MONDO

I Senza Terra e i movimenti sociali brasiliani di fronte alla vittoria di Bolsonaro

Il 29 ottobre si celebra l’anniversario della prima occupazione organizzata dal Movimento Sem Terra, nel 1985. A trentatré anni di distanza e all’indomani dell’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile, i movimenti sociali brasiliani si preparano a fare opposizione contro il nuovo governo reazionario, un “connubio tra repressione e neoliberismo”

Il 29 ottobre del 1985 nel municipio di Sarandi, nello stato del Rio Grande do Sul, venne occupata da circa settemila lavoratori sem terra la fazenda Annoni: dopo otto anni di resistenza, gli occupanti ottennero che 9.300 ettari di quella fazenda fossero riconosciuti come terra di riforma agraria. In quell’area ora vivono 423 famiglie in sei comunità diverse.

I 33 anni di «esistenza e resistenza» della Annoni – periodo in cui si è dipanata la costruzione collettiva di quello che forse è il più significativo movimento sociale dell’America Latina, il Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST) – corrispondono alla storia del Brasile democratico: nel 1985 i militari, dopo vent’anni di dittatura, si ritiravano dalla gestione diretta del potere.

L’anniversario del 29 ottobre cade quest’anno all’indomani dell’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile, un’elezione che pone i movimenti sociali del paese in stato di apprensione e mobilitazione per via delle posizioni dell’esponente dell’estrema destra brasiliana, fautore di una linea dura contro le organizzazioni sociali e popolari.

In un’intervista rilasciata a Radio Brasil De Fato, Joao Pedro Stedile, membro della segreteria nazionale del MST, ha espresso la sua preoccupazione per il prossimo governo che, teme, assomiglierà – per la comune «natura fascista» e per il connubio tra repressione e neoliberismo – ai governi del Cile di Pinochet. Le affermazioni e le promesse elettorali di Bolsonaro – che non fa segreto di essere favorevole all’uso della tortura da parte delle forze di polizia – lasciano infatti pochi dubbi su quali saranno le modalità con cui lo Stato si relazionerà con i sindacati, con i movimenti sociali, con i gruppi e i collettivi impegnati nella promozione e difesa dei diritti umani e delle minoranze culturali: repressione, minacce, intimidazioni. Il prossimo governo, prevede Stedile, «darà legittimità alle forze reazionarie presenti nella società e concederà mano libera al capitale in un programma di politiche neoliberali», aggravando i problemi economici e sociali della popolazione.
Durante tutta la campagna elettorale, il candidato del Partito social liberale (PSL, un piccolo partito centrista che Bolsonaro ha scalato nel corso del 2018, collocandolo su posizioni di estrema destra) ha stretto alleanza con i poteri forti del Brasile, promettendo una maggiore libertà d’azione alle grandi compagnie agroindustriali, madereiras [del legname] e minerarie. Bolsonaro – che intraprese la sua carriera di ufficiale dell’esercito durante la dittatura e che manifesta orgogliosamente nostalgia per l’epoca in cui i militari detenevano ogni potere in Brasile – ha affermato più volte la volontà di agire col pugno di ferro contro tutto ciò che non si allineerà alla sua interpretazione in chiave reazionaria e liberista del motto «ordine e progresso» che campeggia sulla bandiera brasiliana. Poveri delle favelas, sindacalisti, contadini senza terra, attivisti dei diritti sociali, civili e culturali, comunità LGBT, popoli indigeni, afrodiscendenti sono gli avversari su cui egli intende far calare la mano della repressione in nome della lotta all’illegalità (rappresentata delle occupazioni di terra e non certo dal landgrabbing con cui società private e latifondisti si accaparrano terre pubbliche), al degrado e alla criminalità (che individua nelle favelas, specialmente in quelle da evacuare perché sorgono in aree divenute interessanti per la rendita fondiaria).

Secondo quanto affermato in campagna elettorale e ribadito da Bolsonaro stesso in un’intervista rilasciata alla rete Record all’indomani della vittoria, Movimento Sem Terra e Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST – che organizza occupazioni di alloggi, auto-costruzioni e, in generale, si occupa di diritto all’abitare) rischiano di finire nell’elenco delle organizzazioni terroriste. D’altronde il capitano di artiglieria, passato alla politica, da anni sostiene la necessità di concedere l’impunità ai latifondisti che si armano – e armano bande di jagunços – per respingere le occupazioni che il MST organizza in terre individuate come passibili di riforma agraria perché incolte o perché detenute sulla base di titoli falsificati.

 

 

A questo «discorso di odio», a cui il presidente eletto non sembra rinunciare, rispondono i movimenti sociali uniti nel Frente Povo Sin Medo (popolo senza paura) e i partiti e le organizzazioni politiche del Frente Brasil Popular che, nelle ultime difficili settimane, hanno occupato piazze e vie del Brasile cercando di invertire le pessime previsioni elettorali a favore del candidato del Pt Fernando Haddad. Guilherme Boulos, esponente di primo piano del Movimento dei senza tetto e candidato del Psol (Partido Socialismo e Libertade) alla presidenza della repubblica, ha fatto sapere a Bolsonaro, tramite un tweet, che «un movimento sociale non si arresta con un decreto, né con la violenza».

Violenza che, da sempre agitata contro i movimenti popolari, si riaffaccia con forza nel discorso politico della destra brasiliana, venendo da questa pienamente legittimata sia come strumento di lotta politica, sia come mezzo di repressione da parte dello Stato. A partire dalla deposizione della presidente Dilma Rouseff, nell’agosto del 2016, e dall’insediamento del governo “golpista” di Michel Temer, il ricorso alle armi contro militanti del sindacato e dei movimenti sociali ha conosciuto una nuova recrudescenza. Solo nel 2017, la Commissione pastorale della terra (l’organo della conferenza episcopale brasiliana che si occupa dei problemi del mondo rurale) ha denunciato 71 omicidi di contadine e contadini durante conflitti per la terra: circa un morto ogni 5 giorni, un dato che non si registrava da 14 anni, ossia da prima del ciclo di governi petisti aperto dalla presidenza Lula nel 2003.

In questo contesto, afferma un comunicato congiunto del Fronte Brasil Popular e del Fronte Povo Sem Medo, «l’elezione di Bolsonaro rappresenta una rottura politica, di cui sono segni evidenti gli assassinii di Marielle [Franco, attivista del Psol uccisa il 14 marzo 2018 a Rio, in un agguato in cui sospetta la partecipazione delle forze dell’ordine], del musicista e capoerista Moa Katendê [ucciso a Salvador con 12 pugnalate l’8 ottobre scorso da un supporter di Bolsonaro], di Charlione, un ragazzo di 23 anni ucciso [alla vigilia del ballottaggio] mentre partecipava a una manifestazione a favore di Haddad nello stato del Ceará».

Di fronte a questa minaccia concreta alle vite di chi «lotta per un paese uguale e giusto», i movimenti sociali non intendono lasciarsi intimidire né arrestare: «continueremo a difendere la Costituzione, la tolleranza, un Brasile di tutti e a combattere il pericolo della dittatura, ad opporci all’eliminazione delle conquiste sociali, alla vendita del patrimonio pubblico, alla cessione della ricchezza nazionale, a combattere il razzismo e la misoginia, l’omofobia e la minaccia della violenza istituzionalizzata». Il popolo saprà resistere, ribadisce Stedile: i movimenti sociali escono dal processo elettorale «uniti, con capacità e forza organizzata per resistere alla pretesa offensiva fascista». «Negli ultimi 5 secoli» – ha ribadito João Paulo Rodrigues del MST – «la sinistra brasiliana è stata al governo solo per 14 anni: sappiamo come lottare, come resistere e continuiamo la battaglia per un Brasile giusto».

Pur senza negare le responsabilità del Pt e delle forze politiche di sinistra nella vittoria della destra, i movimenti popolari rivendicano quella che definiscono una vittoria politica: aver costruito, sui valori delle rivendicazioni popolari, un consenso largo, seppure non maggioritario nel paese, capace di opporsi alla propaganda e al discorso politico che negli ultimi anni, in nome della lotta alla corruzione (peraltro selettiva nell’individuazione dei corrotti), ha messo in ombra i problemi del paese e legittimato una politica di “pulizia” che non si preoccupa più di nascondere il suo carattere pienamente antipopolare, razzista e sessista. La rimonta del candidato del Partito dei lavoratori, che al primo turno aveva raccolto poco meno del 30% dei consensi, si deve in gran parte allo sforzo dei movimenti che, al grido “ele não”, hanno riempito di contenuti il voto per un partito che negli ultimi anni aveva perso parte dell’appoggio popolare a causa delle posizioni e dalle scelte fatte – in campo economico – dai governi di coalizione presieduti da Dilma Rousseff.

«Continueremo ad accamparci ai bordi delle strade – afferma Rodrigues del MST – a lottare per la riforma agraria, per la democrazia, per la difesa dei diritti dei lavoratori, senza accettare le provocazioni, cercando alleanze con i movimenti delle città, con le occupazioni urbane, con i sindacati, con i settori della Chiesa, con i popoli indigeni. Se l’agribusiness e i paramilitari si sentono ora legittimati a provocare e colpire, l’unica forma di resistenza è continuare a stare in mezzo al popolo, uniti: non c’è via d’uscita che non passi per l’unità della classe lavoratrice».

La polarizzazione dello scontro elettorale lascia un Brasile diviso, in cui il richiamo alla «resistenza popolare contro il fascismo» trova forza in un senso di unità che proprio il processo elettorale sembra aver rafforzato: «Non dobbiamo farci abbattere dalla paura – affermano i movimenti sociali – poiché possiamo contare l’uno sull’altro reciprocamente». Già dalle prossime settimane verrà articolato un calendario di mobilitazioni che affrontino i temi centrali che oppongono le organizzazioni sociali alle politiche repressive e liberiste del nuovo corso: il contrasto al modello di sviluppo fondato sull’agricoltura industriale, sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e del lavoro; la rivendicazione e la tutela dei diritti civili e sociali, la lotta contro il razzismo e il sessismo, la difesa dei popoli nativi minacciati nella loro sopravvivenza fisica e culturale dall’annunciata revisione delle demarcazioni delle aree ad essi assegnate a vantaggio delle pretese delle compagnie minerarie e delle mire espansive dell’agricoltura intensiva sempre a caccia di terreni per la produzione di cellulosa e combustibile.

Non sarà facile né indolore: la presa del potere da parte di Bolsonaro è già stata accompagnata da atti violenti tra i quali un assalto, alla vigilia delle elezioni, a un accampamento di senza terra in Mato Grosso do Sul e, nello stesso stato, diverse incursioni, minacce e attacchi armati contro insediamenti e aldeias indigene [villaggi in origine analoghi alla reducciones gesuite in area spagnola].

Il 29 ottobre, dunque, si riparte, anche simbolicamente, da quella prima occupazione di terra organizzata dal MST nel 1985: «Nós, que sempre estivemos na luta, vamos seguir lutando!».