OPINIONI

Ah, la maledizione!

A monte delle ipotesi sulla diffusione del contagio e gli effetti economici di breve e medio periodo, è evidente che la maggiore responsabilità per la crisi attuale risale alle scellerate politiche di tagli alla sanità, che discendono con molte altre misure, dall’impostazione riassunta nella modifica del 2012 all’art. 81 della Costituzione sul pareggio obbligatorio di bilancio, sintesi e pretesto di tutte le strategie neoliberali.

Prima o poi gli spregiudicati imprenditori lombardi e i padroncini leghisti si renderanno conto di stare assassinando i loro genitori, i loro operai, gli acquirenti delle loro merci sul mercato interno (quello estero se lo sono già giocato) e cominceranno a sospettare che non è detto che essi stessi troveranno un posto in terapia intensiva nelle cliniche padane o nei rifugi svizzeri o provenzali. Allora sospenderanno molte fabbricazioni di merci non essenziali, finiranno gli “assembramenti” in fabbrica e nei capannoni, la ressa sui treni locali, gli autobus e la metro e il contagio rallenterà. L’avidità di profitto sta pesando sulle curve di contagio ben più della frenesia dei runner e delle smanie apericenistiche. Tutto avverrà molto prima se gli amministratori regionali e i governanti nazionali decideranno un intervento drastico, se non altro per salvarsi il culo prima della moria dei loro elettori e della fuga dei sopravvissuti.

Ma voglio tenermi nelle mie competenze, con un cenno assai sommario a quanto comunque viene discusso a livello non professionale, per poi risalire a ciò che più è mio, cioè ai presupposti e agli esiti politici del fenomeno.

Tuttavia anche i virologi, che ne sanno molto di virus e dei loro meccanismi di riproduzione e inserimento parassitario nelle cellule viventi, sono divisi sulle strategie di contenimento della pandemia sul piano collettivo e sull’interruzione dell’infiltrazione su quello individuale.  Hanno ricostruito lo spillover iniziale del Coronavirus e offerto modelli matematici purtroppo plausibili della diffusione del contagio, ma la novità del virus e la poca conoscenza del suo potenziale mutageno ha reso finora solo sperimentale l’adozione di pratiche farmacologiche antivirali di massa efficaci, ferma restando la tecnica antichissima dell’isolamento dei focolai e del distanziamento personale. Neppure c’è concordia sul rapporto fra pandemia e condizioni ambientali al contorno, anche se è forte il sospetto che l’inquinamento da polveri sottili abbia svolto un ruolo preparatorio, a fianco della concentrazione di popolazione, della fitta presenza di allevamenti intensivi e industrie e della densità dei traffici interni e fra zone colpite in modo abnorme e i primi ipotetici focolai, Cina e Germania.

Figuriamoci poi il brancolare dei politici, limitato alla gestione amministrativa del confinamento e ai rimedi tecnici alla spaventosa crisi economica che ha preceduto, accompagnato e ancor più seguirà la pandemia. Il disorientamento dei governi mondiali  (non escluso, almeno all’inizio, quello cinese, che pure ha conseguito i maggiori successi) è in parte giustificata dalla novità e violenza del fenomeno e che, a parte le sbavature razziste, l’avvoltoio Salvini e l’idiozia congenita di Trump o di Bolsonaro, si sono limitati (come tutti noi) a seguire e adattarsi al vertiginoso susseguirsi di eventi inaspettati (contagi sintomatici e asintomatici, guarigioni, aggravamenti e morti), magari con un certo ritardo nel ricavare utili lezioni dai paesi dove, per ragioni tuttora misteriose di sviluppo ineguale, il contagio era stato più rapido e letale. Prendersela oggi con gli errori di Fontana e Zaia, la #Milanononsiferma di Sala e le giravolte di Conte ha senso quanto la ricerca del mitico paziente zero o le teorie complottistiche sul virus straniero fuggito da un laboratorio militare.

