PRECARIETÀ

Alitalia, i lavoratori dicono no a ricatti e sacrifici

Storia di una lotta che non è finita

Dopo il ‘no’ di Almaviva, arriva quello di Alitalia. I lavoratori e le lavoratrici respingono un accordo lacrime e sangue confezionato dal Governo e dai sindacati confederali, dopo un mese e mezzo di intensa mobilitazione sindacale. Ogni ristrutturazione di Alitalia, a cominciare dalla privatizzazione, è stata pagata dai lavoratori e dai cittadini, socializzando le perdite e privatizzando i profitti, un risultato dell’incapacità e del carattere predatori del grande capitalismo italiano e della politica di ogni colore. Con dignità e coraggio è stato bocciato un piano fatto di licenziamenti, peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali. Governo, azienda e Cgil-Cisl-Uil, sicuri del risultato, hanno scompostamente attaccato il comportamento di lavoratori. Ora il 12 maggio un nuovo sciopero indetto dal sindacalismo di base.

 

I lavoratori Alitalia rispediscono al mittente il ricatto del Governo e di Cgil-Cisl-Uil

Dopo poco meno di un mese di trattative a porte chiuse, senza neanche un’ora di assemblea sui posti di lavoro, Cgil-Cisl-Uil si sono presentati di fronte lavoratori di Alitalia a chiedere l’approvazione di un piano fatto di tagli di licenziamenti e sacrifici per tutte le categorie. Nonostante questo il risultato inequivocabile, che ha visto una netta affermazione dei ‘no’ con il 67% dei voti e un’altissima percentuale di affluenza, è stato un vero schiaffo per i sindacati confederali, e ha avuto il potere di gettare nel panico il primo ministro Paolo Gentiloni e mezzo governo, schierato attivamente per il sì.

I lavoratori e le lavoratrici Alitalia hanno rispedito al mittente l’ennesimo piano di ristrutturazione/dismissione, costruito a loro discapito, senza neanche nessuna garanzia di sviluppo industriale per l’ex compagnia di bandiera. Eppure il risultato ha stupito tutti: troppo abituati sindacati concertativi e istituzioni a vedere i lavoratori accettare veri e propri ricatti camuffati da accordi. Mentre la triplice trattava con il Governo però, dallo scorso novembre un’ondata di proteste che ha visto anche cinque scioperi, non sempre unitari, del sindacalismo conflittuale segnava il clima nell’azienda tra il personale di terra e quello di volo. Quattro scioperi in un mese e mezzo: 23 febbraio, 8 marzo (in combinazione con lo sciopero globale delle donne), il 20 marzo e il 5 aprile.

 

Su cosa si sono espressi i lavoratori Alitalia?

Nell’estate del 2016 viene fuori che Alitalia-Sai – la società succeduta ad Alitalia Cai con l’ingresso di Ethiad – che ha un buco di bilancio di 600 milioni di euro. Viene così annunciato un piano di rilancio aziendale, che in un primo momento avrebbe dovuto essere pubblico a dicembre 2016. Di rimando in rimando si arriva a fine marzo. A quel punto è chiaro che l’unica cosa sicura è l’annuncio di 160 milioni di euro di taglio del costo del lavoro: 80 milioni sul personale di terra, 83 su quello di volo. Eppure il ministro Calenda aveva promesso una ristrutturazione industriale all’insegna dell’espansione: appare subito paradossale basare un piano di rilancio aziendale a partire dal solo taglio del costo del lavoro.

La proposta di partenza parla di 2037 esuberi. Di cui 1300 lavoratori dipendenti a tempo indetermina, 558 precari – di cui molti vicini a maturare i 60 mesi di rinnovi contrattuali necessari per vedersi assumere a tempo indeterminato – 141 lavoratori nelle sede esteri. Ma non basta: viene indicata la data di maggio 2017 per un nuovo contratto aziendale che vede turni di lavoro più pesanti (fino a 12 ore consecutive) e meno riposi. Previste anche nella contrattazione di secondo livello proposta nuove assunzioni con contratti ‘low cost’. Per il personale di volo proposto un taglio fino al 30% del salario e carichi di lavoro più alto, con il taglio degli assistenti di volo su alcune categorie di volo.

L’esito della trattativa lampo portata avanti dai sindacati confederali ha come effetto una riduzione degli esuberi dei lavoratori dipendenti da 1300 a 980: Susanna Camusso ‘cuor di leone’, aveva dichiarato che sarebbe stata contenta di vedere gli esuberi a tre cifre e non a quattro, ed è stata evidentemente accontentato. I tagli salari passano 30 al 20% circa per personale in volo, dove l’8% è rappresentato dal taglio del salario fisso, a cui si aggiunge il taglio di alcune indennità di volo, voci che rappresentano parte significativa del salario. Nessun salvataggio per i precari e la prospettiva di una ricontrattazione aziendale con la pistola puntata alla tempia.

