ROMA

Pugni chiusi. La palestra popolare del Quarticciolo

Nel quartiere racchiuso tra la via Prenestina e via Palmiro Togliatti è nata nel 2015 una “palestra militante”: il più longevo gruppo di aiuto sociale della borgata. Vi si pratica la boxe secondo i dettami della scuola cubana, ma anche solidarietà e mutuo sostegno

«A via Ostuni te invito. A vede che s’è creato, da uno spazio più che abbandonato. È nata una palestra anzi, che sto a dì, la poi definì finestra. Di giovani pischelli che lì dentro se chiamano fratelli. Nun se tratta de guadagno, c’è un sogno al centro del discorso che ha alimentato corso su corso. Dai bambini ai più anziani, non c’è soldo che ripaghi la soddisfazione de quando ce dicono “bravi”». Scritti da uno dei ragazzi del Quarticciolo, questi versi tratti dalla poesia La Finestra descrivono bene la locale palestra popolare.

Il Quarticciolo è un quartiere del quadrante di Roma Est, racchiuso tra la via Prenestina e via Palmiro Togliatti. Qui al numero 4 di via Ostuni, all’interno di un ex locale caldaie abbandonato da oltre 20 anni e di proprietà dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale (Ater), l’ente che si occupa delle case popolari del comune di Roma, da alcuni anni è stata aperta la palestra popolare del Quarticciolo.

 

Alla palestra del Quarticciolo si pratica una disciplina specifica: la boxe, sia a livello agonistico che dilettante.

 

Una volta messo piede nello stabile, si notano certificati della Federazione pugilistica italiana (Fpi), trofei vinti a tornei di boxe cittadini e regionali, manifesti che ritraggono Muhammad Alì durante un match di pugilato e foto di incontri a cui hanno preso parte gli atleti che qui si allenano. A causa delle restrizioni legate alla pandemia di Covid, oggi a frequentare i corsi sono soltanto i pugili agonisti, una decina in tutto, e hanno dai 15 ai 30 anni.

Vivono al Quarticciolo ma anche in altri quartieri di Roma Est. Tra di loro c’è Milos, un serbo di 15 anni che abita in un lotto della borgata, da molti considerato una vera e propria promessa dei guantoni. Il modo in cui si muove sul ring, i passi che compie e i ganci che tira durante gli allenamenti al sacco lo fanno capire bene.

 

Riscaldamento prima dell’allenamento

 

Alla palestra popolare del Quarticciolo ci si basa su due valori in particolare: militanza e solidarietà. Che quella di via Ostuni sia una “palestra militante” lo si capisce volgendo lo sguardo alle sue pareti dove sono appesi la bandiera del Movimento di lotta per la casa, la bandiera di Cuba, un foulard del movimento No Tav della Val Susa. Alle spalle del ring, risalta una grossa scritta sul muro: “Chi ti ha insegnato che nulla può cambiare…voleva solo un altro schiavo”.

La solidarietà, invece, la si comprende dal fatto che la palestra viene vista come un luogo aperto a chiunque ne abbia bisogno: oltre a essere il punto dove allenarsi, è anche uno spazio per incontrarsi, parlare, confrontarsi, crescere insieme e conoscersi durante gli allenamenti. Non è raro scorgere gente che entra nella palestra, ad allenamento in corso, per chiedere ai ragazzi un aiuto o un’informazione. Per esempio: come ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno.

 

Vi è inoltre una forte equità tra chi insegna e chi si allena. Il tecnico lascia i ragazzi esercitarsi da soli quando lui è impegnato in un allenamento singolo.

 

Gli atleti in questo caso, si correggono tra loro. Il ruolo di sostegno sociale, oltre che sportivo, della palestra lo ritroviamo anche in altre situazioni. I pugili più adulti ricordano come, durante il lockdown della primavera 2020, portassero i libri a casa dei ragazzi più piccoli per farli studiare, nonostante le scuole fossero chiuse.

Godwin, un imponente ragazzo nigeriano di 25 anni diventato da poco pugile professionista, ci spiega, mentre chiude la borsa appoggiata sulla panca dello spogliatoio, che per lui la struttura di via Ostuni 4 «non è un semplice luogo per allenarmi coi miei amici. All’interno della palestra chiacchiero un po’, mi ci diverto, insomma è come se fossi in una famiglia».

Ci racconta che si è sempre sentito ascoltato e aiutato, ed è anche grazie a questo fatto, insieme ad allenamenti continui e seri, che è riuscito ad affermarsi. «Ho imparato mosse e tecniche molto difficili molto più velocemente rispetto ad altri ragazzi che frequentano palestre differenti», conclude il giovane.

 

Allenamento sul ring

 

Il tecnico ufficiale della palestra, Emanuele Agati, conosciuto come Manù, ci riferisce come «la palestra non abbia mai avuto problemi nella gestione di questo spazio e ciò ci ha stupito». Agati, maestro trentenne di boxe, diventato tecnico federale nel 2017 spegne le luci e chiude la porta dell’ex locale Ater. L’allenamento per oggi è finito.

Manù insiste sul sostegno sociale ricevuto: «ci ha fatto capire anche quanto tutta questa idea fosse importante per una borgata come il Quarticciolo. I residenti hanno sempre dato una mano in vari modi». Nella prima fase aiutando nella ristrutturazione della palestra, nella seconda -dopo l’inaugurazione nel settembre 2016- «iscrivendo i figli ai corsi e partecipando in prima persona alle iniziative di autofinanziamento».

