DIRITTI

Quali vite valgono per i pro-life?

Un enorme manifesto a Roma fatto affiggere dalla Onlus ProVita, ennesima provocazione degli antiabortisti. Dopo le proteste social è stato rimosso.

Un cartellone di 7×11 metri, raffigurante un feto accompagnato da uno slogan che criminalizza le scelte di maternità consapevole, è comparso sul fianco di un palazzo di Via Gregorio VII, alle spalle di San Pietro.

Questa è solo l’ultima delle provocazioni che gli antiabortisti lanciano a Roma. Pochi giorni prima dello scorso 25 novembre, mentre la città si preparava ad ospitare l’oceanica manifestazione contro la violenza maschile sulle donne di Non Una Di Meno, manifesti sui muri annunciavano “sei milioni uccisi dall’aborto”.

Siamo qui perché una donna ci ha partorito, senza dubbio, e speriamo non costretta dalle circostanze.

In Italia, la battaglia per la legalizzazione dell’aborto, ottenuta dalle lotte femministe con la legge 194/1978, ha affermato una cultura differente della sessualità e della maternità. Ma ancora oggi non tutte le donne possono scegliere di abortire con dignità. L’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici, la limitata e quasi nulla somministrazione della RU486, lo smantellamento dei consultori pubblici, rendono umiliante, faticosa, a volte addirittura impossibile, l’interruzione volontaria di gravidanza nei termini di legge e con le tutele dell’assistenza sanitaria pubblica.

La situazione diventa ancora più difficile, penosa e rischiosa nei casi di aborto terapeutico, circostanza in cui la valenza punitiva dell’obiezioni di coscienza raggiunge il suo apice. Il caso di Valentina Milluzzo, morta a 32 anni tra dolori atroci perchè un medico obiettore ha rifiutato di interrompere la gravidanza, è emblematico. È anche per lei che ci aspettiamo che il Comune di Roma assicuri la rimozione immediata di manifesti lesivi della dignità e dei diritti di tutte le donne.
La crociata fondamentalista dei movimenti per la vita va avanti da quando in Italia si è legalizzato l’aborto ed è animata dall’odio per le donne. L’obiettivo non è la difesa della “vita”, un principio sacro quanto astratto, ma criminalizzare le donne per sottrarre loro potere e controllo sulla riproduzione e trasformarle quindi in strumento procreativo.

Fare un figlio per obbligo è violenza, la maternità imposta è un retaggio proprietario sul corpo femminile che vorremmo superato nella storia e nella cultura.

La strada da fare è ancora lunga, non solo in Italia. Sono tanti i paesi nel mondo in cui l’aborto rimane illegale e produce morte e violenza e quelli dove le leggi ottenute con le lotte delle donne sono minacciate. Da ora fino a maggio in Irlanda, Argentina, Polonia si giocano partite importanti per l’autodeterminazione delle nostre vite. Su questo terreno Non Una Di Meno continua la battaglia rilanciata dello sciopero femminista in un momento di forte connessione transnazionale tra movimenti delle donne.

Riprendendo il motto delle femministe argentine, “Vogliamo educazione sessuale per decidere, la contraccezione per non abortire, l’aborto per non morire”, anche in Italia Non Una Di Meno riapre la battaglia contro l’obiezione di coscienza e la piena introduzione della RU486, per il diritto alla maternità consapevole e tutelata, per il welfare e il diritto alla salute universali, per una sessualità libera, felice e senza obblighi.

Le nostre vite valgono. Per questo il 22 maggio, quarantesimo anniversario della legge 194, sarà un nuovo giorno di lotta.

Siamo e saremo sempre libere di scegliere!

*Tratto da Non una di meno