Tutti hanno sbagliato e poi cercato di correggersi sforzandosi, finora senza troppo successo, di appiattire la curva ascendente del contagio, ma è inutile criticarli senza aver una risposta più efficace, tranne il consiglio pressante (alfine recepito nel DPCM del 22.3, con molte deroghe volute dalla Confindustria) di fermare uffici e fabbriche non essenziali e di ridurre l’esposizione dei lavoratori del commercio. Resta però aperto l’elenco delle fabbriche autorizzate, oggetto di un braccio di ferro con gli industriali più accaniti,  e su questo i sindacati minacciano lo sciopero generale. Parole, è molto più probabile che la cosa sarà risolta con l’iniziativa dal basso, cioè con agitazioni spontanee.

Facciamo però un passo indietro per vedere le responsabilità reali di quanto è successo e provare a capire come potrà ripartire la macchina produttiva dopo una non breve interruzione pandemica. Come vuol dire diversamente da prima e per questo bisogna tornare sul prima della pandemia.

Prendiamo un passaggio esemplare, il cui carattere formale e simbolico accompagna e sintetizza molte misure concrete: l’inserimento in Costituzione, con emendamento all’art. 81, del principio di pareggio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, Napolitano regnante e Monti governante, su impulso, anticipatamente recepito, del fiscal compact europeo, firmato dall’Italia il 2 marzo 2012, che vincolava i Paesi dell’Unione a modificare in tale senso la loro legge fondamentale entro un anno. Ma già il 30.11. 2011, con scarsissimo dibattito e nel silenzio assordante dell’informazione mainstream, la Camera aveva approvato la modifica in terza lettura con 489 voti favorevoli su 511 presenti, 3 contrari e 19 astenuti (a favore il Pd, l’allora numeroso Pdl berlusconiano, Lega, Italia dei valori e frattaglie varie), e il Senato completerà l’iter il 18 aprile 2012 a maggioranza assoluta (235 sì, 11 no e 24 astenuti), stavolta con la dissociazione tattico-ricattatoria di Lega e IdV. L’obbligo di pareggio e sostenibilità viene esteso alle altre amministrazioni pubbliche (Comuni, Province, città metropolitane e Regioni) con i concomitanti emendamenti agli articoli 97 e 119 della Costituzione.

Una cosa di carte scritte, si dirà, e neppure presa sul serio, tanto che il debito pubblico continuerà a crescere vertiginosamente e ad accumularsi con gli interessi, ma in realtà quell’intenzione proclamata e male attuata serviva non solo a giustificare la perdita della sovranità economica e fiscale (sono gli anni della trojka per la Grecia e dello spauracchio di farla venire in Italia), ma a “mitigarla” facendo un ricorso sistematico ai tagli di spesa e di servizi e alle privatizzazioni selvagge, svendendo beni pubblici e sopprimendo servizi essenziali o accrescendone il costo e la rarità. Procedure, del resto, in corso già da parecchi anni prima, sotto governi di centro-destra e di centro-sinistra.

Facciamo un esempio “a caso” e non mi si accusi di farla facile.

Il settore più bersagliato dai tagli, per l’incidenza sul bilancio di stato e regioni, è stato quello della sanità. Taglio delle allocazioni, quindi dei piccoli ospedali (via 175), dei posti letto (70.000 in meno in un decennio) e delle attrezzature sanitarie (in primo luogo postazioni di terapia intensiva e respiratori).

Poi sforbiciata su medici e infermieri (rispettivamente -8.000 e -13.000 fra il 2009 e il 2015), assurda instaurazione del numero chiuso a medicina (e adesso si reclutano pensionati nella fascia d’età più contagiabile o si importano valenti professionisti da Cuba e dalla Cina). Nei pronto soccorso e nel 118 si impiegano gli specializzandi e comunque tutto personale a tempo determinato, precarizzando un servizio la cui necessità e il cui livello di rischio oggi sono lampanti e, anzi, sollecitano la peggiore retorica sugli “eroi” e sugli “angeli” – come si usa quando non si vuole chiamare in ruolo il personale e mantenerlo con salari bassi. Il tutto a vantaggio di una sanità privata, che costringe gli italiani a indebitarsi per visite specialistiche e analisi di laboratorio tempestive e non si occupa di urgenze, prevenzione e pandemie.

Ognuno di quei 733 parlamentari che hanno approvato il pareggio “obbligatorio” ha sulla coscienza le sue conseguenze inevitabili, cioè la sua brava quota di morti in intensiva o in solitudine domestica di Bergamo, Brescia, Torino e chissà dove nelle prossime settimane. I loro successori, che hanno sempre rifiutato i tentativi di rimodificare l’art. 81, ora si guardano bene perfino dal riunirsi per curie di un terzo, tanto hanno paura del contagio che hanno contribuito a diffondere e rendere mortale con le loro impenitenti scelte passate e presenti di austerità neoliberale. Un autentico esempio di immunità di gregge alla coscienza umana e politica.

Ah, la maledizione! ­ Per dirla con Rigoletto, il melodramma più nazional-popolare che ci sia.

L’austerità italiana, simboleggiata in quell’innocuo emendamento, era solo la ricaduta provinciale in una situazione di scarsa autonomia economica e di schiacciante debito pubblico, di una linea generale della Ue e in prima fila della Germania, che l’imponeva agli altri forte della sua sostanziale sovranità monetaria (dato che l’euro era modellato sul vecchio marco tedesco). Ora, di fronte alla pandemia tutti i dogmi del patto di stabilità, formula di ogni fiscal compact e strategia di austerità, sono crollati miseramente, ma proprio alla vigilia del contagio, quando le crisi si stava già delineando, la Germania aveva cominciato a perdere colpi e l’attivo di bilancio si era rivelato una trappola che portava alla caduta delle esportazioni e del Pil. Oggi la Merkel, prima di andare in quarantena, postula uno sforamento del 4% in deficit.

Il virus non ha fatto che ratificare e amplificare un fallimento catastrofico che ha chiuso la fase di incerta riscossa dopo la precedente e irrisolta crisi del 2008.

Tutto risolto dunque? Ci buttiamo il passato alle spalle perdonando i colpevoli mezzi pentiti, che adesso iniettano liquidità nel sistema, o meglio promettono che lo faranno spargendo denaro non si sa bene se alle banche o ai soggetti dell’economia reale e soprattutto a chi ne ha bisogno?

Niente affatto!

Non possiamo pronosticare alcunché sui tempi dell’esaurimento della pandemia, che potrebbe facilmente trasformarsi in morbo endemico. E siamo pure sicuri che si verificheranno altre pandemie (come l’Oms aveva preannunciato dopo la Sars). E stiamo toccando con mano che le perdite per l’economia mondiale, allo stato ovvero a bocce non ferme, sono già dell’ordine del 10%. All’ordine del giorno è dunque una ristrutturazione sistemica, imposta nel breve periodo nella pandemia, in quello medio (e forse connesso) dall’emergenza ambientale: sia esso un nuovo ciclo del capitale o un cambiamento radicale dei rapporti di classe e geopolitici.

In entrambi i casi il rifinanziamento massiccio della sanità sarà prioritario perfino rispetto alla ripresa di un mero sviluppo quantitativo e di un ritorno al consumismo di prima. Le compatibilità finalizzate al profitto finanziario non saranno replicabili, perché perfino il mercato poggia su corpi viventi e a volta per sopravvivere occorre spendere in deficit.

La globalizzazione di inizio millennio sarà come la Belle époque all’indomani della Prima guerra mondiale: irripetibile e trasfigurata nel ricordo. Per questo ricordare le responsabilità, chi e cosa ci ha portato a questo punto serve a ribadire che va cancellata non solo la strategia economica e politica del neoliberalismo, ma anche il ceto politico che l’ha promossa o vi si è associata da complice. Maledetti, ma soprattutto inadeguati a uscire fuori dal collasso di sistema. Non voglio neppure immaginare l’immediato futuro sanitario, produttivo e occupazionale. Solo che non dovremo più vedere certe facce e sopportare certi leader.

Per criminalità o per inettitudine, ma dovranno andarsene. Loro, l’invasione dei barconi, le regole di compatibilità, prima gli italiani, tutto andrà bene, il suprematismo bianco, l’Italia che riparte.

Ah, la maledizione! Niente di personale, beninteso. Solo distanziamento sociale.