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Rap e writing contro il decoro: dialogo tra Kento, M1 & Bonnot (AP2P)

La redazione di DINAMOPress ha intervistato Kento e AP2P (All Power To the People) , formazione composta da M-1 (Dead Prez) e Bonnot (Assalti Frontali) in vista del live a Roma a Esc Atelier.

“Studia il Bronx e Harlem e le Black Panthers ma soprattutto il ruolo dei governi e delle banche se è vero che l’hip hop è un fenomeno globale allora coi tuoi versi puoi far male al capitale”. (Kento & The Voddo Brothers)

New York 1972. Il comune mette in campo la prima strategia “antigraffiti” che si ricordi (“the first war on graffiti”) con una costosa campagna di pulitura massiccia di tutti i vagoni delle metropolitane tramite emanazione di decreti ad hoc. Ma la legge antigraffiti ebbe un effetto completamente opposto. Vagoni ripuliti potevano essere disegnati con maggiore tranquillità. Le carrozze “pulite” danno una nuova spinta all’evoluzione dello stile dei writers e si può sperimentare ancora. “La città si trasforma in una tela itinerante su cui ribollivano tutte le tensioni sociali, le frustrazioni, i desideri di visibilità di una generazione di giovani”.

La città, da New York a Roma, una tela da dipingere, da reinventare, da risignificare. La performance del writing serve a “provocare” lo spazio pubblico e il “decoro urbano” in reazione alla continua cementificazione, mettendo in discussione totalmente il concetto di proprietà privata. Non più la società che integra un “margine” (la periferia), ma il “margine” che avvolge la società influenzandola.

Iniziamo l’intervista parlando della nascita del progetto AP2P (acronimo di: All power to the people)

M-1

Ho preso conoscenza del rap italiano la mia prima volta a Roma quando abbiamo suonato come Dead Prez e l’altra formazione era Assalti Frontali, tutto ciò molti molti anni fa. Sono stato proprio introdotto dagli Assalti Frontali quella volta. Ma, intorno al 2010, Bonnot ha dato anima alla nostra rappresentanza, e un assist per far parte dell’album chiamato “Intergalctic Arena”. Quando ho ricevuto la chiamata mi sono chiesto: “chi è questo Bonnot che vuole fare una canzone con noi e sa veramente cosa vuole?”. Tante volte le persone ci chiedono di fare canzoni con Dead Prez, ma non abbiamo una linea politica molto dura, noi siamo una crew hardcore politica. Bonnot mi ha chiesto specificatamente che noi facessimo una canzone sul tema dell’organizzazione. La canzone prodotta si chiama “Let’s get organized“.

Dopo questa canzone per me è stato chiaro che lui fosse un compagno italiano in lotta sugli stessi temi e che avessimo una connessione internazionale attorno all’anti imperialismo e tanto altro. Ho scoperto che era in contatto con altri compagni come me perché sullo stesso album c’erano il mio amico Boikutt di Ramallah Underground (che non esistono più) e altri compagni che come lui sono palestinesi. E quindi, sono andato in Palestina, sono stato a Gaza in quel periodo, e ho scoperto che avevamo tante cose di cui parlare. Così è nato tutto: dal fare la musica insieme, all’essere amici e tanto altro.

BONNOT

Dopo aver realizzato il mio primo disco solista nel 2010, M-1 è venuto a fare dei concerti di presentazione in Italia. Siamo stati in tour per presentare questo album con tanti ospiti sul palco: General Levy, Assalti Frontali, Inoki Ness, Boikutt, Esa, Junior Sprea e c’era anche M-1. Durante il suo soggiorno qui in Italia nel mio studio è nata una canzone, che gli era stata suggerita da Steven Marley, sullo Zimbawe (ricorreva l’anniversario dell’indipendenza). Mi ha chiesto fare la produzione e così è nato il primo pezzo del nostro progetto che si chiama “Real Revolutionaries” in cui sono ospiti General Levy e Paolo Fresu. Da lì, dopo quella canzone, abbiamo detto “facciamo un EP” che poi è diventato un disco. Nel giro di pochi mesi, in realtà, da aprile a ottobre, siamo arrivati a fare un album completo.

