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Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. La porta delle madri di Manuela Fraire

“La porta delle madri” (Cronopio) di Manuele Fraire costitiusce l’occasione per provare a riflettere sul rapporto tra femminismo e psicoanalisi: due territori dell’umano che hanno a che fare con il margine e che trasgrediscono e mettono in crisi l’Uno della metafisica, del soggetto, della coscienza, del fallo

«Essere eretici nel modo giusto».

J. Lacan Seminario XXIII

Il femminismo salverà la psicoanalisi. Psicoanalisi che d’altronde, come ci ricorda Monique Wittig, potrebbe essere un femminismo mancato. Cercheremo di giocare allora con il concetto di mancanza, che da subito abbiamo scelto di inserire tra psicoanalisi e femminismo, attraversando brevemente il testo di Manuela Fraire. Cercando di dirne qualcosa magari: probabilmente però scriveremo di altro, del e sul margine del testo.

La psicoanalisi e il femminismo sono due territori dell’umano che hanno molto in comune. Hanno a che fare con il margine. Diciamo fin dal principio che entrambi partecipano di una trasgressione che mette in crisi proprio la definizione di uno spazio in quanto definito a partire dall’Uno (il soggetto, la coscienza, il fallo, l’uomo, ecc.). Probabilmente in modo ancora più radicale mettono in crisi il dispositivo stesso della definizione. Noi abbiamo provato a farli giocare insieme mettendoci sulle tracce della nozione di mancanza.

Non daremo un’interpretazione della mancanza come assenza, rovescio della presenza, sottrazione di un intero precedentemente felice, un’interpretazione metafisica. Cercheremo piuttosto di inserirla nel binarismo presenza/assenza. Così facendo la mancanza rivela di sé tutta la sua ambivalenza, il riferimento alla colpa ad esempio e alla trasgressione. Trasgressione della metafisica, dove per metafisica intendiamo l’insieme epocale di quei filosofemi che hanno dato forma al pensiero occidentale, determinandone le logiche etiche, politiche e filosofiche. In questo sistema la mancanza può essere pensata come fondante un’altra economia, una perdita senza recupero, una dispersione senza ritorno, la “parte maledetta” per dirla con Bataille, ciò che svolge una funzione spiazzante.

La metafisica è un’architettura: c’è un polo positivo che appare travagliato da una sottrazione, ferito da un’espulsione che degrada. Di questa sciagura solitamente è ritenuto responsabile un termine negativo a cui è riservata una colpa. Il polo positivo allora continua a controllare dall’alto tutta la scena, ovvero: rimane fuori-storia (l’Uno, la presenza, l’origine, il fallo) mentre la mancanza viene esclusa per difetto, inserita in un’opposizione che è sempre gerarchica. Tale sistema di pensiero si è articolato intorno alla centralità indiscussa del Logos. Ma cosa succede se la mancanza non ci sta a stare buona dentro la gerarchia e inizia a “militare”? A fare sintomo?

Psicoanalisi e femminismo mettono in discussione questo primato e ne osservano gli effetti finanche politici. La mancanza spiazza il concetto di pienezza, sfugge a questa inquadratura. Ma cominciamo dal libro e cominciamo con il dire che in esso è racchiuso a nostro avviso un tentativo di svincolare, emancipare (démarquage) la porta delle madri dalla funzione, dalla marca, che l’apparato metafisico le ha imposto all’interno del suo sistema. Cominciamo dalla stanza di Anna O. Dalla prima stanza d’analisi.

Manuela Fraire inizia da lì, dove Breuer incontrava Anna, sotto gli occhi di un giovane Freud. Siamo al termine di questa analisi numero zero, sembra sia tutto andato per il meglio. I sintomi sono regrediti attraverso la cura della parola. Tutto bene quindi… se non fosse per il corpo di Anna che nel separarsi dal suo dottore produce una gravidanza. Il resto è noto, leggenda per noi analisti. Si è scritto di tutto su Josef e Anna. Su questo primo amore di transfert… ma a noi, con la Fraire, interessa la scena del parto isterico a partire dalla quale Freud scrive che Breuer avrebbe avuto in mano la chiave della porta delle madri. E lascia intendere però che a raccoglierla sia stato lui.

Possiamo mettere in dubbio questo ottimismo freudiano? Forse si. Sembra infatti che il padre della psicoanalisi sia piuttosto in difficoltà quando l’amore materno si mette a fare questione. Probabilmente Freud, come spesso accade nel suo speculare, si muove oscillando tra una attrazione per la vertigine faustiana, per le aperture perturbanti, coglie il sessuale nel desiderio della madre, ma subito dopo tende spesso a chiudere. Così ci potremmo chiedere se l’Edipo sia stato la chiave freudiana per comprendere l’amore materno o viceversa qualcosa che ha avuto più a che fare con il timore faustiano di Freud. Con cosa aveva a che fare insomma quella gravidanza isterica? Un vuoto divenuto pieno? Un pieno fatto di vuoto? Il vuoto è figura della mancanza.

Sicuramente l’Edipo è stato quell’interpretazione che ha fatto fallire il caso di Dora. Cosa voleva Dora, adolescente inquieta della psicoanalisi. Voleva avere accesso, come ci ricorda Manuela Fraire, al famoso scrigno dei gioielli del sogno, cofanetto contenente i segreti femminili. Gli stessi che la signora K andava via via trasmettendo alla giovane amica. Dentro quello scrigno c’è qualcosa che dal principio occupa la psicoanalisi. Qualcosa che unisce e separa l’uomo e la donna, un resto nella differenza che noi analisti chiamiamo il sessuale. C’è da dire che noi facciamo di tutto per coprirlo questo sessuale. Per de-sessualizzarlo. E questo rischio lo corre la riflessione sul genere così come la figura di una identità materna de-sessualizzata. In questo scenario l’isterica ha ancora invece qualcosa da dire?

Fermiamoci ancora un momento però su quanto Manuela Fraire fa emergere dalla maternità. Perché oggi, ancora una volta, tutto cambia. E cambia in prima battuta per opera della scienza. La scienza tocca il reale? Di sicuro oggi possiamo disgiungere la procreazione dalla maternità. La madre è legata al corpo tanto quanto al linguaggio, ci ricorda Manuela Fraire, e oggi si diventa madri se lo si desidera. Ma c’è ancora di più. La GPA, gravidanza per altri, mette in crisi l’istituzione famigliare, la famiglia patriarcale. Famiglia edipica? Così il libro porta potenzialmente lontano. Se i legami biologici non sono più necessari, possiamo pensare con Donna Haraway, che le persone stabiliscano parentele condividendo esperienze e un senso di appartenenza. E ancora più in là. Questi legami, perché no, possono non solo attraversare i confini tra specie, ma anche confonderle. Andare oltre i confini tra umano e non umano vedendo e percependo una continuità dell’essere oltre l’Edipo. Qui femminismo e psicoanalisi si incontrano nella possibilità di pensare attraverso parentele e non popolazioni, meglio ancora generare alleanze di natura imprevista, tentacolari, intercettando anche le problematiche ecologiche, ormai centrali se si vuole ragionare seriamente sull’arte di vivere in un mondo disturbato e approfondire come fa la Fraire il campo del possibile.

