ROMA

La narrazione tossica di Striscia la Notizia al Quarticciolo

Si continuano a raccontare i quartieri di Roma rimarcando lo stigma che li accompagna sin dalla loro nascita. Non si vuole cogliere la ricchezza rappresentata da chi in quei territori vive e negli anni è stato capace di supplire all’assenza di qualsiasi intervento delle amministrazioni che si sono succedute

Tor Bella Monaca, San Basilio, Corviale, Quarticciolo, e altri ancora, sono quartieri romani colpiti da stigma e nulla riesce a capovolgere la narrazione tossica che gli è stata appiccicata addosso. Articoli di giornale, programmi televisivi, libri, film non fanno altro che ribadire che sono luoghi maledetti, da evitare perché preda del “degrado” e della malavita che gestisce lo spaccio nella Capitale.

Declino, fallimento, povertà, mafia sono le parole che hanno costruito l’immaginario che ci restituisce la percezione di questi quartieri. Proviamo a raccontarli senza cadere nello stereotipo del mainstream.

 

Sono nati in epoche diverse, non sono uguali l’uno all’altro, ma tutti ospitano realizzazioni di edilizia pubblica.

 

Tor Bellamonaca sorge negli anni ’80 come attuazione del Piano di Zona previsto dal Piano Regolatore del 1962, su parte dei terreni di Romolo Vaselli, secondo un modello di città con ampi spazi aperti verdi e servizi. In quel luogo negli anni ’30 era nata una delle tante borgate abusive, poi sanata con l’inserimento in zona O.

Si tratta di uno dei più importanti piani di edilizia pubblica a scala europea, realizzato secondo l modello dei quartieri monofunzionali, costruiti in gran parte tramite il ricorso all’edilizia prefabbricata. Il quartiere, con 30mila abitanti, ha il reddito pro capite più basso della Capitale e una dispersione scolastica quasi doppia rispetto alla media cittadina.

A San Basilio esisteva un insediamento già negli anni ’30, ma il suo sviluppo si deve agli aiuti del piano Marshall dopo la seconda guerra mondiale. Accanto agli edifici intensivi poco dopo si sviluppò una lottizzazione abusiva promossa dalla proprietaria dei terreni Elena Tidei.

 

Negli anni ’70 oltre 100 appartamenti fra quelli realizzati dall’IACP furono occupati e lo sgombero fu impedito da una rivolta che vide impegnato tutto il quartiere e costò la vita al giovane Fabrizio Ceruso.

 

Nella campagna romana della zona ovest della città è stato realizzato dall’ATER nei primi anni ’80 il complesso di Corviale, formato da due corpi paralleli lunghi quasi un chilometro, alti rispettivamente nove e cinque piani, ai quali si affianca un terzo ruotato di 45° di tre o cinque piani, per un totale di 1200 unità abitative.

Prima ancora che fossero stati realizzati i servizi previsti, furono assegnati i primi alloggi e altri 700 furono occupati, come l’intero quarto piano che avrebbe dovuto ospitare la spina commerciale. Il progetto non fu mai completato e quello che doveva diventare un esperimento di integrazione fra l’abitare e la ricchezza e complessità di funzioni urbane restò sulla carta. Il teatro all’aperto, la biblioteca, le scuole, il mercato, la sala riunioni non videro la luce.

 

 

Foto dall’archivio DINAMOpress

Sono appena quattro le miglia da percorrere sulla via Prenestina per raggiungere la borgata del Quarticciolo, oggi una zona semicentrale se rapportata alla distesa dell’urbanizzazione romana. Nasce alla fine degli anni ’30 come borgata ufficiale realizzata dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari su progetto dell’architetto Roberto Nicolini. «una delle migliori realizzazioni progettate nel campo dei nuclei urbani di tipo popolarissimo» scrive Luciano Villani ne Le borgate del fascismo.

L’impianto del quartiere è costruito su un reticolo ortogonale e al centro svetta l’edificio a torre eretto sulla piazza centrale, la Casa del Fascio utilizzata fino agli anni’80 come questura e poi abbandonata e occupata nel 1998 per dare casa a trenta famiglie. I blocchi residenziali a pettine si affacciano su spazi pubblici, una varietà di soluzioni tipologiche disegna l’immagine del quartiere.

Sulla facciata dell’edificio occupato lo street artist Blu ha da poco finito di dipingere, dopo un anno di lavoro, un gigantesco murale con un David che si scatta un selfie e una Venere di Milo circondata da figure mostruose e carri armati. Il quartiere ha una lunga storia di resistenza, legata agli anni dell’occupazione tedesca. Era diventato una piccola fortezza dove operava la banda partigiana del Gobbo, all’interno della quale i soldati tedeschi non riuscivano a entrare.

Tutte queste esperienze oggi raccontano una città abbandonata dalle istituzioni, interventi mai completati con i servizi previsti, edifici lasciati all’incuria senza alcuna manutenzione, ascensori fuori uso per mesi, le infiltrazioni di acqua che allagano le case. Raccontano però anche altro.

 

Ci descrivono l’attivazione degli abitanti per costruire un altro abitare, fondato sull’auto organizzazione, sulla solidarietà e la conoscenza del territorio.

 

Tor Bella Monaca negli anni è stato attraversato da organizzazioni sociali di abitanti e da centri sociali e culturali che hanno sopperito alle insufficienti strutture pubbliche esistenti, intercettando sempre nuovi bisogni. La ricchezza di questo tessuto sociale, che mai viene raccontata, non è stata sufficiente a cacciare indietro lo stigma della forma-ghetto: torri e stecche, e la loro grandezza, sembrano essere più interessanti della ricchezza sociale che questa parte di città produce.

