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EUROPA

Eleonora Celoria: «Il Patto europeo sulle migrazioni limita l’accesso ai diritti fondamentali»

Intervista a Eleonora Celoria, avvocata ASGI, esperta di diritto dell’Unione europea. Il Patto europeo sulle migrazioni peggiora radicalmente le procedure applicate alle e ai migranti. È indispensabile interrogarsi sulla portata delle nuove previsioni, esplorare le singole previsioni e immaginare quale impatto avrà l’implementazione del Patto. Sono in gioco i diritti essenziali delle e dei migranti e, nel complesso, la qualità della democrazia su scala europea

Il Parlamento europeo ha recentemente approvato una serie di Regolamenti che ridefiniscono in maniera sostanziale e peggiorativa le procedure e i diritti delle persone migranti e richiedenti asilo nell’Unione europea. Si tratta delle proposte presentate dalla Commissione nel settembre 2020, definite come “Nuovo patto europeo sull’asilo e la migrazione”. I Regolamenti entreranno in vigore gradualmente in tutti gli Stati membri, uniformando le procedure in tutta l’Unione. Prevedono una drastica riduzione dei diritti delle persone migranti e un loro tendenziale isolamento nelle zone di frontiera. Ne parliamo con Eleonora Celoria, avvocata ASGI ed esperta di diritto dell’Unione europea, che fin dal settembre del 2020 analizza e sottopone a critica le misure proposte dalla Commissione.

Da poco sono stati adottati i Regolamenti che danno forma al Patto europeo su asilo e immigrazione, che erano in discussione dal settembre del 2020. Ci puoi raccontare quali sono i principali provvedimenti e le maggiori criticità?  

Possiamo classificare le principali modifiche proposte dal Patto in base alle loro conseguenze. Alcune hanno un impatto diretto sulla vita delle persone migranti, soprattutto richiedenti asilo. Altre intervengono principalmente sui rapporti tra gli Stati europei. Ad esempio, il nuovo regolamento per la gestione delle migrazioni (RAMM), che disciplina le cosiddette misure di solidarietà – che poi tanto di solidarietà non sono – definisce i meccanismi per la distribuzione delle domande di asilo tra gli Stati e come questi dovrebbero supportarsi l’un l’altro o meno.

Possiamo dire che è il Regolamento che sostituisce il precedente, chiamato “Dublino”?

Sì, e non ci sono grandi cambiamenti: rimane il criterio della responsabilità dello Stato di primo ingresso, ma è stato presentato dalla Commissione in modo molto positivo, perché si dice che c’è un meccanismo vincolante di solidarietà. È obbligatorio prendere in carico una minima quota di richiedenti asilo che arrivano nello spazio dell’Unione. Ma non si tratta di un effettivo trasferimento dei migranti in paesi membri diversi da quello di primo ingresso, ma solo di un contributo finanziario. Verosimilmente, quindi, gli Stati non di frontiera parteciperanno alla “solidarietà” con un contributo economico che però può essere utilizzato non solo per le misure di accoglienza ma anche per le politiche di esternalizzazione, quindi per politiche di rafforzamento dei confini in Stati terzi.

Un’altra parte molto controversa riguarda la modifica delle procedure per il riconoscimento del diritto d’asilo. Ci puoi raccontare le principali modifiche?

Sono previste modifiche alla procedura di asilo in tutte le sue fasi, da quando la persona arriva fino all’eventuale rimpatrio. Sono quattro diversi regolamenti che intervengono in questo campo: il Regolamento sullo screening, che riguarda gli accertamenti all’ingresso; il Regolamento procedure che riguarda proprio la procedura per il riconoscimento della protezione; il Regolamento Eurodac in relazione alle banche dati. Inoltre, è stato previsto anche un apposito Regolamento che riguarda le “situazioni di crisi”, che definisce quali procedure possono essere applicate in momenti di “crisi” a causa di un numero troppo elevato di arrivi o in “situazioni di forza maggiore”.

Cosa si intende per situazioni di forza maggiore?

Questo è un punto molto critico, perché la “forza maggiore” non viene mai definita in modo chiaro: bisognerà valutare attentamente come sarà applicato questo concetto. C’è un ulteriore elemento molto grave: quello della “strumentalizzazione”. Ovvero quando entità terze, che possono essere Stati terzi o anche attori non statali, “strumentalizzano” i migranti, cioè – nella prospettiva del nuovo Patto – “usano” i migranti per “minacciare” uno Stato europeo. In questi casi gli Stati possono rispondere in modo emergenziale, non rispettando più il diritto di asilo: tutte le domande, nell’ambito della gestione di questo meccanismo, sono processate alla frontiera e in modo molto rapido, senza applicare le garanzie generalmente previste.

Nell’ordinario, invece, come sono modificate le procedure di analisi delle domande di asilo?

Tra le modifiche più problematiche ci sono quelle introdotte dal Regolamento procedure, che riguardano le domande di asilo e hanno effetti sia sul territorio sia alle frontiere. Le procedure di frontiera, che comportano gravi limitazioni dei diritti, saranno obbligatorie in un numero molto elevato di casi. Infatti, saranno applicate automaticamente per chi è considerato “pericoloso”, per chi viene da paesi con un tasso di riconoscimento delle domande di asilo inferiore al 20% e per chi ha presentato domanda in maniera considerata “fraudolenta”, cioè i casi in cui si ritiene che la persona abbia ingannato le autorità o ha falsificato i documenti.

In questo scenario, è importante il concetto di “finzione di non ingresso”, introdotto proprio per le procedure applicate in frontiera. Di cosa si tratta?

Si tratta di un concetto assurdo e pericoloso. Non è mai stato definito, spiegato, analizzato e approfondito. Non è chiaro cosa possa implicare nel dettaglio. C’è un grande tema: la condizione giuridica delle persone in frontiera. Sono previste misure coercitive, come la limitazione della libertà di movimento e la detenzione vera e propria. In questa maniera si stravolge il sistema di accoglienza e si ha un’espansione del sistema detentivo. I centri predisposti in frontiera saranno centri diversi da quelli previsti nei luoghi non di frontiera, da cui le persone possono allontanarsi, andare a lavorare, interagire con il territorio.

Il regolamento, quindi, è abbastanza vago su come poi i singoli Stati devo applicare questa “finzione di non ingresso”. È possibile che siano previsti meccanismo di coercizione anche indiretti. Di cosa si tratta?

Bisogna partire dall’idea che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha stabilito che, se sei in un centro sorvegliato costantemente, chiuso e dal quale devi chiedere l’autorizzazione per entrare e uscire, allora sei in una condizione di detenzione. Le novità introdotte con il Patto, che riguardano l’accoglienza, prevedono che gli Stati possono adottare varie misure che limitano la libertà di movimento delle persone richiedenti asilo. Una di queste è l’obbligo di risiedere in un determinato posto.

Probabilmente assisteremo a una sua attuazione ibrida, ambivalente, simile a quanto succede già ora a Lampedusa. Le autorità a volte dicono che le persone che si trovano nell’hotspot possono liberamente uscire dalla struttura. Se però la natura del centro non consente effettivamente la libera entrata e uscita ed è comunque un centro presidiato e sorvegliato dalla polizia, possiamo affermare che non si tratta solo di una limitazione della libertà, ma è una vera e propria privazione della libertà. Con il nuovo Patto è molto probabile che, intorno a questo tema, si svilupperà un notevole contenzioso giudiziale.

Quali conseguenze avrà questa finzione di non ingresso sull’accesso ai diritti delle persone trattenute in frontiera?

Di fatto si limita l’accesso delle persone ai diritti fondamentali. Fingendo che la persona non sia sul territorio, come si può garantire il diritto alle cure mediche o a tutta una serie di servizi? Bisognerà capire come verrà implementato, ma potenzialmente è molto pericoloso. Le persone possono essere tenute in un limbo potenzialmente per mesi e mesi: si fa la domanda di asilo in frontiera, viene rigettata, si è sottoposti alla procedura di rimpatrio alla frontiera, magari lo Stato non riesce a eseguire il rimpatrio e la persona diventa irregolare. Per tutto il periodo di vita in Italia si è in una posizione di limbo finché non diventa pienamente irregolare.

Le sperimentazioni dell’ultimo decennio nelle zone di frontiera, da Lampedusa alle isole greche, passando per la frontiera ungherese e le aree di transito frontiere aeroportuali, hanno avuto un ruolo nell’ideazione del Patto? In che modo la formalizzazione di questa sperimentazione cambierà nei fatti la situazione delle persone che arrivano in frontiera?

Sicuramente, come è già stato detto e scritto, tutto il Patto è una formalizzazione e un’istituzionalizzazione di modelli già sperimentati. La Commissione ha preso qua e là e ha messo tutto insieme. Credo che la sperimentazione italiana che è più confluita nel Patto sia il modello hotspot, non tanto per le dinamiche di detenzione e accoglienza quanto per l’utilizzo del “foglio notizie”, ovvero questo meccanismo applicato negli hotspot che serve per classificare direttamente in frontiera, in maniera rapida e superficiale, verso l’espulsione o verso l’accoglienza.

La Cassazione già si è espressa sulle modalità di utilizzo del foglio notizie e ha chiaramente detto che è necessaria una preventiva informativa sui diritti, sulle procedure e sulle garanzie, ma il modello è quello. Attraverso la compilazione molto rapida di un modulo, compilato generalmente dalle autorità di polizia, si decide se la persona ha diritto o meno a fare domanda di asilo.

Cosa ha preso la Commissione del criticatissimo modello greco?