Andare oltre l’Edipo, la famiglia biogenetica, cambia anche la seduta analitica. L’Edipo, come la Teogonia di Esiodo, è il tentativo di stabilizzare una famiglia queer fin troppo esuberante. Quindi forse l’attenzione della psicoanalisi dovrà tornare a occuparsi di questa esuberanza. Già a partire da Laplanche possiamo vedere come la seduta analitica sia andata oltre l’Edipo. Non si tratta più di ripetere nel transfert una relazione adulto/infans, come fosse una baby observation. Ma di “lavorare in prossimità dell’infanzia”, ovvero di intravedere nelle teorie sessuali le impronte dei significanti con cui il sessuale dell’adulto si è infiltrato nelle cure autoconservative. Detto altrimenti: la stanza d’analisi non è una cassa di risonanza per un passato che torna. Ma l’inesauribilità di come il sessuale si intromette nella vita dell’uomo. Chissà cosa ne avrebbe pensato Dora. Quindi il transfert non replica ma rilancia la situazione antropologica fondamentale. E l’inconscio, come Nietzsche diceva del mondo, non è qualcosa da conoscere ma da lasciare esprimere. Una costruzione, per dirla con Freud.

La teoria della seduzione generalizzata smarca la sessualità dall’Edipo, come la scienza ha smarcato la maternità dalla procreazione. Riporta il movimento nel transfert. L’eccitazione. Che effetto sta avendo nella psicoanalisi il crollo dell’operatore edipico che invece è stato al centro dei movimenti femministi, come della decostruzione? Tutto ciò ha per noi a che fare con la crisi del binarismo. Il tramonto dell’Edipo non è che un riflesso di questo tentativo di forzare la metafisica occidentale. Per la nostra disciplina diventano centrali due osservazioni contenute nel libro della Fraire. Ovvero che maschile e femminile non sono più annodati al paterno e al materno e che l’esperienza del sessuale ignora ogni attribuzione così come ignora l’istinto. Il sessuale in quanto è nella differenza ignora il dualismo ed è secondo noi una nozione a-metafisica.

D’altronde c’è nella psicoanalisi una grande spinta a-metafisica che rintracciamo nel fatto che nell’edificio teorico della metapsicologia non c’è posto per il concetto di identità. Motivo per cui, a nostro avviso, ci è così difficile comprendere il genere. Questioni di genere che se già è problematico legare a delle identificazioni sono però decisamente annodate a delle identità. Nel libro della Fraire le questioni di identità di genere si intrecciano poi con la maternità e la paternità, che invece non sembrerebbero più legate a un genere specifico. Movimenti oscillatori tra definizioni e decostruzioni.

Movimenti che sembrano ricalcare il tentativo di avere a che fare con il binarismo e l’impossibilità di trovare una via di uscita. Impossibilità che in quanto tale rappresenta però una tensione nella ricerca. Così che potremmo immaginare che la porta delle madri è quell’enigma che se rimane chiuso, ovvero avvitato sull’identità, continuerà a fare problema tra i due sessi: alimentando ad esempio la fantasia maschile di impossibilità di penetrare il mistero della maternità e l’impossibilità delle donne a non avere altri esiti identitari che la madre. Due forme di godimento insomma. Ma Manuela Fraire sembra dirci anche che questo impossibile è l’apertura stessa. E qui non possiamo che riferirci a Derrida e pensare l’im-possibile come un potere-di-non-potere. Una resa insomma, un Neutro, per dirla con Roland Barthes, che smonta il paradigma.

In questo caso il paradigma del potere e dell’ipseità, se interpretiamo l’im-possibile come resa incondizionata, esposizione all’altro che se pure ci infetta, per usare un paradigma immunitario, o ci infesta, per usare quello della spettralità, decostruisce il potere, potenza decostruente che non è l’opposto del potere ma un contro potere. Un lasciar venire l’evento che nomina un’attiva passività che ricorda da vicino la pulsione, il farsi oggetto che nulla ha a che fare con il potere dell’affermazione.

Da queste altezze teoriche torniamo da Anna O., Breuer e Freud. Ci vuole coraggio, il coraggio stesso di tremare se vogliamo, la paura per il proprio sé minacciato, per la propria ipseità. Una paura che ogni Uno, sentendosi minacciato, tenderebbe a scongiurare. Breuer si era molto esposto e così anche Anna. Ma solo in quanto esposti avrebbero potuto e hanno potuta lasciare che l’analisi si facesse. Magari come un potere-di-non che può, storicamente, aprire la possibilità di sognare mondi di là da venire.

