DIRITTI

Tragedia dell’umanità o femminicidi di Stato?

Ieri, nel porto di Salerno è arrivata una nave che trasportava alcune centinaia di persone, salvate in mare. Purtroppo, però, a bordo si trovavano anche i corpi senza vita di 26 donne, di donne giovani e giovanissimi. Di chi è la responsabilità di questa ennesima strage?

La notizia delle 26 donne nigeriane annegate nel Mediterraneo, i cui cadaveri sono stati trasportati dalla nave militare spagnola Cantabria e fatti sbarcare nel porto di Salerno ci lascia attonite e sgomente. Sono purtroppo solo le ultime di una lista di persone, donne, uomini, bambine e bambini, che continua a  infittirsi tra chi, eroicamente, cerca di raggiungere le coste della Fortezza Europa, allo scopo di salvarsi la vita.

Affermiamo con forza che non si tratta di “tragedie”, di “casualità”,  di “incidenti”, ma della precisa volontà dei Governi dell’Europa di respingere vite e corpi dei migranti, costi quel che costi.  Gli accordi tra Italia e Libia sono emblematici in questo senso: esternalizzazione delle frontiere, stanziamenti esorbitanti per lasciare che la Libia blocchi  le partenze (o gli arrivi?), coinvolgimento di personaggi legati a milizie dedite al traffico di esseri umani, assurti al ruolo di interlocutori del nostro Governo, come da più parti accreditate fonti giornalistiche denunciano da mesi, sono tutti dispositivi di repressione che diventano strumenti di tortura e di morte, per queste persone.

Ecco perché ci chiediamo chi le ha uccise, queste donne;  la gran  parte delle donne nigeriane che sbarcano sul nostro territorio sono vittime di tratta.  A chi dice che le 26 donne non sono vittime di tratta “ perchè le tratte seguono altre dinamiche e altri canali. Caricare le donne su un barcone sarebbe un investimento rischioso che i signori delle tratte non farebbero, potendo perdere la ‘merce’, come la chiamano loro, in un solo colpo”, noi di Be free rispondiamo che anche  il fenomeno della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento si è adattato alle differenti situazioni nei Paesi di provenienza e di transito, e che  bisogna conoscere le loro singole e uniche  storie di vita, i loro vissuti, le ragioni della partenza, l’inferno vissuto in Libia,  per poterlo capire, senza le standardizzazioni e gli stereotipi con cui noi bianchi occidentali siamo abituati a analizzare, e spesso criminalizzare, le persone che vengono dall’altra parte del Mediterraneo.

Come si può pensare di lottare contro il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, reato transnazionale contro i diritti umani, se non si ha la minima conoscenza delle tratte che le persone sono costrette a compiere, delle modalità dello sfruttamento, delle connivenze, della  vastità e  pericolosità della  rete criminale internazionale, che le politiche migratorie europee  non fanno altro che rafforzare?

Noi vogliamo la verità. Vogliamo che venga fatta luce sulle dinamiche della loro morte. Non ci basta, anzi ci indigna,  la spiegazione letta sui giornali, per cui “sono annegate perché in quanto donne erano più deboli”. Vogliamo conoscere i nomi di queste donne, le loro storie. Vogliamo che non siano seppellite in maniera anonima, senza che le loro famiglie ne siano a conoscenza.

Vogliamo che  sia fatta giustizia. Per le 26 donne, per noi, e per tutte le donne che lottano per un futuro migliore.