Questo il contenuto su cui si sono espressi i dipendenti Alitalia.

 

Modello Rayanair per chi lavora

Del piano industriale, tolto il piano di taglio ai diritti e i licenziamenti, si da ben poco, se non la volontà di portare la flotta Alitalia di diminuire la sua operatività da 120 a 100 aeromobili. Fino al 2007 erano 220. Siamo di fronte quindi a un ulteriore ridimensionamento. Il costo del lavoro incide sui costi generali di Alitalia per un 16%, inferiore ad altri vettori come Lufthansa, British Airlines e AirFrance, addirittura in linea con alcune compagnia low cost. Non comparabile però con Rayanair che usa massicciamente forza lavoro fornite dalle cooperative, dove i piloti si portano il panino da casa e per lavorare devono dar vita a delle srl.

La ristrutturazione del 2008 con la privatizzazione è costata 10.000 posti di lavoro e il 7% di salario medio. Un’operazione fallimentare costata miliardi alle tasche pubbliche che dopo 4 anni vede l’ingresso di Ethiad, che lascia a terra altri aerei e porta il licenziamento di altri 2251 lavoratori. Il rilancio tanto atteso e promesso ancora una volta non si vede. “C’è una sperimentazione in un settore fortemente in espansione. Non siamo in una fabbrica di bottoni che può essere delocalizzati. Parliamo di un settore in crescita dove le condizioni salariali e normative continuano a peggiorare. L’obiettivo è sostituire i lavoratori con forza lavoro a basso costo e precaria: modello low cost” spiega Antonio Amoroso, segretario nazionale della Cub-Trasporti, principale fonte della redazione di questo articolo.

 

Nessun futuro per Alitalia?

Cosa accade ora? Difficile da capire: Calenda propone un prestito ponte di 300/400 milioni, mentre certo è l’arrivo di un commissario e che Alitalia non sarà nuovamente nazionalizzata. Una proposta quest’ultima caldeggiata invece dalla Cub-Trasporti. Amoroso spiega: “Non si tratta di scaricare sui contribuenti i conti in perdita, ma di come valorizzare un patrimonio strategico per la collettività, perché i vettori low cost non fanno sistema”. Alitalia dal 1970 al 2014 è costata 7 miliardi e mezzo, di questi ben quattro e mezzo dal 2008 al 2014, in epoca di privatizzazione. Il commissariamento “non è un fatto di per sé negativo”, sottolinea ancora Amoroso, ma tutto dipende tutto dall’indirizzo politico.

Ma era davvero l’unica possibilità quella dell’accordo sottoposto ai lavoratori? Nel piano presentato al netto del risparmio sul lavoro rimangono altri 450 milioni di negativo: come si riempiono? L’idea del Governo evidentemente era quella di tagliare il costo del lavoro per vendere alcuni settori al miglior offerente, ‘spacchettando’ i vari rami per regalarli al migliore offerente, scaricando definitivamente il ‘problema’ Alitalia sul mercato.

Possibile che lo Stato che ha speso 20 miliardi di euro per salvare il sistema bancario decide di non intervenire in un settore strategico e in crescita? – si chiede Amoroso – Perché privarsi della compagnia che fa ‘sistema’ e che può costruire un sistema industriale, magari strutturando alleanze strategiche con Ferrovie ed Eni (ricordiamoci che il grosso delle spese di una compagnia aerea è il carburante)”.

 

Sciopero il 12 maggio: “Si riparte dalla parola dei lavoratori”

Cleofe Tolotta, coordinatrice nazionale Usb Alitalia, non nasconde che la fase è difficile. “È stato presentato un piano prendere o lasciare – spiega – Di fatto la proposta era sacrifici contro lavoro: ma i dipendenti Alitalia già si sono fatti carico tre volte di piani industriali presentati come di rilancio. I risultati sono cosa nota. Per questo hanno detto ‘no’ con forza, perché il piano non era credibile per esperti del settore, quanto per chi sta da anni lavora dentro l’azienda. I confederali hanno fatto il grave errore di non consultare i lavoratori nella fase della vertenza”. Ora però si riparte dal risultato del referendum e dalla voce dei lavoratori: “Il Governo può fare molto ora, superato lo sconcerto si deve preoccupare di dare prospettive, riaprendo la trattativa dal risultato del referendum: ci auguriamo che si veda l’opportunità di rilanciare Alitalia, di renderla produttiva e strategica a partire dai 24 milioni di passeggeri che trasporta. Qui non si tratta di chiedere soldi in modo passivo ma di rendere produttiva un’azienda che è un bene di tutti”.

Intanto il 12 maggio sarà di nuovo sciopero. Non lasciamo da soli i lavoratori e lavoratrici di Alitalia che hanno avuto il coraggio dire ‘no’.