E chi è più esposta dell’isterica? Nella lettura lacaniana dell’isteria ritroviamo tutto questo. Oltre all’interrogativo sul corpo che altro non è che una domanda sul sesso. L’isterica cerca di rispondere a una questione sulla femminilità decostruendo femminile e maschile. Anticipa di un secolo le tematiche transgender, che potremmo allora pensare come a un sexuale che cerca un proprio genere. Potremmo pensare il sessuale come il “là fuori” (D. Angelucci) che per essere ha sempre bisogno di essere scritto e che nella scrittura del sessuale dunque emerge ciò che lo lavora dall’interno.

L’isterica mostra inoltre che il desiderio è sempre decentrato, è desiderio dell’Altro, essere desiderabile per l’Altro. Ma lo fa in modo particolare, ovvero non dimentica che in tutto ciò la mancanza gioca la sua partita. Se si fa oggetto del desiderio è sempre per sottrarsi. Mancanza come oggetto e gioco pericoloso a un tempo, in quanto si cerca di ricavarne un sapere. E nel tentativo Dora passa dal sacrificarsi per il padre all’essere sacrificata dal padre. Bisogna sempre andarci piano con il sapere.

Ma i bambini come il “piccolo Hans” sono curiosi e gli adulti che se ne occupano sembrano già tutti pronti a interpretare. E allora la sua curiosità verso il corpo della sorellina diventa subito domanda presa tra la presenza e l’assenza. C’è o non c’è il fallo. L’esito politico di questa domanda è appena dietro l’angolo e ha effetti potenzialmente terribili. L’uomo dalla parte della presenza e la donna dalla parte dell’assenza… femmina come non maschio, ebreo come non uomo. Perché la metafisica funziona come un feticcio. È un sistema per rinnegare la mancanza. Però come nel feticcio, una pienezza mutilata non può che essere ambivalente. Nel feticcio c’è sia il rinnegamento che il riconoscimento dell’evirazione.

Proviamo allora a cercare di pensare alla castrazione, concetto fondamentale della psicoanalisi, a partire da quello di mancanza. Cerchiamo di comprendere meglio ciò che riteniamo corra lungo tutto il margine del libro della Fraire. E cerchiamo queste tracce nel territorio dell’Edipo, lo spazio d’elezione dello psichico. Per il bambino, come è noto, il complesso d’Edipo crolla a causa del complesso di castrazione. Per la bambina viceversa la castrazione introduce all’Edipo ma in sostanza lo rende anche impossibile.

Morale della favola però i due bambini, maschio e femmina, che in principio sono concepiti come un unico bambino “pieno” non intaccato dalla mancanza, passano dal primato fallico a quello genitale. Ovvero della differenza. Cosa vuol dire? Vuol dire che da subito su questa differenza avviene qualcosa: viene ridisegnata in una gerarchia e alla donna viene riassegnata una mancanza, ma questa volta interpretata come assenza, non presenza. Ciò che interessa a noi è che di fatto, lo sapeva bene Hans, la pienezza assoluta del fallo è stata intaccata, qualcosa era già all’opera fin dal principio. Così che il primato dei genitali rappresenta un’affermazione di diritto e non di fatto. Freud insomma parte da un bambino monosessuato, riprende il mito platonico degli esseri sferici e non può che approdare alla solita architettura metafisica.

Il punto è allora quello di pensare seriamente, come ci sembra sia presente in tutto il testo del libro che stiamo commentando, a partire da una mancanza “militante” e non da una differenza gerarchizzata. La mancanza non va mai pensata come qualcosa che precede ciò che istituisce. Ponendosi, pone i differenti (pene/vagina ad esempio). Non è propriamente qualcosa, ma è una quasi-qualcosa. un’operazione differenziante che opera su un terreno senza fondamento. Derrida la chiama Differance, la Malabou epigenetica.

