Santa Muerte Patrona dell’Umanità

Dal Messico all’Europa, una santa controversa e miracolosa diffonde il suo culto.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una presentazione del libro Santa Muerte Patrona dell’Umanità, a cura dell’autore Fabrizio Lorusso, e il prologo al libro di Valerio Evangelisti. «Da santa border-line a icona globale grazie al web, la Muerte messicana, inesorabile, arriva a penetrare le subculture giovanili e l’immaginario del narcotraffico, la cosiddetta narcocultura», scrive dal Messico Fabrizio Lorusso. «Ma le sue origini e la sua storia hanno più a che vedere con le forme di sincretismo e di resistenza popolare all’imposizione religiosa e culturale dei conquistadores spagnoli che con le mistificazioni strumentali della stampa messicana ed estera».

Santa Muerte Patrona dell’Umanità*

di Fabrizio Lorusso

Dal Messico all’Europa, una breve presentazione del culto e del libro Santa Muerte Patrona dell’Umanità. Santa popolare o setta satanica? Madonna delle mafie e dei narcos messicani o protettrice dei più deboli e dei dimenticati? Un culto ancestrale di origine azteca oppure un feticcio commerciale 2.0? Tante sono state le accuse e tanti i falsi miti diffusi in questi anni che ancora oggi la Santa Muerte risulta un fenomeno sfumato e incompreso.

Due, forse 5 o 10 milioni sono i devoti del culto che più preoccupa la Chiesa in America. La chiamano Niña Bianca o Bonita (Bimba Bianca o Carina), Patrona, Flaquita (Magrolina) o Hermosa (Bella), ma resta sempre Lei, la Morte scarnificata con il saio francescano indosso, la falce e il mondo tra le mani ed il fedele gufo ad accompagnarla. Lei ti protegge, ma prima o poi ti porta via. È democratica perché non fa distinzioni tra ricchi e poveri. È potente perché l’ha creata Dio, ma sta sopra ai santi e a tutti i comuni mortali.

Dal Messico agli USA, dalla Spagna all’Argentina, una Santa controversa e miracolosa sta conquistando le anime della gente dopo secoli di clandestinità e un decennio di invasioni mediatiche su TV, giornali e internet. Da santa border line a icona globale grazie al web: la Muerte messicana, inesorabile, assume ogni giorno nuove forme e arriva a penetrare le subculture giovanili e l’immaginario del narcotraffico, la cosiddetta narcocultura. Ma le sue origini e la sua storia hanno più a che vedere con le forme di sincretismo e di resistenza popolare all’imposizione religiosa e culturale dei conquistadores spagnoli che con le mistificazioni strumentali della stampa messicana ed estera.

E attenzione, non bisogna confondere la Santísima con la tipica Calavera, con i teschi e le figurine della morte del disegnatore Guadalupe Posada, né con il tradizionale Día de muertos (Giorno dei morti) cattolico che in Messico, grazie all’assimilazione controllata di elementi delle culture indigene e alle politiche di Stato, è diventato Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e ineguagliabile attrazione turistica. Questa è la morte addomesticata.

Qui, invece, parliamo della Patrona dell’Umanità che non è un patrimonio di pochi, ma una devozione popolare dalle mille sfaccettature che non si lascia inquadrare e cooptare negli schemi classici. Parliamo della Signora di Tepito, il barrio (quartiere) slum e il mercato a cielo aperto più famoso dell’America Latina dove la dignità non si vende, però la vita e la morte vanno a braccetto, in un’eterna sfida tra comari.

Quando la morte si fa presente nella società, sconvolta da oltre 80mila morti in 6 anni per la guerra ai cartelli dei narcos, ecco che anche il suo culto ritorna. Forse importata dall’Europa durante la conquista spagnola, contaminata dalle tradizioni afro-cubane della santería e dall’anima postmoderna e caotica dei quartieri marginali di Città del Messico, la morte santificata è folclore, cultura, religione, storia e politica. È il Messico profondo sperduto nell’apocalittica globalizzazione. Lei è temuta e amata, venduta e osteggiata, è testarda e vendicativa, salvatrice e viziosa, ma resta sempre la Patrona dell’umanità che ci porterà via tutti. Ed in Messico è già Santa.

*Santa Muerte Patrona dell’Umanità, di Fabrizio Lorusso, è edito da Stampa Alternativa (2013, pp. 192). Vedi anche il blog Santa Muerte Patrona curato dall’autore.

La Santa proibita*

Prologo al libro di Valerio Evangelisti

Gli studi affidabili sul culto messicano della Santa Morte, insediatosi anche negli Stati Uniti per via dell’emigrazione, non sono numerosi, e sono molto recenti. Fino a pochi anni fa, e ancora oggi nella stampa occidentale, quella strana forma di religione era liquidata come una specie di superstizione coltivata da narcotrafficanti, carcerati e prostitute, e collegata ad attività criminali (inclusi “sacrifici umani” mai provati).

Da ciò è derivato un intenso sfruttamento massmediatico, con film, telefilm e documentari di dubbia scientificità che insistevano sul risvolto delinquenziale, ignorando tutto il resto: dalle origini del culto alle ragioni del suo rapido propagarsi fra strati popolari poverissimi, da un lato e dall’altro del Rio Grande, non sempre dediti ad attività illecite. A quest’ultimo proposito, noto che il primo opuscolo prodotto dai santamuerteros stessi in cui mi imbattei, esempio di una vasta produzione non più plausibile di quella degli osservatori esterni, recava preghiere per i taxisti e i meccanici (Sagrada Biblia de la Santísima Muerte, Ediciones Aigam, Chimalhuacán 2007).

Cosa che bastava a suggerire un’espansione che si spingeva ben oltre l’ambito della malavita organizzata. Acquistai l’opuscolo citato, assieme ad altri materiali, in un negozio di articoli religiosi sito nei pressi del mercato di Puerto Escondido, nello Stato di Oaxaca (cioè ben lontano da Città del Messico); dove conviveva con Vangeli e Bibbie del tutto ortodossi, e montagne di rosari e crocifissi. Contendeva il primato di presenza della Santa Morte solo il settore dedicato alla santería, un derivato della religione africana degli Yoruba (come il Vodou, come il Condomblé, come il Palo Mayombe) che credo sia oggi assolutamente minoritario. Cosa che non si può dire per la Santa e i suoi fedeli. Questi ultimi attribuiscono al culto origini antichissime, preispaniche.

Sarebbe una trasformazione moderna delle due divinità Mexica, una maschile e un’altra femminile, che presidiavano l’ingresso del Mictlán, l’Aldilà. La venerazione di questi dei delle tenebre si sarebbe preservata durante e dopo la Conquista, coperta dal segreto, fino a riemergere di recente, nelle forme attuali e incentrata su un’unica figura.

Una leggenda, pur non smentendo la versione ancestrale, attribuisce invece l’avvento della Santa Morte in forme moderne a un curandero (guaritore) dello Stato di Veracruz. Ai primi del XIX secolo costui avrebbe sognato la Santa, e poi ne avrebbe trovato l’immagine – di scheletro vestito con gli abiti tradizionalmente attribuiti alla Madonna – sul tetto della propria casa. Fu l’inizio di una serie di rivelazioni, già duramente condannate dalla Chiesa cattolica dell’epoca. Si tratta di genealogie non documentate e che lasciano il tempo che trovano. Certo, in Messico convivono stratificazioni religiose che danno luogo a curiosi sincretismi, come omaggi prosaici (lattine di Coca-Cola, dolcetti, ecc.) a santi cattolici, fanatismi per la Vergine di Guadalupe o altre icone sacre che rasentano l’invasamento, una vera mania per gli altarini e le statuette ormai sparita in Occidente. L’anima indigena si sente, eccome. Un pastore protestante americano mi disse, esagerando, che doveva ancora trovare, in Messico, un cristiano vero e proprio. In certa misura, sarei portato a dargli ragione.

La “chiesa” della Santa Morte non può però essere ridotta a una sopravvivenza delle religioni preispaniche sotto falsi veli, come è invece molto palese nei credi di origine Yoruba. Qui non vengono nascosti gli dei perduti sotto nomi di santi (caso tipico: Santa Barbara per Changó o Xangó, dio dei metalli). Le liturgie cattoliche sono a prima vista quelle tradizionali, e così le preghiere. Anche le più eccentriche iniziano con l’invocare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Solo, si aggiunge a tutto un’entità sacra in più, che veste come la Vergine e porta la falce.

Più che divinità antiche, l’iconografia della Santa Morte ricorda l’ossessione per teschi, scheletri e tibie propria del soffocante cattolicesimo spagnolo, dovunque si sia manifestato (si vedano tante chiese di Napoli). Senz’altro su una base molto più remota, ma con tracce salienti della malinconia e dell’indole drammatica che, sotto parvenze apparentemente contrastanti, sono spesso attribuite agli iberici (e anche agli indios messicani: cfr. Octavio Paz, Il labirinto della solitudine). Il discorso è però impegnativo, e non possiedo gli strumenti per affrontarlo.

Quanto alle similitudini col cattolicesimo ortodosso, si limitano alla superficie. Né buona né cattiva, la Santa Morte può essere invocata anche per scagliare maledizioni contro i propri nemici, e per operare azioni di magia tanto bianca che nera. Certi manuali “pratici” (come Los poderes magicos de la Santa Muerte, Ediciones S.M., s.l. ma Città del Messico, s.d.) sono simili ai grimoires medievali e rinascimentali, con ricette per procurarsi amore o denaro, per proteggere il proprio negozio, per confondere chi ci vuol male, per assicurarsi la salute.

Corredati da istruzioni per allestire altari (qui una certa parentela con il Vodou è sensibile, soprattutto nel rito di espirare fumo di sigaretta o di sigaro sul volto dell’immagine sacra), fabbricare talismani, scegliere pietre preziose, attuare fumigazioni. La natura di grimorio è confermata dalla presenza, in alcune orazioni, di termini ebraici mutuati dalla Cabala e transitati nel Medio Evo nei trattati di magia (a loro volta spesso redatti da preti cattolici). Non ci troviamo dunque in presenza di una teologia articolata e coerente, bensì di una serie di suggestioni di provenienze disparate, unificate dalla potenza della figura misteriosa, ipnotica, temuta e amata, della Santa. Come è stato possibile che una “religione” così approssimativa, che è poco definire sincretica, abbia conquistato il cuore di milioni di messicani poveri e poverissimi, onesti o disonesti, comunque marginali?

Evidentemente forniva risposte a domande, di ordine sia sociale che morale, del tutto ignorate dalla religiosità tradizionale. Per capire quali fossero, occorreva immergersi nei meandri del quartiere di Tepito, labirintico ricettacolo di traffici e luogo caldamente sconsigliato, dalla guida “Lonely Planet” e da altre simili, a ogni turista. Fabrizio Lorusso l’ha fatto, senza lasciarsi intimidire e con un alto grado di partecipazione (critica, è ovvio). Lasciamoci dunque condurre da lui nei labirinti della Santa Morte, ben pochi occidentali conoscono meglio l’argomento. Se non scopriremo la verità ultima, almeno la toccheremo da vicino.

*Tratto dal blog Santa Muerte Patrona.

La Santa Muerte a Radio Popolare – Esteri: