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MONDO

La lotta contadina in India, una minaccia per il BJP: intervista a Subhojeet Dey

Il ruolo politico del sindacato AIKS nelle lotte del movimento agrario è stato anche quello di parlare dell’impatto del cambiamento climatico, della crisi idrica e di uso dei fertilizzanti, interrogando il sistema di produzione agricola.

Qual è il ruolo del sindacato? L’AIKS è stato in grado di coinvolgere nel movimento agrario i sindacati degli altri settori e gli studenti? Qual è stato il suo ruolo in senso politico? Si tratta di una questione a più livelli, ma è molto importante sapere come questo sindacato stia interpretando la questione degli agricoltori come una questione politica nazionale.

Giusto per dare una panoramica. Non tutti i partiti e sindacati comunisti hanno lo stesso approccio a questo problema. Alcuni gruppi settari non vogliono affatto unirsi al movimento, tant’è che alcuni gruppi lo chiamano movimento kulak. La sinistra indiana ha diverse correnti: c’è una corrente settaria che crede che questo sia completamente un movimento di grandi agricoltori, che l’MSP andrà solo a beneficio dei grandi agricoltori.

È vero, ci sono gruppi di proprietari terrieri, ci sono gruppi di contadini ricchi, ma se questi problemi di composizione vengono messi da parte si nota il movimento è in grado di interfacciarsi con questioni sostanziali. Il movimento ci ha insegnato che non basta essere marxisti, bisogna anche essere utili: se non sei utile, non sei marxista. Con questo approccio, ci siamo resi conto che se questo movimento fosse riuscito a riportare le questioni relative ai mezzi di sussistenza nel discorso politico – in particolare le questioni relative ai mezzi di sussistenza agrari – potrebbe rappresentare un grave attacco alla propaganda fascista. L’obiettivo dei gruppi affiliati al BJP e all’Hindutva è quello di dividere continuamente le persone su linee etniche, castali e religiose. Ho avuto il privilegio di entrare in quel movimento. Vedevo tutte le persone di ogni fede in quel movimento, musulmani, sikh, indù, combattere tutti fianco a fianco: quelle immagini da sole erano sufficienti per minacciare l’establishment.

Ci siamo resi conto che dovevamo unirci al movimento, ma semplicemente aderire e basta non era sufficiente: dovevamo guidare il movimento, non per far sembrare che fossimo dei campioni del movimento o che fossimo la forza più grande.

In questo senso, qual è stato il ruolo nel movimento?

Il movimento ha bloccato almeno cinque ingressi ai confini dello Stato di Delhi, solo uno dei confini è stato interamente bloccato dal nostro sindacato; gli altri quattro confini sono stati bloccati da conglomerati di altri sindacati ai quali partecipavamo, ma come detto non eravamo la maggioranza. Solo al confine tra Rajasthan e Delhi avevamo piena forza.

Ci siamo resi conto che la nostra forza non era concentrata a livello locale ma sull’intero subcontinente. Ci siamo resi conto di non essere forti negli stati dell’Haryana e del Punjab, dove vi era una presenza forte di sindacati regionalisti che però avevano scarsa presenza e prospettiva nazionale. Consci di questi limiti, abbiamo pensato di condividere le nostre conoscenze con tutto il movimento, per fornirgli gli strumenti giusti per vincere la lotta.

Avevamo due domande principali: qual è la tattica? Qual è la strategia? La prima cosa che abbiamo fatto quando ci siamo uniti al movimento è stata cercare di renderlo un movimento pan-indiano e smettere di renderlo un movimento esclusivo di Delhi. Avevamo circondato Delhi, cosa mai accaduta prima nella storia dell’India indipendente. Fantastico, ma che dire degli altri agricoltori? Se non riesci a coinvolgerli, non puoi apportare un cambiamento politico a livello nazionale; se vuoi portare il MSP, dovrà essere un MSP per tutti gli stati, e non solo per il Punjab e l’Haryana.

1 – Questa è la prima cosa che noi come AIKS abbiamo fatto: far capire loro il significato politico della mobilitazione. Nei gruppi di sinistra eravamo il gruppo più numeroso e con questa consapevolezza siamo stati in grado di influenzare gli altri gruppi del Punjab e dell’Haryana. Abbiamo sentito il bisogno di lanciare un appello per costruire il Samyukt Kisan Morcha (SKM) anche in altri stati, quindi, non appena è iniziato il movimento, abbiamo iniziato a lanciare appelli per grandi mobilitazioni in altre città. Ad esempio, Bangalore, Lucknow, Bombay e Chennai sono state attraversate da grandi mobilitazioni; in molte aree metropolitane del paese gli agricoltori delle aree rurali hanno iniziato a recarsi nelle principali città dei loro stati per effettuare blocchi e manifestazioni.

Siamo riusciti a far convergere molti movimenti che non hanno mai fatto mobilitazioni congiunte per divisioni geografiche, culturali, economico-produttive e politiche nel subcontinente. Storicamente, non c’è mai stata una relazione tra i sindacati degli agricoltori del nord e quelli del sud. Il nostro obiettivo era dare questo senso di prospettiva all’intera piattaforma

2 – L’altra cosa che ha fatto la sinistra, soprattutto l’AIKS, è stata dare disciplina al movimento. Un movimento durato più di un anno ha bisogno di molta disciplina, se non ce l’hai non puoi durare così a lungo; non puoi aspettarti che un comune agricoltore lotti per un anno in questo modo: un militante che ha svolto un lavoro organizzativo, sa come avviene questa azione, conosce la resistenza che occorre per mantenere il fronte unito

Il movimento aveva una vasta popolazione di giovani agricoltori che vi si univano, il che rifletteva perfettamente quanto fosse dinamico il movimento; anche molte giovani donne e contadine che non hanno nemmeno il diritto alla terra hanno partecipato alla mobilitazione.

Molte volte il padre ideologico del BJP, l’RSS (Rashtriya Swayamsevak Sangh, formazione di destra hindu-nazionalista), ha tentato di attaccare le zone di confine del presidio inviando i suoi scagnozzi per cercare di istigare i contadini alla violenza reciproca. Sapevamo che in quel blocco autostradale c’erano alcuni gruppi estremisti ed etnofascisti – a dire il vero erano gruppi molto piccoli, ovviamente, ma tutti erano lì perché c’era un movimento di massa – che sapevamo fornite anche di armi da fuoco e quindi erano motivo di preoccupazione, perché se si fosse verificato una sola sparatoria, l’intero movimento sarebbe stato decimato e la propaganda sarebbe stata tutta contro di noi.

Per questo tipo di situazioni abbiamo creato dei comitati di disciplina. C’erano comitati in tutte le zone di frontiera ed a guidarli c’era sempre la sinistra. Avevamo persone che pattugliavano di notte le zone autostradali per controllare se accadeva qualche qualcosa di strano, se qualcuno dall’esterno tentava di istigare, se si radunava qualche folla, ecc. Avevamo un milione di persone ai confini e per questo avevamo bisogno di militanti che gestissero la folla, perché poteva succedere di tutto: tutta l’autostrada era bloccata per 5 chilometri.

Nella maggior parte dei casi, ritengo che abbiamo avuto un discreto successo nel contenere la violenza. Verso la fine, purtroppo, si sono verificati alcuni incidenti. È stata decapitata anche una persona che stava cercando di insultare alcuni dei contadini sikh più ortodossi del posto. Anche uno di loro fu decapitato e quella persona apparteneva alla casta inferiore. Nella sfera della rappresentazione è diventato un problema il fatto che il movimento degli agricoltori fosse contro le caste inferiori e socialmente emarginate, ma nella maggior parte dei casi siamo riusciti a dare disciplina al movimento.

3 – L’altra cosa è stata dare un significato politico alle riunioni nominate dal governo. Almeno per i primi due, tre mesi, il ministero ha convocato gli agricoltori per diversi incontri a cui sono andati circa 1213 rappresentanti, uno dei quali era anche il nostro ex-segretario generale, Hanan Mola.

In quegli incontri il governo aveva proposto molte cose, ma in modo molto ambiguo. Se non hai mai fatto politica, se non hai conoscenze in economia, se non hai una comprensione adeguata della politica del governo, puoi accettare qualsiasi cosa ti offrano. La sinistra è stata molto efficace nel rifiutare quelle offerte e nello spiegare agli altri il perché del rifiuto, continuando a sostenere la necessità dell’abrogazione totale delle tre leggi criminali.

4 – C’è stata una quarta cosa in cui l’AIKS è stata rilevante nella lotta. Usiamo lo slogan Kisan Mazdoor Ekta – unità operai-contadini – da molto tempo, da quando l’India ha raggiunto la sua indipendenza, ma è stato solo uno slogan per molto tempo perché è stato difficile far convergere i lavoratori dei due settori. C’è stata solidarietà: quando gli agricoltori hanno protestato, i lavoratori hanno portato la loro solidarietà agli agricoltori; quando i lavoratori hanno scioperato, gli agricoltori sono usciti dai campi, li hanno sostenuti e hanno dato loro le risorse. Ma l’azione congiunta in quanto tale, almeno fino allo scoppio del movimento dei contadini, era solo negli slogan e nella teoria.

La cosa interessante è che il giorno in cui i sindacati degli agricoltori hanno lanciato un appello per mobilitarsi verso Delhi, il 26 novembre 2020, è stato lo stesso giorno in cui i sindacati hanno indetto lo sciopero generale. Quel giorno un buon numero di lavoratori delle grandi industrie, in particolare industrie del settore pubblico, ferrovie, produttori di acciaio e lavoratori delle strutture portuali, hanno scioperato. Una volta che gli agricoltori hanno raggiunto Delhi e hanno iniziato a bloccare le autostrade, abbiamo iniziato a dire loro che i lavoratori offrivano pieno sostegno alla lotta dei contadini. I sindacati dei grandi agricoltori hanno sollevato dei dubbi al riguardo perché hanno una postura anti-operaia, perché sfruttano la manodopera agricola nelle loro fattorie – molti grandi agricoltori qui sfruttano i lavoratori migranti che provengono dal Nepal e dagli stati più poveri dell’India, come il Bihar, non tralasciando neppure la discriminazione castale  e lo sfruttamento sessuale.

La contraddizione tra lavoro agricolo e contadini è molto presente, ma non scomparirà finché ai braccianti agricoli non verrà data la terra – che è la vecchia riforma agraria che abbiamo chiesto. Chiediamo che a tutti i braccianti vengano dati appezzamenti di terra perché possano coltivare il proprio cibo, che i braccianti delle zone rurali del paese partecipino alla mobilitazione, affinché vi sia un sostegno esteso e radicato alla mobilitazione contadina. La questione è centrale perché altrimenti i più poveri non si sarebbero mobilitati, rendendo il movimento scranno dei ricchi.

Questo è molto evidente nella geografia dei villaggi indiani, dove ai braccianti non è nemmeno permesso di vivere all’interno del villaggio a causa delle pratiche di casta. In alcuni stati, come nell’Uttar Pradesh e in altri della Hindi belt, sono costretti a vivere lontano nei campi, non possono utilizzare le strutture e partecipare alle attività culturali del villaggio. Quella contraddizione c’è. Sappiamo che il proletariato rurale è per molti versi odiato dai contadini ricchi per le proprie richieste di salari e condizioni di lavoro migliori.

Abbiamo affermato che il movimento deve essere aperto ai lavoratori rurali. Il concetto parte dall’idea di migliorare le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori del settore: se un agricoltore ottiene una buona tariffa per i suoi prodotti, se ottiene un buon MSP, avrà più soldi e potrebbe garantire salari migliori ai lavoratori agricoli – o almeno quel potenziale c’è.

Dopo tanti incontri alla fine vi è stata una reale convergenza. Ed è qui che è nato il famoso slogan Kisan Mazdoor Ekta; oggi, se andate in qualsiasi movimento contadino in qualsiasi parte del paese, sentirete lo slogan gridato dagli agricoltori Kisan Mazdoor Ekta Zindabad, anche se lì non ci sono operai. Siamo stati in grado di portare una visione molto leninista al movimento in modo reale e sostanziale. Per certi versi questo sembra il programma di cui Gramsci parla riferendosi al ruolo degli intellettuali organici. Per darti un’immagine del contesto, ogni villaggio ha artisti, cantanti e ballerini che forgiano la cultura del villaggio. Qui, le tradizioni orali hanno un ruolo importante. Quando abbiamo notato che il motto Kisan Mazdoor Ekta era diventata parte del folklore, con canti e altri tipi di esperienze orali, abbiamo capito che il nostro programma era entrato nella coscienza dei lavoratori.

Infine possiamo affermare che, anche con una minore mobilitazione nei confini, sappiamo di aver svolto un ruolo centrale. Dopo la fine del movimento molti gruppi si sono riuniti perché c’era tanta energia. L’AIKS ha svolto un ruolo importante nel mantenere intatta la piattaforma. Per questo motivo, proprio questo mese abbiamo avuto un enorme raduno ai confini di Delhi. Ed è stata la stessa SKM, che aveva guidato il movimento degli agricoltori nel 2020-21, a riportare in strada quelle persone. Anche se non siamo d’accordo con molte delle loro posizioni, restiamo comunque d’accordo sulle questioni più ampie per cui la questione dei mezzi di sussistenza è centrale nel combattere il Governo fascista.

Hai sottolineato molti punti mentre parlavamo. Ne voglio sottolineare solo due. Il primo, quando hai parlato della perdita di acqua e dell’uso di fertilizzanti, hai centrato un punto molto importante perché oggi l’India si trova ad affrontare la perdita di risorse idriche, soprattutto in Karnataka e Bangalore. L’impatto del cambiamento climatico nel settore agricolo è forte considerando che le previsioni sull’approvvigionamento del grano quest’anno sono -6,8% rispetto all’anno scorso, qual è il tuo punto di vista sulla questione? Come vi interfacciate con gli agricoltori riguardo a questo problema?

Il cambiamento climatico è stato un tema presente nella nostra agenda sin dall’inizio del prosciugamento delle falde acquifere, circa tre decenni fa: il ridimensionamento delle risorse idriche sotterranee, da cui proviene la maggior parte dell’acqua per l’irrigazione, è stato il primo sintomo di quella crisi. Il primo riflesso si è verificato nel Punjab, dove si semina molto riso – coltura ad alta intensità idrica. Anche alcune varietà di semi promosse durante la rivoluzione verde alla fine degli anni ’60 erano parte del problema, poiché questi semi avevano un’ottima resa e buona produttività, ma avevano il problema dell’eccessivo assorbimento d’acqua. L’abbassamento delle falde acquifere è stato un problema. Ma ancora una volta, come ogni questione climatica o ecologica, c’è una dimensione politica in ciò che è la particolare questione ecologica. C’è una tendenza da parte dei media indiani in particolare o della società civile a disprezzare gli agricoltori indiani perché stanno abbassando la falda, non diversificando i raccolti, coltivando le stesse sementi e non utilizzando strategie di adattamento.

Questo è vero anche per il Karnataka. Tutta la situazione di Bangalore – capitale del Karnataka – è un problema per l’espansione urbana e delle aree urbane sui campi agricoli e sui laghi dove erano presenti degli invasi. Il caso di Bangalore è un caso che non può essere attribuito agli agricoltori in quanto tali.

Sappiamo che è un problema, ma dobbiamo prenderlo come un problema di classe, non incolpando qualcuno in particolare per quanto accaduto, ma interrogando il sistema di produzione agricola.

Per farti conoscere un po’ il contesto storico, la maggior parte di questi semi furono importati attraverso il dipartimento americano dell’Agricoltura – USDA – e prodotti dai suoi scienziati che stavano cercando di sperimentare nuove sementi per garantire raccolti a basso costo per la sicurezza alimentare degli Stati Uniti. C’era una guerra fredda in corso e l’India si trovava nel mezzo – perché avevamo una posizione non allineata – e in questo contesto l’America cercava di influenzare la nostra politica pubblica in agricoltura, soprattutto perché importavamo cibo da loro nei primi anni ’50.

Fu allora che gli Stati Uniti suggerirono all’India di introdurre questa tecnologia ad alto rendimento. Mandarono scienziati dell’USDA, grandi scienziati provenienti tutti dal campo imperialista, il cui coinvolgimento era dettato dal tentativo di allontanare l’India dal campo sovietico verso il quale il partito del Congresso stava tendendo.

Quando hanno introdotto questi semi, il governo indiano non ha dato alcuna opzione agli agricoltori, dato il prezzo era buono per l’epoca. Le pessime condizioni di vita e l’arretrata tecnologia usata in agricoltura sono altri elementi che hanno condizionato la scelta dei contadini nell’uso di quei semi. La necessità di sovranità alimentare, di coltivare più cibo, in un contesto di nazionalismo politico – sia da parte del governo che degli agricoltori, che costituivano una parte molto importante di importanti gruppi patriottici nelle lotte anticoloniali – ha reso la scelta dell’importazione di semi una decisione condivisa. Se il governo fornisce il sostegno infrastrutturale, se concede i sussidi, perché gli agricoltori non si dovrebbero usare quei semi?

Per questo motivo, gli agricoltori hanno iniziato a seminare in modo massiccio varietà ad alto rendimento che venivano distribuite gratuitamente grazie ai sistemi di welfare pubblico esistenti, comprendenti anche fertilizzanti e irrigazione gratuiti. Due decenni dopo, quando iniziò a verificarsi la crisi idrica, il governo aveva già integrato gli agricoltori in quella particolare pratica di produzione agricola in modo tale da non rendere più questa una scelta individuale dell’agricoltore singolo. Allora la questione divenne un problema di economia politica.

Tutti i mandis acquistano prevalentemente riso, non acquistando quasi nessun altro raccolto. Per i contadini non c’era scelta. La domanda di MSP è correlata a questo. Quando diciamo che il governo deve offrire il MSP in modo legittimo e garantirlo, è perché vogliamo ottenere la diversificazione delle colture. Se si offre il MSP su altre colture, gli agricoltori si allontaneranno dal coltivare riso; se si diversificheranno i raccolti, allora i contadini potranno abbandonare le colture ad alto consumo idrico. Per questo il problema del cambiamento climatico è un problema di ecologia politica.

In effetti, gli agricoltori soffrono il cambiamento climatico prevalentemente perché non ricevono acqua. Ti faccio un esempio. L’anno scorso sono andato in un villaggio nel nord del Rajasthan per un sondaggio. Il Rajasthan è una zona arida ma grazie all’irrigazione garantita dalle risorse idriche sotterranee si riusciva a praticare una buona agricoltura. Un agricoltore mi ha detto che 20 anni fa una motopompa era in grado di fornire acqua a venti ugelli con un solo motore, mi ha detto che lo stesso motore, in questo momento, alimenta solo otto ugelli. Oggi devono scavare pozzi sempre più profondi per cercare acqua, quando le risorse idriche finiscono continuano a scavare ancora più in fondo spendendo molti soldi e avendo acqua garantita solo per un anno

La desertificazione è un problema reale che gli stessi agricoltori si trovano ad affrontare. Quando il campo diventa un deserto, su di esso non può crescere nulla. E se non c’è altra occupazione, come nel Punjab, nell’Haryana, dove vanno le persone? Dove avviene questa migrazione? Diventano lavoratori informali, devono andare in altri stati dove trovano lavori umili, lavori nei servizi, dove non c’è sicurezza lavorativa, perché non c’è il sindacato, non c’è niente.

Ogni volta che qualcuno viene e si avvicina a noi dicendo che gli agricoltori stanno bevendo tutta l’acqua, noi diciamo che sono stati costretti a farlo. E ora i media e il governo gli stanno puntando la pistola alla testa come se fosse una loro responsabilità.

Un’altra questione rilevante è quella dell’allargarsi dei permessi d’estrazione per l’industria fossile. Ad esempio, dal 2020, con la liberalizzazione delle licenze delle miniere di carbone, la lotta sulla terra contro contadini e piccoli agricoltori su questo tema si fa sempre più forte. Ciò ha anche una connessione con il quadro generale della politica statale perché i più grandi attori dell’industria fossile – come Adani, Ambani e Vedanta – stanno finanziando il BJP in modo massiccio.

Questo è una forma di  landgrabbing. Questo avviene per estrarre molti tipi di risorse: non si tratta solo del carbone, ma di tutti i tipi di minerali, delle risorse forestali e fluviali. Per esempio, la mafia della sabbia è una cosa importante in India, un giorno c’è una collina e il giorno dopo non c’è più. Questa terra faceva parte del territorio comune del paese, veniva utilizzata dai contadini e dai braccianti agricoli per far pascolare il proprio bestiame e per tutte le loro attività. Esiste quindi la condizione oggettiva per l’unità degli agricoltori e dei lavoratori.

Questa è un’ottima prospettiva per combattere la classe dominante. Ma ogni volta che questa battaglia finirà, ogni volta che ci sarà una vittoria in questa battaglia, la questione tornerà nuovamente al fatto che gli agricoltori hanno ancora la terra e i lavoratori no. Non possiamo semplicemente continuare a dire di dare la terra a tutti, l’India non ha così tanta terra per tutti i cittadini. Questo è il motivo per cui la nostra vera agenda, la nostra comprensione programmatica, è costruire cooperative e riunire i lavoratori agricoli in un bacino di terra. Sappiamo che le esperienze precedenti sono fallite ma noi continuiamo a credere in questo perché ci rendiamo conto che la terra è una risorsa limitata; e anche perché gli agricoltori dovranno rinunciare al senso borghese della proprietà privata. Devono capire che se vogliamo prosperare tutti, dobbiamo iniziare a mettere in comune le nostre terre. L’AIKS lo fa con i coltivatori di caffè, mele e gomma. Stiamo cercando di convincerli a riunirsi in alcuni appezzamenti di terreno per creare cooperative di agricoltori in cui hanno il diritto di decidere, attraverso il voto, come produrre. È qui che i lavoratori iniziano ad )acquisire un senso di attività collettiva e di produzione collettiva.

L’obiettivo più ampio è costruire spazi di autoproduzione. Non vogliamo che gli agricoltori diventino ripiegati di se stessi nel sistema borghese, diventeranno sempre più ripiegati su se stessi.

Hai aperto una questione di livello generale. Secondo te, qual è la situazione in cui si trovano i contadini e la società indiana tutta a oggi?

Dobbiamo ancora lottare per questi piccoli obiettivi perché questa è la fase in cui ci troviamo: stiamo combattendo i fascisti, quindi bisogna lottare per le libertà capitaliste anche sotto il capitalismo. È un processo a lungo termine. Il problema con gli altri gruppi di sinistra è che hanno già saltato questa fase: pensano che non stia succedendo nulla, che il fascismo sia qualunque cosa. Dobbiamo già creare l’individuo socialista, ma siamo così lontani da questo. Dobbiamo andare passo dopo passo, questa è anche l’orientamento del CPI(M).

Con la distruzione delle fabbriche, l’informalizzazione del lavoro e l’avvento dell’agrobusiness, sta diventando sempre più difficile trasmettere una coscienza socialista solo attraverso l’economia o la fabbrica. I lavoratori a contratto e i lavoratori privilegiati devono prima lottare per qualcos’altro, lottare per le circostanze che creeranno quelle che vi daranno la coscienza socialista.

Questo a livello politico si vede nell’alleanza dell’opposizione INDIA (India National Development Alliance) dove il CPI(M) ha giocato un ruolo importante nella sua formazione, convincendo il Congresso a stringere alleanze con partiti più piccoli. In questo momento abbiamo la possibilità di ridurre i loro seggi, il che in un certo senso è di per sé una vittoria.

Il movimento dei contadini è stata la prima volta in cui il BJP ha dovuto affrontare una minaccia. Per la prima volta hanno ritirato una legge del parlamento, non l’avevano mai fatto prima.

L’agenda politica del paese cambia di settimana in settimana e non è il popolo a decidere l’agenda, ma i gruppi mediatici, di proprietà delle grandi aziende legate al BJP.

È pazzesco quanto controllo abbiano sulla narrazione. Noi sappiamo però anche che l’elettorato indiano non è mai stato passivo. Ad esempio, un anno dopo l’imposizione dello stato d’emergenza da parte dell’allora primo ministro Indira Gandhi – misura con cui si sospendono tutte le libertà civili e democratiche –, questa perse rovinosamente le elezioni, sconfitta perfino nella propria circoscrizione.

Crediamo sinceramente nel popolo indiana, non importa quanta coscienza fascista abbia infettato gran parte del paese. Eppure, in questa popolazione c’è tanta malnutrizione, povertà, tristezza generale, malattie mentali non curate… c’è di tutto e nessuno lo sente. Il popolo indiano sta subendo un trauma a tutto tondo e, in queste elezioni, gli elettori indiani possono fare l’opposto di ciò che ci si aspetta che facciano.

In questo momento tutti vengono raffigurati nella convinzione che tutti gli hindu voteranno per il BJP. In realtà potrebbero in larga misura non votarlo o astenersi dal voto. Ogni volta che andiamo alla base c’è infatti molto risentimento nonostante i risultati economici che il BJP esibisce nella sua propaganda. Tutte queste condizioni non vengono fuori perché i media hanno il controllo totale.

Come si è visto nei quartieri della città di Delhi, soprattutto in periferia, ci sono molti striscioni del BJP strappati e sostituiti con il volto di BR Ambedkar – avvocato dalit (intoccabile) comunista, tra gli estensori della costituzione. Non è troppo, ma sicuramente è qualcosa.

L’India è troppo diversificata e, fortunatamente per noi, e sfortunatamente per loro, ci sono troppe prospettive politiche diverse sulla situazione. Non importa quanto l’RSS cerchi di dividere la popolazione attraverso la comunitarizzazione della politica, ci saranno voci dissenzienti. E se esiste un’opposizione credibile come quella degli agricoltori, c’è speranza per l’indiano medio.

Immagine di copertina a cura del Sindacato AIKS