EUROPA

«Ripartire dalla voce delle sex worker». Conversazione con il collettivo Sex Work Polska

Sex Work Polska è la prima e unica rete informale attiva nel campo dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali in Polonia. Quello del sex working è un ambiente fortemente stigmatizzato, vista anche la “svolta cattolico-conservatrice” che si è verificata nel paese da un po’ di anni a questa parte. Ma c’è chi, in seno ai nuovi movimenti femministi e antifascisti, prova a occuparsene a partire dall’ascolto e dalle esigenze di quanti e quante lavorano nell’industria dei servizi relativi alla sessualità, riuscendo a ottenere anche visibilità e riconoscimenti: è stato infatti da poco pubblicato il volume Doświadczalnik, una sorta di “guida” al sex working, con consigli, commenti e strumenti utili e in cui vengono raccolte tra l’altro testimonianze di lavoratori e lavoratrici.

Come si arriva alla pubblicazione di Doświadczalnik?

Il nostro collettivo nasce all’incirca cinque anni fa e si è sviluppato in maniera informale, raccogliendo attorno a sé attiviste e attivisti interessati al tema oltre che lavoratrici e lavoratori del sesso. Fin da subito, il nostro obiettivo è stato molto semplice: offrire supporto alle e ai sex worker. Il che significa innanzitutto due cose: mettersi in ascolto di chi svolge questo lavoro, per capire con lui o lei quali sono le migliori modalità di sostegno; creare una rete di professionalità che potessero aiutare a rendere concreto il nostro supporto, quindi mettere a disposizione dottori, ginecologi, avvocati, psicologi e, non da ultimo, amministratori e consulenti finanziari (visto che il sex work non è legalmente riconosciuto in Polonia).

Dopodiché, una parte consistente della nostra attività ha a che fare con la sensibilizzazione e con la divulgazione: attraverso i social proviamo quotidianamente a costruire una narrazione che diminuisca lo stigma e consenta un dibattito sano attorno al tema. Si tratta insomma di fare in modo che lavoratrici e lavoratori sessuali possano offrire i propri servizi in un contesto sicuro e nella maniera più consapevole possibile. Anche tali motivi abbiamo pubblicato Doświadczalnik, il cui titolo è un gioco di parole in polacco fra “guida” ed “esperienza”, proprio per ribadire il concetto che qualsiasi azione o iniziativa in questo campo non può che partire dalle voci delle e dei sex worker.

 

Qual è l’atteggiamento del movimento femminista polacco a riguardo?

Il sex worker è un argomento controverso, che crea sempre divisioni e conflitti. Tuttavia, l’approccio generale dell’ambiente femminista è cambiato molto negli ultimi anni, soprattutto grazie a fenomeni nuovi come le Black Protest e a nuove intersezioni e alleanze che prima non si verificavano. Noi stessi, come Sex Work Polska, siamo in qualche modo “figli” di questi mutamenti: molte attiviste e molti attivisti hanno iniziato recentemente a occuparsi di tematiche relative alla sessualità, dall’educazione alla prevenzione sanitaria arrivando così a interessarsi del sex working, ma anche tante e tanti militanti hanno magari iniziato a lavorare in particolare nel campo dei massaggi, diventando lavoratrici e lavoratori del sesso loro stessi.

C’è dunque una parte consistente del movimento con cui siamo in contatto che ci appoggia e assume delle posizioni “sex-positive”, dalle Manifa (movimento nato nel 2011, con gruppi attivi in tutte le medie-grandi città della Polonia, ndr), alle reti che organizzano le manifestazione dell’8 marzo fino a Aborcyjny Dream Team (gruppo di attiviste pro-scelta, che ha recentemente promosso e organizzato la Marcia per l’aborto libero e sicuro a Varsavia) o a gruppi di attivismo trans e LGBT. Questo ci consente di portare la nostra prospettiva e le nostre rivendicazioni in diverse occasioni lotta anche se, strategicamente, tendiamo a essere molto restii a esporci.

 

Perché?

Il clima politico e mediatico attuali non sono in alcun modo favorevoli e il rischio che il nostro discorso venga travisato è altissimo. Sono praticamente nulle le forze politiche parlamentari che hanno una conoscenza del tema, tutti parlano attraverso pregiudizi o luoghi comuni (se ne parlano). D’altra parte, giornali e mezzi di comunicazione trattano il lavoro sessuale solo in modo scandalistico oppure se c’è qualche episodio criminale che coinvolge l’industria del sesso.

Tutto ciò porta dunque a grande confusione e a grandi incomprensioni: crediamo che solo una fetta minoritaria della popolazione sia a conoscenza del quadro legislativo (attualmente la Polonia adotta un modello abolizionista, ndr), per esempio, oppure di quanto importante sia e quante persone coinvolga l’industria del sesso. Perciò ci sembra, per ora, anche un fatto di attenzione e tutela nei confronti delle e dei sex worker provare ad agire soprattutto in modo informale e all’interno di canali e occasioni che siano totalmente sicuri.

 

Quanto è difficile però entrare in contatto con lavoratrici e lavoratori del sesso?

Il mondo del sex working è molto variegato. Diciamo che i gruppi con cui riusciamo più facilmente a entrare in contatto sono quelli composti da persone che si identificano come donne: dalle lavoratrici in strada, alle massaggiatrici o alle performer. Al contrario, risulta più complesso entrare in una relazione di fiducia con soggettività non-binarie o con membri della comunità LGBT e questo perché ci sono vari strati di stigma che si sommano e intersecano.

Ma, in generale, va detto che lavoratrici e lavoratori del sesso hanno i loro buoni motivi per avere un atteggiamento sospettoso. Uno degli slogan più comuni del movimento “sex-positive” è: “Salvateci dai salvatori”. Spesso, l’atteggiamento di chi si approccia al mondo del sex working è paternalista, volto a cambiare e in fin dei conti vittimizzare quante e quanti lavorano con la sessualità. È invece assolutamente necessario rompere questa attitudine di fondo, perché genera solo sfiducia e non aiuta in alcun modo l’emancipazione delle e dei sex worker.

 

Come mai si è creato un tale atteggiamento, secondo voi?

Ha a che fare con molte questioni, dalla pura e semplice disinformazione ai pregiudizi e alle inibizioni verso cui ci spinge il contesto sociale in cui viviamo. Uno dei punti su cui si generano le maggiori incomprensioni è forse questo: riuscire ad accettare il fatto che la sessualità delle persone non coincide con la loro intimità.

Il sex work è davvero un ambito in cui convergono diversi tipi di stigma e di esclusioni: l’avversione per le sessualità non conformi, i pregiudizi di genere e nei confronti delle e dei migranti, i tabù verso il corpo e le sue espressioni, ecc. Non stupisce dunque che sia un argomento controverso e divisivo. Eppure, a nostro modo di vedere, è solo cambiando la nostra mentalità in questo campo che è possibile arrivare a una piena emancipazione collettiva. Considerare il lavoro sessuale, finalmente, un lavoro significa cambiare in una direzione positiva il nostro atteggiamento verso il sesso, riconoscere l’autodeterminazione del corpo femminile, vuol dire – in definitiva – mutare la cultura patriarcale in cui siamo immersi, una cultura che troppo spesso genera stupro, violenza ed emarginazione.

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