La Grecia è stata un po’ il terreno di sperimentazione di questa procedura di frontiera che non finisce mai: una procedura che, dall’identificazione al riconoscimento o all’allontanamento, avviene in frontiera. La Commissione stessa ha finanziato in Grecia quei centri chiusi e controllati. Da questi centri le persone possono entrare e uscire con il riconoscimento delle impronte digitali. C’è questo meccanismo ambivalente che non ti obbliga a stare tutto il tempo lì, ma che prevede che se ci si allontana non si può più rientrare nella struttura. Il caso della Grecia è peculiare anche perché se lasci il centro non puoi più farvi ingresso, ma non puoi nemmeno spostarti sulla terra ferma: rimani sull’isola senza nessun supporto. Questo credo che sia il modello che ha in mente la Commissione.

 La finzione di non ingresso era già stata sperimentata?

Né in Italia, per fortuna, né in Grecia, perché comunque sono sistemi giuridici che hanno ancora una razionalità. La Commissione ha preso la “finzione di non ingresso” dagli aeroporti: finora i luoghi in cui questo concetto è stato applicato sono le zone aeroportuali. È un concetto quindi limitato ad aree specifiche degli aeroporti. “La finzione di non ingresso” è disciplinata ad esempio in Francia, Belgio e Germania. La Commissione prende quella finzione, che di per sé è molto problematica ma era limitata a zone interne all’aeroporto – fatta eccezione per la Francia che la applica anche a centri situati vicino all’aeroporto – e la estende a intere isole, intere province. Questo mi sembra un ragionamento assurdo, anche dal punto di vista giuridico.

Ci puoi spiegare meglio questo Regolamento screening? Cosa prevede?

Lo screening è previsto nella fase iniziale, molto aderente al modello hotspot italiano. Le persone, nel momento in cui fanno ingresso alle frontiere esterne o vengono portate alla frontiera dopo il soccorso in mare, sono sottoposte a vari accertamenti. La Commissione ha messo insieme cose che già esistevano: accertamenti di identità e fotosegnalamento, che sono proprio la ragion d’essere del sistema hotspot, a cui si aggiungono gli accertamenti legati alla sicurezza. C’è una parte abbastanza preoccupante anche in relazione a come verranno trattati i dati personali e come saranno effettuati lo screening sanitario e delle vulnerabilità.

Quali sono le preoccupazioni legate all’uso dei dati personali?

Di fatto all’ingresso si prendono le impronte digitali e si fanno accertamenti in tutte le banche dati a disposizione delle autorità, sia quelle legate all’asilo, quindi Eurodac, sia le banche dati legate alla commissione di reati, questo Ecris, che ancora non è perfettamente funzionante. L’obiettivo dell’UE è quello di utilizzare queste banche dati che riguardano la pericolosità, le espulsioni, i precedenti penali e così via. Tutte queste informazioni verranno utilizzate per un controllo generale con l’idea di prevenire “rischi alla sicurezza”, un concetto molto fumoso e non ben chiarito.

Inoltre, il tema su cui il regolamento è più scarno è proprio quello delle vulnerabilità. Non dice come avviene questo screening e non impone che siano delle autorità terze, oltre a quelle di polizia, a svolgere gli accertamenti. Tutti saranno sottoposti a questa procedura, compresi i minori. Lo screening dura sette giorni non prorogabili.

Al termine degli accertamenti cosa avviene?

Dopo lo screening la persona può essere indirizzata verso quattro diversi canali tra loro alternativi: la procedura di asilo ordinaria per chi è considerato vulnerabile; la procedura di asilo in frontiera o accelerata (in frontiera o sul territorio) in base alla situazione del singolo; l’emissione di un provvedimento di rifiuto di ingresso, cioè respingimento immediato; l’emissione di un provvedimento di espulsione.

In questa fase di screening è previsto un meccanismo di “monitoraggio indipendente”. Cosa ne pensi?

Questo meccanismo era stato presentato come una specie di concessione da parte della Commissione per garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Si prevede che debba essere effettuato da autorità nazionali esistenti, come le autorità che si occupano della tutela dei diritti umani, o che possa essere affidato ad autorità come il garante per i diritti delle persone detenute. Possono anche partecipare a questo monitoraggio anche le organizzazioni internazionali, ma poi spetta allo Stato scegliere chi se ne occupa. Questi soggetti potranno entrare senza necessità di autorizzazione nei centri di detenzione e in quelli di accoglienza. Da parte delle organizzazioni della società civile c’è un certo scetticismo rispetto all’efficacia di un meccanismo di questo tipo, anche perché per esempio c’è un meccanismo di monitoraggio previsto nel diritto dell’Unione rispetto alla realizzazione del sistema Schengen e non si è dimostrato particolarmente efficace.

Immagine di copertina di Michele Lapini, corteo migrante a Bologna, giugno 2019.

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