ITALIA

Sex work is work: e sulle nostre vite decidiamo noi!

A inizio giugno si è tenuto un congresso e un corteo a Bologna tra sex workers e alleat3 per progettare una lotta comune contro la criminalizzazione e per i diritti di quest3 lavoratric3. Una lotta che sottolinea come il problema non risiede nella professione, quanto nell’assenza di una libertà ed educazione sessuale

Gli scorsi 2 e 3 giugno a Bologna si è svolto un incontro tra sex workers e alleatə , “Sex workers speak out: contro la criminalizzazione, per i diritti” che ha riunito collettivi e associazioni da anni impegnate in Italia a lottare per i diritti di chi esercita sex work in tutte le forme.

L’organizzazione dell’incontro è stata promossa da Mit (Movimento Identità Trans), Associazione Swipe (Sex Worker Intersectional Peer Education), Comitato per i diritti civili delle prostitute, Kinky Girls, Ombre Rosse (Collettivo Transfemminista di Sex Worker e Alleate), Padova Hardcore Swir (S3x Workers informali e ribellx) e ha visto la collaborazione e il supporto di gruppi e singole alleatə.

La giornata del 2 giugno è iniziata con un incontro “a porte chiuse” tra sex workers e poche alleatə per discutere assieme, divise in gruppi di lavoro, di: accesso ai diritti sul lavoro, salute, casa e altri diritti fondamentali; stigma, violenza e carcere; reti “dal basso” e attivismo. Il 3 giugno presso l’Auditorium Enzo Biagi, con il patrocinio del Comune di Bologna, si è svolto il congresso seguito da un favoloso corteo che nemmeno la pioggia ha potuto arrestare, ombrelli rossi alla mano.

Lo sforzo organizzativo è stato mastodontico considerando il disastro ambientale che ha colpito nelle precedenti settimane tutta l’Emilia-Romagna e che ha assorbito tante energie di lavoro e cura solidale anche a Bologna. Moltissimə sex workers provenienti da tutta Italia hanno partecipato alla due giorni assieme a organizzazioni e singole alleatə.

Un incontro sentito da tempo e necessario, se si considera la fase di aspra repressione che le sex workers hanno vissuto negli ultimi anni con l’introduzione del c.d. “Daspo urbano” (Decreto legge “Minniti” del 2017), la proposta di legge del 2022 della senatrice Alessandra Maiorino a modifica della legge “Merlin” sulla prostituzione, e il continuo inasprimento delle regole in materia di migrazioni con – da ultimo – il Decreto legge voluto dal ministro Piantedosi (meglio conosciuto come decreto “Cutro”, dicitura che preferisco non utilizzare).

Sì, perché la lotta per i diritti dellə sex workers è e non poteva non essere intersezionale, oltre tutte le retoriche neoliberali e reazionarie che, soprattutto di questi tempi, ruotano attorno alle battaglie per i diritti civili. All’incontro hanno partecipato numerose persone migranti, molte persone trans* e a più riprese è stato sottolineato come la lotta per ottenere il diritto al lavoro e alle tutele delle sex workers sia intrinsecamente legata alla lotta per il passaggio sicuro delle frontiere, la regolarizzazione, la tutela delle persone migranti e la libertà di autodeterminazione sul proprio corpo.

È stato ribadito che la tratta di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro sessuale sono direttamente connessi ai regimi delle frontiere, che non permettono alle persone di spostarsi autonomamente e di poter lavorare liberamente, con tutte le tutele necessarie, in Europa. Inoltre, queste lotte comuni non possono che avere una portata transnazionale, come hanno ricordato magistralmente Sabrina Sanchez di ESWA (European Sex Workers’ Rights Alliance) e Arlen Palestina della Brigada Callejera messicana.

Era urgente una presa di parola delle dirette interessate contro l’ennesima proposta di modifica della Legge “Merlin” avanzata dalla sanatrice Maiorino lo scorso anno. La legge del 1958, come ben noto, non rende illegale il sex work in quanto tale ma, di fatto, lo lascia in una zona d’ombra (di lavoro nero) che non permette una vera autodeterminazione delle lavoratrici. Come giustamente lamentava G. durante uno dei tavoli di lavoro, svolgendo sex work, ad esempio, non puoi chiedere un mutuo in banca. La proposta di legge peggiora ulteriormente la situazione prevedendo l’assunzione del c.d. modello “nordico” (adottato in Francia e Svezia) che disincentiva il sex work prevedendo sanzioni per il cliente. Questo tipo di modello non fa che rendere più rischiosa l’attività per le lavoratrici che, per venire incontro alle esigenze dei clienti volte a evitare le sanzioni, sarebbero costrette a lavorare in modo ancora più “nascosto”, rischiando maggiori violenze e abusi.