Ascolta M-1 and Bonnot: “Number one with a bullet” featuring Prodigy and Divine RBG

Relazione tra arte hip hop e lotta politica

M-1

Ok, vorrei dire che l’hip hop nel quale sono nato e che ho sviluppato dagli anni ’80 in poi, prende le mosse dagli anni ’70. Tu sai che io sono nato nello stesso periodo in cui è nato l’hip hop (nel 1972) che da quel momento in poi è cresciuto ha sviluppato una voce, e quella voce era decisamente della classe lavoratrice, della lotta dei poveri.

Quando si ascoltava la prima musica hip hop era potente, parlava di un messaggio. Grand Master Flash and the Furious Five ci hanno parlato di questo e, sì, l’hip hop rappresentava anche una forma di intrattenimento, ma più di ogni altra cosa, ha raccontato la verità su come il mondo era realmente, nella nostra vita. I poveri, gente nera o brown – se ci volete chiamare così – negli Stati Uniti, nelle città urbane. Si parlava di una verità che era difficile da ascoltare, che la maggior parte delle persone, non volevano sentire, perché non era una buona verità. Sai, non era bello sentir parlare di crack, di come il crack è entrato nelle comunità ed ha praticamente distrutto i padri e creato tossicodipendenze ed ha messo in carcere un sacco di gente con la guerra alle droghe.

E così, il mio rapporto con l’hip hop è iniziato lì, ed è difficile vedere come ora, in questi tempi, è così lontano da quello che io penso sia. Perché l’hip hop di oggi è vittima del social branding, della propaganda capitalistica. Quindi, quando si parla della nostra capacità di rendere l’hip hop cosa utile oggi, dei messaggi nella musica … in realtà molto raramente si sente un artista fare un discorso su quello che sta realmente accadendo. È tutto più incentrato sulla fantasia: come è la macchina che vogliamo avere o che tipo di club, donne o droga vogliamo usare per scappare dalla realtà, quindi è difficile quando la nostra condizione è ancora reale.

Ad esempio, la polizia sta ancora brutalizzando la nostra comunità allo stesso modo in cui facevano negli anni ’70 e negli anni ’80, quindi chi risponde a questo? Chi è l’artista che sa parlare a qualcuno che è stato abbattuto dalla polizia? Chi è l’artista che sa parlare di persone senza diritti o delle persone che non hanno un lavoro? Chi è colui che parla alla gente? Chi è colui che parla di tutte le tragedie terribili che stanno accadendo nella nostra comunità? Beh, dobbiamo tenere conto di quelle persone che lo fanno. Queste persone sono emerse più di prima.

Mi ricordo quando i Dead Prez stavano nascendo, sai siamo arrivati in un momento in cui Tupac era ancora in vita, ma Tupac non stava parlando di rivoluzione. La gente ha conosciuto Tupac in molti modi diversi, ma non ha mai parlato di rivoluzione tutto il tempo. Sapete io sono cresciuto mentre c’era Biggie Smalls (a.ka. The Notorious B.I.G. ndr), quando si accennava al problema, ma nessuno ne parlava direttamente. Alcune delle persone nel mondo della musica hip hop, alcuni dei miei amici dicevano che era un grosso errore parlarne direttamente, come faceva Public Enemy, come un tempo ha fatto Ice Cube, che era molto diretto, come Paris la black panther da Oakland in California, Queen Latifah a un certo punto e Rock Kim, KRS One. Ma non era “cool” nel momento in cui abbiamo iniziato a fare rap noi.

Oggi ci sono moltissime persone pronte a raccontare la verità di fronte al potere e sono felice che questa gente, questi semi sono emersi. Quando la polizia uccide la nostra comunità… Guarda: il modo in cui ci stanno assassinando è ad un tasso allarmante, alcune persone non ricordano i nomi, per questo li dirò ad alta voce: c’è un uomo di nome Sean Bell, e Sean Bell è stato ucciso nel Queens ad una festa ed è stato sparato 41 volte dalla polizia, 41 volte, questo significa che ogni poliziotto ha dovuto sparare tutti i proiettili nella propria pistola, ricaricare la pistola e sparare più. Ad una persona che non aveva affatto una pistola. Quindi questa è la guerra che la nostra comunità sta vivendo: Ammedu Jahlo, un immigrato africano alla Guinea, è stato ucciso con 50 colpi, credo che gli hanno sparato 50 volte, l’unica cosa che aveva in mano era il suo portafoglio, che stava per mostrare ala polizia, non aveva un’arma….voleva solo mostrare il portafogli e gli hanno sparato 50 volte, ok? Questo non è normale. E da allora questo è continuato all’interno della nostra comunità, posso dire i nomi: Oscar Granyt, Rodney King, e si sa, più recentemente, la gente come Eric Garner e Mike Brown.

