MONDO

Vittoria indigena e popolare in Ecuador contro il governo e il FMI

Dopo 12 giorni di scioperi, mobilitazioni e repressione nelle strade e nei territori di tutto il paese, l’insurrezione indigena e popolare contro il governo di Lenin Moreno e dell’Fmi ha registrato una prima parziale vittoria: verrà ritirato il decreto 883. Ma occorre vigilare sul rispetto della volontà popolare e sul nuovo decreto annunciato dal governo

Ieri notte durante il dialogo tra il governo e i leader della rivolta popolare ed indigena, garantito da Onu e Conferenza Episcopale dell’Ecuador, è stato annunciato il ritiro del cosiddetto Paquetazo, il decreto 883 che prevedeva l’eliminazione dei sussidi per la benzina, l’abbassamento del 20% degli stipendi dei lavoratori pubblici precari e colpiva duramente l’economia dei contadini, dei settori popolari, dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

La durissima repressione del governo – che ha causato 10 morti, centinaia di feriti e oltre un migliaio di arresti – non ha fermato la lotta indigena e popolare: dai primi scioperi di autotrasportatori e tassisti, fino allo sciopero generale e all’insurrezione indigena e popolare, con delegazioni che da tutte le province del paese hanno raggiunto in decine di migliaia la capitale, l’Ecuador ha vissuto giornate intense e drammatiche. 

 

Negli ultimi giorni la situazione era diventata insostenibile: da una parte durissima repressione e violenza di forze poliziesche e militari con lo stato d’assedio e il coprifuoco; dall’altra l’estensione della protesta e della solidarietà sia a Quito e in Ecuador che in America Latina e nel mondo. La lotta non si è fermata perché, come afferma la leader indigena Katy Machoa, «queste politiche neoliberali vanno contro gli interessi popolari, con le pressioni del FMI cercano di riattivare l’economia degli imprenditori ma non quella della gente, del popolo, dei contadini».

 

Dopo il coprifuoco dichiarato dal governo per le ore 15 di sabato, migliaia di persone hanno resistito nelle strade, sulle barricate e nella Casa della cultura diventato il centro organizzativo delle assemblee popolari e il cuore della protesta. Nonostante violentissimi attacchi polizieschi, la Comune di Quito ha resistito facendo appello alla popolazione affinché sostenga le rivendicazioni popolari.

 

Nella notte di sabato, infatti, in tutti i quartieri vi sono stati cacerolazos fino a notte fonda contro il governo, che a questo punto ha dovuto cedere.

 

Cacerolazos in tutti i quartieri. Foto di Wambra.

 

Domenica sera, infine, il governo, con l’intermediazione di Chiesa e Onu, ha acconsentito a un tavolo di dialogo con i leader indigeni. L’incontro è stato trasmesso in streaming: i leader indigeni hanno chiarito che vogliono la pace per il paese, che denunciano la repressione e che fin dall’inizio hanno posto le loro condizioni. Una su tutte: il ritiro immediato del decreto. E così è stato. Adesso si aprirà un tavolo per una soluzione condivisa, perché il governo ha annunciato che sostituirà il decreto 883 con uno nuovo che verrà redatto da una commissione nominata ieri durante l’incontro.

 

Per queste ragioni la Conaie e le altre organizzazioni che hanno partecipato alle proteste invitano a mantenere alta l’attenzione per garantire che l’accordo venga rispettato e che il decreto che sarà approvato raccolga le rivendicazioni dei movimenti. Ma si manterrà alta la mobilitazione anche per chiedere verità e giustizia per i dieci manifestanti caduti nell’ultima settimana per mano della repressione del governo, per chiedere la libertà immediata degli oltre mille arrestati e il rispetto dell’accordo politico.

 

Nella notte lunghi festeggiamenti nelle strade dopo l’annuncio della Conaie durante l’assemblea popolare con oltre cinquemila persone presenti alla Casa della cultura, quartiere generale della comune di Quito.

 

Festeggiamenti alla Casa della Cultura. Foto di CoopDocs.

 

Una sconfitta del Fondo Monetario Internazionale e del governo di Lenin Moreno, una vittoria dei movimenti popolari che nella fase che sta vivendo l’America Latina in questo momento assume una straordinaria rilevanza: tra poche settimane ci saranno anche le elezioni in Bolivia, Uruguay e Argentina, dove un nuovo ciclo di lotte si è aperto contro le misure neoliberali e le politiche del Fondo Monetario Internazionale. Ancora una volta, è il protagonismo dei movimenti dal basso che ridefinisce il panorama politico della regione con la nuova intersezione tra lotte indigene, territoriali, femministe, sul lavoro e la qualità della vita, contro l’estrattivismo e lo sfruttamento. Sarà ancora solo l’inizio?