Le lavoratrici presenti erano tutte concordi nel rigettare fermamente questa proposta di legge e nel ritenere che l’unico modello auspicabile è quello della totale decriminalizzazione. Una legge sulla regolarizzazione del sex work dovrebbe venire incontro ai bisogni delle lavoratrici e non seguire regole decise da altri. La normativa dovrebbe lasciare il più ampio spazio all’autodeterminazione di chi lavora e comprendere l’accesso, così come succede per ogni lavoro, alle tutele sociali, previdenziali e connesse. Assieme all’accesso alle tutele previste dal diritto del lavoro, esistenti o da introdurre, è stato sottolineato come sia necessario ripensare l’accesso alla casa e alla salute per tuttə. In particolare, il libero accesso agli ormoni e ogni altro strumento di autodeterminazione del proprio corpo e il libero accesso senza stigmatizzazione ai test e alle cure dell’HIV e ai mezzi di prevenzione come la PrEP, nel rispetto dell’autodeterminazione e senza barriere discriminatorie.

Durante l’incontro è stato sottolineato che ancora più urgente e necessaria è l’abrogazione del reato di favoreggiamento della prostituzione che, al pari di quello per l’immigrazione “irregolare”, colpisce soprattutto le lavoratrici.

Le false retoriche pubbliche nell’introduzione di questi reati sono infatti molto simili, se millantano di punire i c.d. “papponi” o i c.d. “scafisti”, in realtà sono strumentali a punire la collega che ha prestato la stanza per lavorare, o la piattaforma online dove vengono fissati gli appuntamenti con i clienti o dove direttamente si lavora. Allo stesso modo, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione “irregolare” finisce per punire le comunità migranti che pagano il biglietto del treno o un panino ai connazionali per senso di solidarietà e comunità.

Sembra utile ribadire qui che il vero intento di queste regole è il mantenimento di uno status quo ove il sex work, come la migrazione, è disincentivato a livello morale e pubblico ma di fatto viene scientemente lasciato in una zona di privazione di diritti e quindi di violenza e povertà. In questo senso, sono state straordinarie le parole di Loredana Rossi (ATN – Associazione Transessuale Napoli) che ha ricordato le tante persone trans* uccise a Napoli dalla violenza sistemica e dalla privazione di diritti e ha ribadito che le lotte per la vita di tutte noi sono e saranno sempre connesse e antifasciste.

L’incontro è stato immaginato come un primo passo per gettare le basi di una lotta comune, seguendo il lavoro svolto dai gruppi, i collettivi e lə sex workers singolarmente in tutti i territori. In questo senso è cominciato un lavoro di scrittura di un manifesto che fissi gli obiettivi di lotta comuni.

Ma il diritto, come spesso accade, non è che il punto di arrivo (o anche di partenza) di un percorso di eliminazione dello stigma intorno al sex work e al sesso in generale. Colpisce molto come le lavoratrici siano le prime a prendersi cura e avere comprensione di un mondo che invisibilizza completamente il lavoro sessuale e la sessualità, così come molte altre sfere della cura. Il lavoro sessuale, come sottolineato dalle presenti, richiede ascolto, empatia, messa in discussione dell’emotività delle parti e negoziazione. In una parola: professionalità. E lo stigma intorno al sex work è talmente pervasivo da rendere quasi impossibile o difficile mantenere affetti, crescere dei figli, intrecciare relazioni.

Svolgere sex work significa vedersi negato il «diritto a una famiglia» (nel senso più ampio del termine), utilizzando le parole di una lavoratrice.

Come spiega bene una bella fanzine distribuita gratuitamente durante la due giorni, So you are dating a sexworker di Alice Danger ed Emy Phoenix, in un mondo dove la sessualità non è assolutamente narrata per quello che è ma incastrata nelle logiche della riproduzione e della violenza, il primo passo della decostruzione spetta a noi e alla lotta comune. I risultati dello stigma sono a carico, ancora una volta, delle lavoratrici che sottolineano come «rischio del mestiere non possa essere la violenza ma, al massimo, un tacco rotto». La terribile notizia del femminicidio di Giulia Tramontano riecheggiava durante la due giorni, rendendo ancora più urgente la seria introduzione di un’educazione al consenso, all’autodeterminazione e alla libertà sessuale e in contrasto alla cultura patriarcale della violenza che colpisce tuttə e ancora di più le sex workers.

Durante il corteo bagnato e felice le parole si sono fatte corpo gioioso, danzante, libero, che inspirava il messaggio per cui il problema non è la libertà sessuale, non è il sex work, ma la cultura patriarcale (e capitalista) che vuole controllare le nostre vite e i nostri desideri. Un corteo dove sex workers e alleatə si sono ritrovate assieme per l’autodeterminazione di tutti i corpi, dove l’alleanza in realtà significa comunità, volere una buona vita per tutte e insieme, volontà comune ora più che mai necessaria, con un governo che mira apertamente a creare fratture mentre logora più o meno silenziosamente i diritti di tuttə.

Link video del congresso del 3 giugno:

Parte 1

Parte 2

Immagine di copertina di Daniela Morpurgo