Il forte senso di comunità rappresenta un’altra base fondante di questo ambiente sportivo. La palestra è aperta sul quartiere, qui al Quarticciolo, nella periferia di Roma est. Ma la scuola di boxe ha come modello la scuola cubana, una delle più importanti e vincenti a livello mondiale. Quel modello, precisa Manù, è ripreso sotto due punti di vista fondamentali.

 

Un podcast sullo sport popolare a Roma Est, realizzato da Roberto Consiglio

 

Il primo è l’ambito sportivo e tecnico. «Quello sportivo è il lato che cerchiamo di mettere in pratica maggiormente. Ci è stato insegnato da un tecnico brasiliano, ospite nella nostra borgata per qualche mese, che ha avuto la fortuna di formarsi a Cuba, da un punto di vista pugilistico». Lo stile «incentrato su un grande utilizzo delle gambe, equivale a poter ricoprire lunghe distanze. Vi è pertanto una grande mobilità e ci si concentra sui colpi dritti che la rendono una boxe non statica».

Fondamentale è anche la base politica e militante. Per i ragazzi del Quarticciolo, prosegue Manù, Cuba «rappresenta un modello perché è una nazione dove lo sport è accessibile a tutti e i ragazzi possono frequentare gratuitamente una palestra locale: questo è ciò che auspichiamo anche noi qui nella borgata».

 

Dopo l’inaugurazione, nel 2016, la notizia dell’apertura della palestra si diffonde prima soprattutto al Quarticciolo ma poi, col passare del tempo, anche in altre zone di Roma est.

 

A spiegarci perché è Valentino, un insegnante di sport di combattimento di 40 anni dell’Ex Snia, un centro sociale sulla via Prenestina all’altezza del quartiere Pigneto. «La palestra popolare del Quarticciolo è una realtà a sé, non legata ad alcun centro sociale come avviene, di norma, per le palestre popolari romane. Questo ha fatto sì che si sia creata una forte vicinanza con gli abitanti del quartiere, che non riguarda solamente l’ambito sportivo», ci racconta Valentino.

Occupata da un gruppo di giovani della zona il 30 agosto 2015, come ricorda una targa sulla porta di entrata dello stabile di via Ostuni, quello della palestra popolare è il più longevo gruppo di aiuto sociale della borgata, ma non è l’unico. Nel corso del tempo, all’interno del Quarticciolo sono sorti un comitato di quartiere e un piccolo spazio sociale denominato Red Lab; in più è stato fatto partire un corso di doposcuola.

 

Il tecnico della Palestra, Emanuele Agati

 

Le tre iniziative sono fortemente legate tra loro. Ce lo spiega Pietro, un ragazzo di 31 anni che fa parte del collettivo del Red Lab e che racconta come vi fosse una vera e propria «esigenza del territorio verso un luogo come la palestra». Agli abitanti di una borgata di periferia, soprattutto ai più giovani, servirà un’alternativa credibile, vista l’assenza delle istituzioni, continua Pietro.

L’ex locale caldaie a via Ostuni, ci ricorda Pietro, «oltre a essere un luogo in cui praticare sport era diventato, soprattutto grazie al lavoro di chi ci insegna, un punto di riferimento per una serie di questioni che non rientravano nella semplice attività sportiva». Tra queste gli sfratti, gli stacchi dell’acqua e le difficoltà delle relazioni con l’Ater.

 

Nel giro di poco tempo i ragazzi della palestra si accorgono però che da soli non riescono a gestire tutti i problemi e quindi, nel 2017, danno vita sia al locale comitato di quartiere che al Red Lab.

 

Le due nuove esperienze si occupano di questioni più pratiche, come la distribuzione di beni di prima necessità durante il lockdown della primavera 2020, alleggerendo i compiti della palestra. Ancora oggi, prosegue Pietro, non si è minimamente scalfito «quel rapporto simbiotico tra le varie forme di organizzazione sociale del Quarticciolo e l’esperienza della palestra: le feste di quartiere che si svolgono ogni anno a giugno possono essere considerate delle vere e proprie feste della palestra».

Il lavoro dei ragazzi di via Ostuni è riuscito anche a far nascere il progetto del doposcuola. A raccontarlo è Daniele Napolitano, un fotoreporter trentenne che fa il doposcuola per i ragazzi tra i 12 e i 15 anni: «all’inizio gli organizzatori del doposcuola frequentavano i corsi della palestra e, proprio lì, sono riusciti ad allargare il loro gruppo di ragazzi da aiutare». La palestra, insomma, ha fatto sì che si «liberassero nuove energie in modo da poter intercettare quello che già c’era e quello di cui si aveva bisogno». Ma i legami non si fermano qui.

 

L’entrata dello spazio sociale Redl Lab

 

Il fotoreporter afferma convinto che la palestra e il doposcuola hanno riunito ragazzi con esperienze di vita molto diverse, ma legati da un intento specifico: aiutare il quartiere nei suoi bisogni. Si può dire che al Quarticciolo esiste «un’attività che muove un gruppo e non un gruppo che muove un’attività».

Gli insegnanti cercano di far capire ai ragazzi del doposcuola l’importanza dell’attività motoria. Non è raro vederli tutti in cerchio, nel centro della piazza del Quarticciolo, il cuore della borgata, mentre fanno il riscaldamento muscolare. Braccia e gambe in alto e in basso, per venti minuti.

Per Daniele Napolitano «tutte queste attività non levano certo i ragazzi dalla strada. Si cerca però di fornire loro strumenti di cura collettiva e condivisione che li aiutino a rendere migliore la strada e soprattutto renderla più vivibile». Dalla borgata per la borgata, si dice da queste parti.

 

 

Tutte le foto di Roberto Consiglio

Il reportage nasce all’interno della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso