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Al di là della riforma costituzionale: riapriamo un dibattito costituente

Giovedì 1 dicembre alle 16, iniziativa alla Sapienza per discutere la riforma nella facoltà di Scienze Politiche. Un’occasione di dibattito per il NO, con Luigi Ferraioli e Fulco Lanchester

A ridosso della data stabilita per il referendum, l’Università è stata animata da continui dibattiti e momenti di discussione relegati tuttavia al solo format da talk show in cui battagliavano le ragioni del NO e del SI. Come studenti e studentesse della Facoltà di Scienze Politiche, siamo invece convinti dell’importanza di aprire un dibattito reale che parli sì della riforma, ma allo stesso momento sia capace di andare oltre la giornata referendaria.

Tale convinzione nasce dalla consapevolezza che il sapere debba riacquistare quella sua sostanza critica e di analisi che, a partire dagli aspetti tecnici, dai singoli articoli della riforma, contestualizzi quest’ultima in un quadro politico più complesso.

La modifica costituzionale vorrebbe incidere su ben 47 articoli della Costituzione: un cambiamento epocale. Tuttavia, nonostante siamo convinti dell’importanza di una riforma, crediamo che quest’ultima non dovrebbe nascere da una necessità politica o da tatticismi della maggioranza governativa in Parlamento. La stessa propaganda per il SI ha attribuito al referendum connotati populisti incentrando il tutto sulla necessità di un cambiamento che parta dal taglio dei costi della politica, passando per lo snellimento dell’iter legislativo, fino ad arrivare ad una ricomposizione totale del rapporto Stato/regioni.

Ma è veramente in questo clima che dovrebbe avvenire una modifica così importante della Costituzione? Non manca forse un elemento imprescindibile nella riscrittura della Carta Costituzionale? E soprattutto: se la proposta di una revisione viene avanzata dal governo, si può parlare effettivamente di potere costituente? La scrittura della Carta Costituzionale del 1948 ci racconta un’altra storia: è nata da due anni di lavoro da parte dell’Assemblea Costituente, espressione della società che la Carta andava a rappresentare. Una società, straziata dalla guerra e da vent’anni di dittatura fascista, in cui il potere costituente ha trovato forma in tutte quelle istanze sociali (dai comunisti ai democristiani) che chiedevano un cambiamento. Ad oggi tutto questo manca. In Italia è da anni, forse decenni, che non si ha un dibattito che prima di tutto indaghi e studi la Costituzione. Noi, in quanto studenti e studentesse, nuova generazione costretta a vivere la crisi e l’austerity, sentiamo la necessità di riaprire spazi di confronto e di democrazia. Vogliamo dar vita ad un effettivo dibattito costituente e sociale nella convinzione che un miglioramento della carta costituzionale è necessario, specialmente nella fase che ci troviamo ad attraversare. Analisi che deve necessariamente partire da tutte le componenti sociali e non dalle volontà di un governo senza alcuna legittimità di apportare un cambiamento cosi importante. Partendo da queste piccole ma utili riflessioni siamo arrivati alla conclusione che è necessario e importante modificare la Costituzione, perché crediamo fortemente che la semplice interpretazione e attuazione non sia più sufficiente. Arrivati a questo punto, sorge un ulteriore problema. Nei fatti, con l’avvento delle crisi e dei relativi pacchetti di austerity, la Costituzione è stata già modificata sia nella sua definizione formale che in quella materiale. Queste modifiche rispondono ad una logica neoliberale in cui questa riforma rientra a pieno. L’elemento che accomuna questi cambiamenti è il loro carattere esclusivo, la tendenza a riscrivere un patto sociale che però vede estromesse le nuove generazioni e la componente migrante da ogni tutela e diritto. Il tutto secondo la retorica che vede nella stabilizzazione delle banche e dei conti pubblici degli Stati l’elemento fondamentale per il ritorno ad un periodo di crescita e prosperità.

Questa riforma non fa altro che costituzionalizzare una tendenza ormai evidente: lo smantellamento dello Stato sociale in nome di una ristrutturazione neoliberale basata su una maggiore stabilità ed esecutivizzazione del potere come unica risposta alla crisi. E’ proprio in nome di questa stabilità che lo Stato ha assunto una nuova maschera: quella del federalismo esecutivo, teoria politica che mantiene una gestione federalista dei rapporti tra soggetti statali, rimandando però tutte le funzioni nelle mani dell’esecutivo. A supporto di questa precisa forma politica vi sono due punti cardine della riforma: la clausola di supremazia, presente nell’articolo 117, che in nome di un imprecisato interesse nazionale permette allo Stato di legiferare sulle materie di competenza regionale, e il meccanismo dell’indebitamento come strumento di governo, presente nella nuova riforma agli articoli 116 e 119, che vincolano la capacità normativa delle regioni e delle città ai loro pareggi di bilancio (elemento introdotto già precedentemente con la modifica dell’articolo 81). In altre parole, strumenti di veloce attuazione che permettono politiche di estrazione e di privatizzazione a partire dalla burocratizzazione e centralizzazione del potere nelle mani del governo. L’amministrazione, per conto del mercato, prende dunque il posto della politica come espressione e rappresentanza di un dèmos sociale.

Questa analisi deve essere riportata all’interno di una riflessione più ampia. Nei fatti di fronte alla crisi economica e sociale stanno tornando alla ribalta nuove forme di populismo in cui l’elemento di discriminazione razziale, se prima strisciante, ora viene utilizzato a scopo propagandistico. La politica isolazionista, tanto vantata da Trump, trova consensi in tutto il mondo, specialmente nella sua accezione di esclusività dei diritti, garantiti ormai solo ad una fascia specifica della società che cambia caratteristiche a seconda del luogo. Per esempio in Italia sta piano piano attecchendo il concetto di meritocrazia per cui i diritti e i sussidi sono solo per chi se li merita. In Europa ci sono sempre più muri, nascono regimi fascisti (Orban in Ungheria; la nomina presidenziale di un ex generale delle forze armate in Bulgaria), si stipulano accordi con la Turchia fascista di Erdogan.

Ad oggi è necessario invertire la rotta, rimettere mano alla Carta Costituzionale, iniziando con l’opporsi a questa riforma che racchiude in sé un’idea di Stato e di democrazia che non ci rappresenta. Il nostro No però non deve essere assolutamente difensivo, ma in grado di rilanciare fin da subito proposte e principi che partano da desideri, passioni e istanze di una società civile fatta di corpi in movimento.

Per noi dire NO significa costruire la consapevolezza di cosa è già cambiato sul piano dei rapporti materiali e di come effettivamente poter aprire un vero processo costituente che accolga tutte le istanze delle varie componenti della società. Per questo abbiamo deciso di dar vita il 1 Dicembre ad un dibattito aperto, che vedrà la partecipazione del Professor Lanchester e del Professor Ferrajoli, con la necessità di analizzare e studiare la riforma in tutta la sua complessità e aprire un reale dibattito sociale e costituente che possa prendere forma a partire dal 5 dicembre.

Evento Fabebook dell’iniziativa:

https://www.facebook.com/events/600920146763989/

Laboratorio di Scienze Politiche sulla Riforma Costituzionale