EUROPA

I SI travolgono l’ottavo emendamento in Irlanda

In Irlanda vincono le donne: schiacciante risultato per la legalizzazione dell’aborto. Il 68% vota SI segnando una svolta storica per il paese. Ora la prossima sfida sarà la legge per regolare l’interruzione volontaria di gravidanza. Oggi in Italia mobilitazione per la libertà di scelta

Una valanga di SI sommerge l’ottavo emendamento della costituzione irlandese e chiude una delle pagine più oscure della storia recente d’Europa. Con il 68% di voti favorevoli, l’odioso dettato in cui si riconosceva l’equivalenza tra la donna e il feto è caduto e con esso il divieto di aborto. In Irlanda infatti, l’interruzione di gravidanza è finora stata vietata anche in caso di stupro, di incesto e di gravi malformazioni fetali.

Se l’esito del referendum era apparso incerto fino alla fine – per la parziale rimonta del (comunque minoritario) fronte del NO, ma soprattutto per l’ampio margine di indecisi – già gli exit poll a chiusura dei seggi annunciavano il 68% di favorevoli all’abrogazione. Ma il clima era già percepibile per l’enorme mobilitazione intorno al referendum, testimoniata per esempio dall’incredibile afflusso di irlandesi residenti all’estero tornate a casa per votare e contribuire a questa svolta storica. Migliaia di donne e uomini sono stati accolti ai gate da vere e proprie manifestazioni al grido di Repeal –  abroghiamo!

Sui social è l’hashtag #hometovote a raccontare famiglie (“i nonni dicono sì” questo uno degli striscioni comparsi in un aeroporto irlandese), attiviste, gente comune, pronte ad accogliere e accompagnare ai seggi chi torna e a trasformare il ritorno a casa per votare immediamente in un atto politico, pubblico e condiviso.

Il referendum ha avuto tra gli sponsor il premier Leo Varadkar, del partito di centro destra Fine Gael, di origini indiane e dichiaratamente gay, sostenitore del referendum che nel 2015 ha inserito il Costituzione il riconoscimento dell matrimonio tra persone, senza distinzione di sesso. Uno tra i maggiori attori, in chiave liberale, della modernizzazione irlandese a costo di ridimensionare il peso sociale e politico della Chiesa Cattolica.

Ma questa è una vittoria delle donne e dei giovani irlandesi. Lo dicono i dati: il Si ha vinto con percentuali altissime nelle grandi città (77% a Dublino) ma anche nelle aree rurali e nelle zone tradizionalmente più conservatrici. Tra i giovanissimi (18-25 anni) i Sì arrivano all’87%, all’83% tra gli elettori della fascia 25-34 anni. Ma anche tra gli adulti si genera il ribaltamento e i Sì si attestano al 74% tra i 35-49enni e al 63% tra i 50-64 enni. Solo tra gli over 65 i Sì arrivano a un comunque significativo 40%. Oggi, contrariamente al passato, sono i pro-life a essere divenuti minoranza.  Questo risultato è il frutto di una lunga e capillare mobilitazione che va avanti da anni, che ha visto nella morte di Savita Halappanavar una sua drammatizzazione, e che ha avuto nello sciopero femminista dell’8 marzo 2017 una fondamentale precipitazione, una prova di forza che ha imposto il referendum.

 

Il nuovo clima politico e sociale irlandese infatti non può prescindere dal protagonismo del movimento femminista, parte integrante della marea globale che riempie le piazze di tutto il mondo.

 

Ora si apre la strada per una nuova legge, la sfida sarà sottrarne i contenuti a compromessi e bilanciamenti. Per il momento il governo annuncia una proposta di legge per consentire l’aborto fino alle prime 12 settimane, o oltre in casi particolari. La Chiesa e le forze reazionarie punteranno a disinnescare la portata di questa svolta, ma il risultato del referendum è il presupposto della futura nuova legge e i margini per sabotarla saranno davvero stretti.

 

Questa è una grande vittoria per le donne di tutto il mondo, un colpo durissimo a uno dei dispositivi più odiosi di quella che Non Una Di Meno ha chiamato violenza strutturale contro le donne, che combina ordine patriarcale e neoliberale per riaffermare gerarchie, linee di separazione dentro la società e controllo sui corpi.

 

Non è un caso infatti che proprio il tema dell’aborto si definisce attraverso i continenti, come uno dei fronti di lotta più accesi del movimento globale delle donne.

Guardando al risultato straordinario in Irlanda e al processo argentino verso la legalizzazione dell’aborto, alla black protest polacca, oggi in più di 40 città italiane Non Una Di Meno torna in piazza per l’autodeterminazione. A 40 anni dalla legge 194, il corpo delle donne torna ad essere terreno di scontro anche in Italia, la criminalizzazione dell’aborto procede con l’irrigidimento del controllo medico sulla salute sessuale e riproduttiva, si aprono sfide nuove per riaffermare che «vogliamo molto più di 194» e che «sui nostri corpi e sulle nostre vite, decidiamo solo noi!».