 

Foto dall’archivio DINAMOpress

 

Presto sarà realizzato il nuovo Museo delle Periferie immaginato da Giorgio De Finis con una biblioteca specializzata, una videoteca, una collezione permanente, laboratori artistici.

Un’eccellenza che funzionerà come polo attrattivo per l’intera città, capace di superare la frattura attuale fra quartieri e realtà sociali. Intanto è stato programmato il Festival delle periferie, che si terrà proprio a Tor Bella Monaca dal 21 al 23 maggio.

 

Foto da archivio

 

A San Basilio si è costituita la Rete di Solidarietà Popolare Tiburtina, che insieme alle altre associazioni attive nel territorio, da anni segnalano l’abbandono e chiedono che almeno si faccia una normale manutenzione delle case, per evitare di vivere sotto l’acqua che piove dai soffitti.

La Rete è attiva nella rete antisfratto. Invece si continua a pensare ai problemi di quel quartiere come una questione di ordine pubblico e non di pessima amministrazione.

Lo stesso accade a Corviale dove se oggi valutiamo la vivibilità del quartiere secondo i parametri europei (la qualità dell’aria, i parcheggi, il verde, i servizi) dobbiamo riconoscere che il quartiere risponde in maniera egregia. È ben collegato, ha una dotazione di verde sopra la media, ha spazi per i bambini e per lo sport maggiori di altri quartieri a Roma, ha un centro polivalente attrezzato con una biblioteca, un centro di formazione e orientamento al lavoro, un incubatore d’impresa, spazi commerciali.

Chi lo abita è stato capace, nonostante lo stigma che lo ha accompagnato da sempre, di creare una comunità che condivide con gli altri cittadini le difficoltà di vivere nella vasta area urbanizzata romana.

Al Quarticciolo dal 2007 esiste il teatro e biblioteca comunale realizzato dal recupero del vecchio mercato, nell’ex locale caldaie è stata realizzata dal 2015 una palestra popolare dove si pratica boxe.

 

Foto di Roberto Consiglio dall’archivio DINAMOpress

 

Durante questi mesi di crisi sanitaria il comitato di quartiere del Quarticciolo ha distribuito gratuitamente pacchi alimentari e beni di prima necessità a chi ne aveva bisogno.

«Le relazioni che abbiamo costruito con la gente del Quarticciolo sono il risultato di un lavoro quotidiano e costante: dello sport popolare, dei laboratori nelle scuole medie, delle feste in piazza, dello sportello legale, del corso di chitarra. In questi due anni abbiamo dato priorità al lavoro con i ragazzi più piccoli cercando di essere punto di riferimento per la borgata per una aggregazione non veicolata dallo spaccio o dal consumo» scrivono gli attivisti di Red Lab Quarticciolo.

Poche sere fa è andato in onda l’ennesimo servizio di Striscia la notizia fatto per documentare lo spaccio nei quartieri “malfamati” con il giornalista Brumotti, la cui troupe televisiva era stata allontanata dagli abitanti.

«È pericoloso qui, un quartiere che pare terra di nessuno» – con queste parole il giornalista concludeva il servizio.

 

Gli abitanti però si sono ribellati e con un comunicato hanno rivendicato il diritto a essere rispettati «Il tema non è cosa si racconta, ma il Rispetto che si porta a chi abita in una borgata. Le borgate non sono un posto come un altro, qua viverci è uno stigma. Non si può fare finta di nulla e puntare telecamere addosso a chiunque».

 

«Lo stigma di abitare in 5 in 27 metri quadri, in uno scantinato o di non avere una residenza. Di abitare in case in cui piove. Di essere allontanati da scuola perché “problematici”, di essere rimbalzati da ogni ufficio perché sempre in difetto».

Mettono in evidenza come il servizio girato al Quarticciolo è uguale a tutti gli altri che sono stati fatti in altri quartieri di residenze popolari, come lo Zen di Palermo, a San Giovanni a Teduccio o a Quarto Oggiaro.

«Un ragazzo che vende, qualcuno che compra, un inseguimento in bici, le scene al ralenti di qualcuno che si arrabbia, qualcuno che strilla, i carabinieri che intervengono. Per chi deve vendere l’immagine di quartieri allo sbando ogni posto è uguale all’altro».

 

«Per noi che ci abitiamo, ogni posto e ogni persona hanno una loro storia e una loro dignità. Non c’è nessun “diritto di cronaca” che può violarla».

 

Forse sarebbe più utile se chi vuole fare informazione ricostruisse le infiltrazioni delle grandi organizzazioni criminali che gestiscono l’arrivo e lo smistamento nella città delle sostanze stupefacenti, di come si inseriscono nei quartieri devastati dalla povertà e dall’assenza di politiche di assistenza. Soprattutto sarebbe importante capire come la gran massa di denaro che si ricava dalla droga viene ripulita e reinvestita nell’economia della Capitale.

Non nei quartieri “terra di nessuno” ma nel turismo, nel commercio, nel mercato immobiliare di tutta la città. Bar e ristoranti, commercio all’ingrosso e al dettaglio, sale giochi, costruzioni e intermediazione immobiliare sono i settori più inquinati, che coprono circa tre quarti del totale delle aziende confiscate nel Lazio negli ultimi dieci anni.

Le organizzazioni criminali non risparmiano però neanche trasporti, scommesse, stabilimenti balneari e, ovviamente, appalti pubblici.

Forse un giro in bicicletta nei quartieri “bene” potrebbe raccontare molte cose.

 

 

Foto di copertina dall’archivio DINAMOpress