Questo ci sembra essere il motore di tutto il libro della Fraire. Non l’enigma della porta delle madri ma ciò che lo mantiene in quanto enigma, ciò che mantiene in movimento il sessuale infantile, la grande scoperta freudiana. Che poi secondo noi è qui il punto: una perturbazione nel cielo della metafisica di qualcosa che appartiene alla metafisica ma non è del tutto da questa controllata. Manuela Fraire fa lavorare la mancanza, possiamo dunque dire, senza farne un’assenza e ricadere nel binarismo. Non iscrive forzatamente un termine nell’altro. Neanche iscrive la mancanza nella dialettica, come Carla Lonzi ci ha insegnato a non fare, come movimento escatologico di una mancanza addomesticata. Magari proprio nel ruolo di madre. C’è nella madre qualcosa di molto metafisico nel senso di un esito escatologico nel quale però si esprime un controllo. La mancanza viceversa può essere assunta a soggetto, una soggettività particolare, che non riempie, non risponde, ma svuota. Non stabilizza ma fa vacillare.

La madre, per come ci sembra capire il testo della Fraire viceversa corre il rischio di un concetto metafisico. È il seme che non si disperde appunto e che diviene frutto, attecchisce al terreno, al fondamento, al Grund. E nel far ciò struttura e sostiene tutti i poli positivi del binarismo: la natura, l’origine, il bene , la salute, il dentro. Ma la metafisica trova un atto di nascita in questo gesto che consiste nell’escludere tutto ciò che rappresenta una minaccia, un’obiezione all’ideale di pienezza: in questo caso l’infanzia, la follia, l’animale, il sessuale perturbante che non costituiscono il Proprio dell’uomo ma sono invece contrassegnati da una carenza che ha sempre bisogno di una protesi correttiva.

Al limite possono essere tappe intermedie recuperate in un traguardo finale. La psicologia evolutiva spesso fornisce alla psicoanalisi tale traguardo. La porta delle madri apre invece a un’altra visione, quella di un negativo che altro non è che l’impossibilità di distinguere il proprio dell’uomo da ciò che è sempre stato inteso come il suo altro degenerato. Perché non c’è proprio un qualcosa che non sia già da sempre stato contaminato da ciò che vorrebbe escludere. Il sessuale è questa esclusione. Il proprio dell’uomo è già invece da sempre una dislocazione, non è altro che questa dislocazione.

La mancanza nell’interpretazione metafisica allora è qualcosa che si fa segno, sintomo da interpretare. Quella a-metafisica invece possiamo pensarla come libera dall’obbligo di “fare frutto”. Un sintomo anzi ci segnala proprio questa resistenza ultima, l’insistenza meglio ancora a mancare la propria destinazione. Un punto di erranza, la propria eresia.

Il testo scritto da Manuela è prezioso allora proprio per questo motivo. Non sappiamo se sia possibile pensare una pienezza affrancata dal dominio della presenza e dell’identità. Probabilmente è lecito dubitarne e in tal senso i tentativi della generazione dei più giovani di svincolarsi dal binarismo sono esperimenti coraggiosi e di valore. Perché comunque queste soluzioni rappresentano pur sempre dei tentativi di deviare dalla via maestra, che per quanto possono essere fallimentari (ancora non possiamo dirlo) comunque riconoscono, nell’esigenza stessa della trasgressione, l’esistenza di un sistema privilegiato della “presenza” da cui intendono differenziarsi. Il libro di Manuela ha il pregio di porre in evidenza alcuni effetti derivati dall’imporsi di tale sistema.

Perché laddove qualcuno gode di un privilegio c’è sempre chi – cosa o persona – ne è, in tutti i sensi dell’avverbio, sistematicamente escluso.

In copertina il celebre ritratto di Sigmund Freud del fotografo Max Halberstadt (pubblico dominio/Wikimedia Commons)

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