperta dal magistrato Giovanna Cannarile, è ancora Romeo Cappello (lo zio di Giacomo) che ci tiene a ricordare l’impegno nella costante ricerca della verità da parte del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Il governatore negli ultimi mesi è stato fisicamente molto vicino alla famiglia e anche l’altra sera, nella piazza di Roccaforzata, la Regione Puglia era l’unica istituzione a presenziare.

Bisogni di Stato? Proprio nelle ultime ore, Michele Emiliano ha espresso apprezzamento per la scelta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di inaugurare a Taranto il nuovo anno scolastico. «Il Presidente ha intuito che questa città ha bisogno della vicinanza dello Stato, ha bisogno veramente non di una vicinanza formale ma sostanziale. Parlerà ai nostri bambini, oggi, quei bambini che a Taranto soffrono molto più che in altre città», aveva detto Emiliano. E con lo stesso Mattarella, che aveva spiegato: «La scelta di Taranto intende rifarsi al carattere di questa città, di antiche radici storiche, di grande tradizione cultural,; di frontiera non soltanto geografica, di territorio in cui si riflettono le complessità e anche le contraddizioni dello sviluppo del Paese». Poi, ha anche ammonito: «Salute, occupazione, tutela ambientale rappresentano valori fondamentali e costituzionalmente garantiti, tra cui istituzioni e società devono costantemente ricercare e trovare il punto di equilibrio positivo, con l’obiettivo preminente della centralità della persona».

Sicurezza sul lavoro, morti in aumento Oltre i buoni auspici, a destare preoccupazione sono i dati diffusi dall’Osservatorio indipendente sui caduti del lavoro di Bologna (fondato da Carlo Soricelli 1° gennaio 2008 pochi giorni dopo la tragedia della ThyssenKrupp di Torino, dopo aver visto che non era possibile trovare sul web notizie in tempo reale sulle morti sul lavoro). L’Osservatorio ha registrato nei primi otto mesi del 2017 «487 morti per infortuni sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno, oltre 1000 morti se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere». Dice Soricelli: «Non tutti gli indennizzi sono riconosciuti dall’Inail, dallo Stato di solito vengono riconosciuti soltanto il 65% dei morti sul lavoro. È come se un 35% di quelle morti sparisse ».

I rimedi normativi Eppure le leggi esistono. La cosiddetta legge 81 del 2008 (ex 626) e successive modifiche, il Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, comprende all’interno anche delle disposizioni in materia di procedura penale, specialmente all’art. 61. Ovvero, si prevede che, per i casi riconducibili all’omicidio colposo o a lesioni personali colpose: «Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni o che abbia determinato una malattia professionale si instaura automaticamente una istruttoria di tipo penale a carico dei soggetti inadempienti coinvolti».