E sai Mike Brown ci porta a Ferguson, Missouri, ma non è stato niente di nuovo: avevamo già visto 20 Mike Browns prima che ciò accadesse. Ma è stato incredibile, perché il mondo ora ha i social media – ah … e non mi voglio dimenticare di Trayvon Martin. Per me è importante dire questi nomi nelle interviste per fare in modo che vivano per sempre. Non sono miei parenti, so solo che è il mio dovere dire i nomi in modo che il sistema non li dimentichi. Il sistema vuole farci dimenticare facilmente. Domani abbiamo una nuova canzone, una nuova danza, una nuova cosa da bere e forse ci scorderemo tutto, ma non voglio, ed è per questo che sto dicendo i nomi qui. Quindi, per parlare di Ferguson e Mike Brown, gli artisti a sostegno sono venuti fuori e sono stati in grado di parlarne ed articolarlo nel miglior modo possibile, artisti che non sapevamo nemmeno avessero una voce. Il giorno prima di Ferguson, prima che Mike Brown fu assassinato c’era un artista chiamato Tef Poe. Tef Poe era un rapper locale di Ferguson e faceva rap su tutto, sulle Air Jordan, sulle feste ed anche su alcune cose reali, sui problemi della nostra comunità, ma non era concentrato su questo.

Dopo che Mike Brown è stato assassinato, Tef Poe era la persona da ascoltare… se si voleva capire che aspetto aveva Ferguson, si doveva ascoltare lui. E dal giorno alla notte si è politicizzato, ha capito cosa significa essere un compagno, ancor più che essere un rapper ed oggi, il Tef Poe di oggi, a 18 mesi da Ferguson, è una persona completamente diversa, si è trasformato da un rapper a un rivoluzionario, e questo è ciò che sta accadendo nelle nostre comunità, questo è ciò che sta accadendo in questi tempi. Tef Poe è quello che sta chiamando in particolare i funzionari, i funzionari della città che hanno consentito alla polizia di andar libera. Sta additando i responsabili nella musica, nello stesso modo in cui io e Bonnot stiamo facendo AP2P, lo sta facendo adesso a Ferguson Missouri.

Così Tef Poe nasce allo stesso modo di Black Lives Matter che è stata un’ idea generale sul perché mentre veniamo assassinati continuamente le vite dei neri contano davvero. Ed è una vergogna che un essere umano debba alzarsi e dire: “Io sono un essere umano”, ma questo è quello che doveva accadere […], siamo dovuti arrivare ad affermare che anche le nostre vite contano, perché veniamo assassinati così per strada? E così è nato tutto ciò, ma l’organizzazione di Black Lives Matter è la cosa che racconterà la storia in futuro più di ogni altra, perché è ciò che è nato dopo Ferguson, e da Ferguson basta che faccio scorrere Instagram e vedo un altro fratello assassinato a Chicago. Io non so nemmeno il suo nome. Proprio ora, giusto ora, ogni giorno sento di un nuovo omicidio. Ad Oakland in California c’è stata una sommossa, giusto una settimana fa, una rivolta che è durata tutta la notte, perché hanno ucciso qualcuno per strada, è bruciato tutto per tutta la notte. Quindi ecco cosa succede dopo questo, è dove Black Lives Matter va in futuro la cosa che conta di più.

Rap e integrazione, contro vecchie e nuove destre, passando per Ferguson. Non una sola comunità rap, ma integrazione di ogni appartenenza culturale. Un insieme di soggettività resistenti che sfidano la cultura dominante capitalistica. Rap come strumento di aggregazione e reazione.

KENTO

Ma sai che cos’è? Se dobbiamo essere, secondo me, realisti, il rap, per certi versi, è il genere o uno dei generi che ha risentito di più della corruzione del capitalismo. Forse già dalla sua fondazione perché si è capito subito che era un genere che avrebbe portato soldi, un genere che sarebbe diventato molto popolare tra i giovani, e quindi il rap serve anche a vendere delle scarpe, a tutto. Chiaramente in una società capitalistica come la nostra, purtroppo, buona parte del rap è uno specchio di questa società. Non ci dobbiamo nemmeno illudere da questo punto di vista. Fortunatamente non è sempre e solo questo. C’è anche molto rap “buono” e molto rap che spinge il contenuto. E, ovviamente, il messaggio può essere diffuso ovunque. Cioè, negli Stati Uniti ci sono anche degli artisti molto popolari che si sono schierati per “Black Lives Matter” , che hanno preso parola per quanto riguarda Ferguson.

Secondo me, chi dice che in Italia non abbiamo una Ferguson dice una cazzata perché le nostre Ferguson sono i barconi che arrivano o che non arrivano ogni giorno. In quelle morti in mezzo al Mediterraneo, secondo me, non è possibile non vederci del razzismo. Non è possibile pensare che le autorità che hanno posto queste leggi sull’immigrazione, secondo me razziste, non si siano sporcate col sangue di quelle persone. Io sono di Reggio Calabria. Ogni settimana nel porto sbarcano centinaia se non migliaia di persone che scappano dalla guerra o che scappano dalla fame. Secondo me è anche ingiusto fare questa distinzione. Vanzetti diceva: “In fondo, anche la fame è violenza”. Ed è vero. Per cui, secondo me, non dico che bisogna parlare sempre e solo di questo, ma dico che non è possibile che il rap, come movimento, non prenda coscienza di questo fenomeno. E dico rap italiano come movimento perché questo è un tema che, secondo me, è molto sottovalutato. L’hip hop non è un insieme di singoli, ma è un movimento. È sempre l’immagine del pugno chiuso che è più forte delle cinque dita separate. E questa purtroppo è una consapevolezza che, dopo tanti anni ormai di hip hop italiano, ancora non abbiamo raggiunto. Secondo me dobbiamo assolutamente guardare in questa direzione e prendere questa consapevolezza.

Rapporto scena rap e lotta politica, e mutamento tra anni ’80, ’90 e post 11 settembre.

BONNOT

Ci sono aspetti positivi e negativi in questo momento dell’hip hop in Italia. Sicuramente l’eredità delle Posse ormai la conoscono tutti. È importante, fondamentale ed è quello che io porto avanti con Assalti Frontali. La scena contemporanea dell’hip hop sicuramente non è vicina alla filosofia conscious e militante. Ci sono dei rapper che seguono questa filosofia e si esprimono come militanti, ma si parla di poche persone rispetto al numero di artisti della scena. Tutti amiamo la “party music”, sia all’interno della cultura hip hop sia nelle altre scene (elettronica, bass music) da sempre vicine ai nostri ambienti e alla nostra cultura… Non bisogna essere pesanti, quello mai! Detto questo per chi si sente parte del movimento, come me, è vitale associare messaggi e obiettivi positivi e costruttivi per tutta la comunità, hip hop e non. Non potrebbe essere diversamente per me, dato che vengo proprio dalla musica underground: dalla musica dei compagni; dei movimenti, da quando per la prima volta a 14 anni entrai a far parte del centro sociale della mia città il C.s. Pacì Paciana nella piccola città di provincia che è Bergamo. Purtroppo molti artisti non sentono una responsabilità sui messaggi dei loro testi e delle loro azioni… sulle ripercussioni che la loro musica ha sui giovani.

Lavorando spesso negli Stati Uniti in questi ultimi 4 anni devo dire che c’è un livello di consciousness più alto anche da parte di chi fa esclusivamente “party music” anche da chi deve fare l’attore e interpretare il personaggio all’interno della scena mainstream. Sanno divertirsi, ma al dunque sanno riconoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato, sicuramente per via del passato personale e del contesto culturale più difficile in cui sono nati e cresciuti. Qui c’è un’ attitudine a stare col piede in due scarpe. Magari frequentare centri sociali, senza mai esprimere contenuti costruttivi per la comunità, senza una particolare presenza ed empatia che si crea quando si fanno le cose dal basso tutti assieme. Questo perché spesso, dal punto di vista prettamente artistico, è scomodo. Apparire meno come un VIP o come una super star non è conveniente per molti. Dal punto di vista, che non condivido, di alcuni artisti, quando c’è troppa confidenza con la gente, perdi fascino e rispetto. Questo è un po’ quello che accade anche nei nostri spazi. Ovviamente a noi non interessa questo atteggiamento, restiamo noi stessi e siamo sempre dentro le cose dall’inizio. Scegliere la strada conscious non è facile, per poter parlare bene, le cose le devi mettere in pratica.

Bisogna raccontare il vero, la realtà, ciò che si costruisce con e per la comunità. Se non lo fai, puoi fare testi, ma sono generici. Non racconti niente di concreto. Fare una musica fatta di soli slogan, rime con “vaffanculo Renzi”, lo sanno fare tutti, no? Mi interessa di più sapere cosa fai tu. Anche la gente si sentirebbe più coinvolta quando gli spieghi “cosa fai tu”, se hai delle soluzioni o che cosa stai facendo per migliorare il contesto: questa è la grande mancanza che ancora un po’ si sente nella scena hip hop attuale. Nonostante tutto sono ottimista e sono sicuro che presto arriverà in maniera più diffusa anche questo livello, potrebbe davvero svilupparsi ed esplodere a breve.

KENTO

Ok, per quanto mi riguarda, c’è stato un cambiamento epocale, un cambiamento molto grande in queste tre epoche. Il punto è che il cambiamento, per definizione, dovrebbe essere sempre positivo. Nel senso che a me piace pure una scena che, magari, non si appiattisce su determinate tematiche, come abbiamo rischiato in un determinato periodo – nella prima metà degli anni ’90. Io non pretendo che il rap sia tutto posse, tutto militanza, perché, alla fine, abbiamo visto che molte cose che succedevano in quel periodo erano degli stereotipi all’atto pratico. Si parlava di certe cose perché ne parlavano tutti e probabilmente non tutti erano sinceri. Sicuramente, da questo punto di vista, la seconda metà degli anni ’90 ha rappresentato un cambiamento per l’hip hop, ma anche un’evoluzione, nel senso che si è evoluto uno stile più variegato. E va bene! Va bene! Nel senso che io non mi aspetto che tutti i rapper siano militanti. Non mi aspetto che tutti i rapper siano compagni.

Quello che mi aspetto è che, comunque, ci sia un minimo di coscienza critica da parte di tutti, che ci sia un minimo comune denominatore da portare avanti e che, per quanto mi riguarda, in un genere musicale come l’hip hop deve essere indiscutibilmente l’antirazzismo: chi dice il contrario, secondo me, non ha posto nell’hip hop. Rileggendo la situazione dal punto di vista storico, dopo il 2001 abbiamo anche internet che diventa un fenomeno di massa – esisteva anche prima, ma diventa di massa nei primi anni 2000 – che chiaramente aiuta tantissimo la comunicazione e, quindi, aiuta tantissimo anche lo sviluppo dell’hip hop. Prima non c’era alternativa alle fanzine, a farsi centinaia di chilometri per una jam, a copiarsi le cassette cento volte. Adesso con la rete è molto più facile e più immediato confrontarsi. E io in questo non sono particolarmente un nostalgico: non sono di quelli che “si stava meglio quando si stava peggio”. Per me, sicuramente la tecnologia è un grande alleato dell’hip hop. Penso che vada utilizzata in modo consapevole e penso che guardare un video su Youtube non possa mai sostituire l’esperienza di andare a una jam. Anzi, penso che la rete debba essere utilizzata, appunto, per fare rete. Per creare un sistema di comunicazione underground che ci aiuti ad essere insieme, ad essere uniti. E nella mia richiesta dei contenuti (vai sul blog), francamente io mi accontenterei anche soltanto dei rapper underground. Ormai l’underground in Italia esiste. Non serve per forza passare dai grossissimi nomi per creare un movimento di opinione. In una parola, anzi in due, è creare contropotere quello che bisogna fare a ogni livello.

Rap e writing come strumenti aggregativi e di risposta al reale degrado contro l’ideologia del decoro. Utilizzo strumentale di alcune discipline da parte delle istituzioni tra favola del decoro e gentrificazione.

M-1

Per quanto riguarda i graffiti, è una questione completamente politica. Sai, mio fratello George Sen One Morillo … dimostra subito che i graffiti sono il primo elemento dell’hip hop, sai cosa voglio dire…il primo elemento che ne dimostra l’esistenza, prima di ogni altra caratteristica o arte, erano i graffiti… e penso che sia importante. È importante perché ti dice come si è affermato l’hip hop. Qualsiasi civiltà si afferma con ciò che scrive, cosa scrive sui muri, cosa scrive su carta, quello che lascia di sé e che le persone possano leggere…sai…e l’hip hop è iniziato con i graffiti. Quindi, una cosa che è folle è che l’hip hop…che i graffiti…non sono un divertimento… i graffiti sono una dichiarazione di quello in cui credi, con il cuore, è la tua vita, non è che uno scrive cose carine sui muri, ma ha la più incredibile intenzione, intende rimanere lì il più a lungo possibile, ed è per questo che gli artisti di strada (graffiti artists) staranno “su” (up) a New York, quelli che restano in maniera permanente, se dici di qualcuno che “resta su” significa che lui mette le sue opere in posti dove non saranno cancellate (taken down), non saranno tolte dal muro, ci resteranno per un po’…e questo non vuole solo essere arte, ma ha l’intenzione di essere un messaggio che sia per sempre.

Quindi la differenza tra i graffiti allora e i graffiti oggi è semplicemente questa: loro capivano che cos’erano le scritte sui muri. Dovevano rendere illegale il fatto di prendere una bomboletta e scrivere “crime in the city” sul muro. Perché se tu scrivevi questo, e sullo stesso muro loro scrivevano “va tutto bene” quale messaggio avrebbe vinto? Vincono i graffiti, sempre. Una delle forme di arte più dinamiche che ho documentato… oggi…ho scritto e prodotto una serie televisiva, e si basa su… ruota intorno a, che cosa sono i graffiti. La mia serie si chiama “the message” e si basa sul fatto che c’è un significato nei graffiti. E c’è un messaggio nella musica, e quello che vorrei fare è “elevare” il messaggio, messaggi come questo, di questo artista, Lou ha lasciato nella nostra comunità, e che è stato rubato. Hanno rubato i nostri claim, adesso ci rubano l’hip hop, anche quello più hard core, per vendere dentifrici, macchine e vestiti, l’hip hop più duro vende alcolici, cartoni animati addirittura… vende tutto…è il principale meccanismo per vendere. L’hip hop è stato sabotato e riutilizzato per i loro fini.

Cose così potenti possono essere sabotate e riutilizzate sui loro cartelli per vendere i loro palazzi, promuovere un’immagine “cool” della città, invece dell’esatto messaggio che l’arte aveva intenzione di raccontare. Penso sia questa la differenza principale tra l’hip hop di una volta e quello di oggi. Ci sono ancora veri artisti che creano e che ancora scrivono cose vere sui muri, che ancora fanno arte per incidere, per portare un cambiamento nella vita, riscrivendo in qualche modo la storia. Ma poi ci sono artisti che vedono (i graffiti) solo come una forma di arte, vogliono essere esposti in una galleria, che non è male di per sé, voglio dire, ma svendono l’arte, invece di restare fedeli a che cosa significava, allo scopo che aveva.

BONNOT

Sicuramente stanno continuando a dare un’interpretazione totalmente negativa dei graffiti. Parlo del governo, del sistema. Non mi sorprende questa cosa perché è ciò che è stato fatto con tantissimi altri aspetti della cultura underground o, comunque, quella che non era la cultura convenzionale. Quindi, così come è stato fatto con altre realtà, si cerca di dire che i graffiti sono una forma d’arte invasiva in senso negativo, che creano problemi, che disturba il decoro e invade la proprietà altrui. Cercano di creare un’antipatia da parte della gente che è fuori da questo mondo nei confronti di una cultura. Il nostro mondo è pieno di culture, tuttavia, molte che non attraverso e non conosco non sono a me antipatiche. E penso che nessuno si sia svegliato al mattino odiando i graffiti, però c’è stata questa propaganda con cui poi si è arrivati a identificare il buono solo nei graffiti legali. È stato un tentativo sia di delegittimare un’arte vera e propria, ma anche di creare un’alternativa a loro conveniente. Hanno pensato: “Perché dovremmo soltanto delegittimare quest’arte, quando potremmo anche fare profitto”. E quindi, portarla nelle gallerie d’arte, portarla nei musei, dove ci fa più comodo. Ci sono dei brand. Ci sono delle compagnie che con questa dinamica hanno fatto molti soldi. Come ben sapete, la moda ha sempre attinto dalle culture underground: i jeans stracciati che erano tipici del punk e poi del grunge, sono arrivati, comunque, a essere poi moda.

Questo è ciò che provano a fare anche continuamente con il writing. Però da un lato non mi spaventa. Ci siamo già passati e questa cultura sopravviverà e andrà oltre questo momento e qualche writer intelligente riuscirà anche a sfruttare questa cosa. Nel senso che riuscirà a strappare qualcosa per poter viverci. L’importante è che ci sia la consapevolezza che esistono livelli diversi, che il momento in cui si fa un graffito come espressione d’arte, come messaggio politico, come contenuto sensibile, è quello libero: è quello sul muro dove non devi chiedere il permesso a qualcuno per farlo, ma lo fai perché hai l’urgenza di arrivare alle persone. Ho molti amici che hanno fatto anche writing legale per Comuni che hanno chiesto di fare cose come facciate di palazzi, magari di case popolari in Basilicata, o amici di Bergamo e di Milano di importanza nazionale che hanno fatto anche questi lavori perché, alla fine, ne avevano bisogno. È anche un’arte povera rispetto ad altre e che ha molta più difficoltà ad autosostenersi. Non è come con la musica. Non è così facile per un writer sopravvivere come per una persona che fa concerti.

Cerco anche di avere molta comprensione per capire chi qualche volta ha dovuto un po’ flirtare con queste dinamiche. Però è una delle tante cose che il capitalismo cerca di assimilare, delegittimando e, allo stesso tempo, rubando quello che può di buono dalle culture underground, ma si andrà oltre. Sono sicuro! Bisogna, ovviamente, parlare con le persone che abbiamo intorno a noi. Così come facciamo per questioni come la scuola, che è oggetto di attacchi continui, di un processo di distruzione, e molti genitori non sono attenti a queste dinamiche. Perché non hanno tempo, perché lavorano otto ore al giorno, non vanno ai consigli di classe, non sanno niente delle leggi che stanno arrivando. E l’unico modo è contaminarsi, parlare, diffondere la cultura. Più di prima, perché adesso veramente bisogna andare vicino a una persona che non capisce e spiegargli che un graffito è un’opera d’arte. È brutto dirlo, ma bisogna tornare a spiegarlo. Però fa “ridere” anche per noi dover spiegare ulteriormente che chi vuole togliere il tempo pieno nelle scuole sta commettendo un furto diretto all’apprendimento dei bambini.

KENTO

Ci tengo a ricordare che la battaglia del decoro storicamente era una battaglia fascista. La battaglia di Forza Nuova e la battaglia di Casapound, che addirittura facevano le spedizioni punitive contro i writers. Dopodiché si sono accorti del fatto che, comunque, queste culture e questi metodi di espressione erano molto popolari coi giovani. Si sono messi a scimmiottare pure loro, provando a organizzare delle pseudo-convention di rap e di graffiti. Quindi, anche da questo punto di vista, dobbiamo cominciare a ricordare chi sono i primi portabandiera di questo pseudo-decoro. Dall’altro lato ti dico che, secondo me, ancora una volta dobbiamo portare avanti, per quanto riguarda questo termine così ampio che è la cultura di strada, dobbiamo essere noi i primi a fortificarla, a renderla più autorevole. Per cui, dal momento in cui, dall’alto, dalle autorità, dalle istituzioni, ci troviamo un qualsiasi progetto posticcio che ci piomba dall’alto, noi siamo in grado di dire: “No! Aspetta! Lo facciamo noi. Oppure, lo decidiamo con le modalità che piacciono a noi”. Cioè, la street art è bella quando arriva dalla gente: quando non è un alieno che arriva con la sua astronave dall’alto, con la faccia del Comune o di qualsiasi autorità. Però, in questo momento, dobbiamo anche essere onesti con noi stessi e dire che non sempre, non dovunque, abbiamo questo tipo di forza. E questo è quanto.

*Intervista a cura di Miriam Freschi, Vittorio Giannitelli, Ambra Lancia. Traduzione di Sarah Gainsorth, Vittorio Giannitelli, Elisa Gigliarelli.