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La potenza immaginaria della Valle della Caffarella

Per il terzo appuntamento di ROMA NASCOSTA si parla di Ninfe, fonti, Re, Imperatori e lotte pubbliche, un percorso nell’immaginario dal basso della splendida valle della Caffarella, sito archeologico e parco naturale che negli anni Settanta è stato sottratto alla speculazione privata e riportato all’uso comune

Dopo quasi vent’anni dal primo Piano paesistico sull’area archeologica dell’Appia, nel 1954 la fascia di tutela viene estesa fino alla Valle dalla Caffarella, grazie soprattutto alle sollecitazioni degli abitanti del quartiere. Questi erano profondamente irritati della gestione privatistica di luoghi di importantissimo interesse culturale, di “luoghi di tutti” come si legge in un’esemplificativa lettera inviata da un “cittadino” (così è firmato il documento) al soprintendente della zona. È chiaro come questi vincoli siano risultati poco graditi all’allora proprietario della Valle, il figlio della marchesa Teresa Torlonia, il senatore DC Alessandro Gerini, una specie di Paperon de’ Paperoni ossessionato dall’accumulo di denaro che non poteva certo permettere che le sue proprietà restassero lì a offrire solo pubblico diletto e non profitto per le sue tasche.

Con l’aiuto di un architetto famoso quanto spregiudicato, il dott. Moretti, il marchese Gerini, soprannominato il “costruttore di Dio” per il suo stretto legame con gesuiti e salesiani, si veste dei panni del mecenate e sponsorizza il progetto di un nuovo parco. Così, dona spontaneamente al demanio dello Stato circa la metà della sua proprietà (60 ettari), in cambio di un progetto di fabbricabilità sui restanti terreni. Peccato, però, che le zone offerte alla pubblica utilità fossero tutte le aree non edificabili. Risultava, quindi, che al pubblico sarebbero andati gli avvallamenti, le scarpate e le marrane, mentre ai palazzinari le zone panoramiche, amene e verdi. A questa truffa ben orchestrata e soprattutto sostenuta dal Ministro della Pubblica Istruzione del tempo, che gestiva i beni culturali, si oppone un’intera collettività. Attraverso mozioni pubbliche, petizioni promosse dagli intellettuali del tempo e costituzioni di comitati di quartiere, gli abitanti si schierano non tanto in difesa dall’area, ma reclamano l’utilizzo collettivo della zona, volendosi riappropriare dell’uso pubblico della storia che gli era stato sottratto.

Ciò interessa ai cittadini in quegli anni di rivendicazioni comuni non era solo tutelare i resti, le permanenze archeologiche, ma difendere la possibilità di godere di quel paesaggio, la possibilità di attraversare, vivere e gestire in comune quelle zone. Proprio lì dove mito antico e consuetudini collettive erano sempre state interconnesse, fin dall’antichità. Ed è proprio in questa virtuosa connessione tra mito, storia e senso comune del luogo che risiede la potenza della Valle della Caffarella. Questi luoghi, infatti, non sono una semplice area archeologica, anzi sono davvero poche le evidenze storico-monumentali, né un semplice parco naturale. Piuttosto si tratta di zone in cui la percezione degli abitanti e la costruzione di un “immaginario dal basso” determinano un’identità. Ciò che costituisce l’immenso e preziosissimo valore della Valle è il suo non essere esclusivamente un luogo storico, ma piuttosto un luogo dell’immaginario, del sentire comune.

Nel 1959, la Valle del fiume Almone, denominazione geografica della proprietà dei Caffarelli, ospitava ancora numerose vestigia romane, fontane, triclini estivi e ninfei, tra cui la famosissima Fontana Bella, apprezzata da architetti e umanisti del calibro di Antonio da Sangallo il Giovane e di Sallustio e Baldassarre Peruzzi. In quegli anni, la famiglia Caffarelli, per esigenze politiche, vale a dire per accattivarsi le simpatie dell’imperatore Carlo V che si apprestava a entrare trionfalmente a Roma, restaura la cosiddetta Fontana Bella, collocando in questo luogo le vicende dei mitici incontri amorosi della ninfa e Numa Pompilio, dove Egeria dettava le norme civiche e le leggi al secondo re di Roma. Carlo V si fermerà nella grotta restaurata per pranzare prima di entrare trionfalmente a Roma dall’Appia antica e da questo momento in poi quel ninfeo diventerà per tutti la prova delle unioni amorose e virtuose di Numa ed Egeria.

È abbastanza evidente, infatti, che l’operazione di rinnovo storico operata dai Caffarelli non avrebbe avuto alcuna continuità se non fosse stata sostenuta, rafforzata e definita nel corso dei secoli dai romani che, con la loro percezione comune della zona e con le attività consuetudinarie che si svolgevano e si continuano svolgere nella Valle, hanno contribuito fortemente a costruire un nuovo senso del luogo. Ciò che fa della Caffarella uno dei luoghi più affascinanti di Roma, non sono infatti le zone boschive o i resti archeologici, ma è il processo di interazione che gli abitanti hanno intrapreso con questi elementi. Non è un caso, infatti, che le attività più consuete che si svolgono nella Valle siano fortemente legate al mito. O meglio, sembrerebbe proprio che queste attività rafforzino la narrazione mitologica e la sua memoria: alla Caffarella si va a prendere l’acqua, si passeggia e ci si imbosca anche, proprio come facevano Numa ed Egeria nel tempo senza fine del mito.

 

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