ROMA

«Vogliamo delle vere tutele». Lettera aperta dei volontari del Quarticciolo

Stamattina decine di volontari del Quarticciolo, che in questi giorni hanno consegnato e donato cibo ai cittadini di Roma, hanno attuato una protesta contro la mancata erogazione dei buoni spesa da parte di comuni e municipi.

Hanno portato una cassetta vuota davanti i municipi di Roma. Il motivo? La mancanza e la scarsità di aiuti da parte delle istituzioni alle persone che stanno vivendo sulla propria pelle la crisi economica causata dalla Covid-19. Sono i volontari che in questi giorni hanno aiutato i più fragili portandogli la spesa a casa e hanno organizzato raccolte da cibo da donare a chi è in difficoltà e non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Persone che hanno perso il lavoro e che non hanno più uno stipendio. Che non ricevono la cassa integrazione e non possono accedere agli ammortizzatori sociali consegnati dal Governo e dalla Regione Lazio.

 

Sono i dimenticati, quelli che non riescono nemmeno a ricevere i buoni spesa perché il Comune di Roma non ha ancora evaso tutte le richieste. Rischiando così di mettere ancora più in ginocchio le vere vittime della crisi generata dalla Covid-19.

 

Siamo stanchi di vivere in un paese in cui andare a lavorare, vivere nelle case popolari, confrontarsi con la mancanza di reddito è un atto di eroismo in cui si è esposti a ogni rischio», scrivono i volontari nel comunicato che trovate poco sotto. «Non crediamo che questa pandemia si possa sconfiggere grazie alla vocazione di singoli individui». Su 160mila richieste di buoni spesa ne sono state accettate poco più di 93mila e consegnate finora solo 27mila. Un successo secondo la sindaca Virginia Raggi, un disastro per chi è ancora in attesa. Il Governo ha stanziato 22 milioni per l’erogazione dei ticket, ma il Comune di Roma è in gran ritardo.

 

La protesta dei volontari (galleria fotografica di Daniele Napolitano)

 

Nel frattempo, così si esprimono i volontari del Quarticciolo in una lettera aperta che volentieri pubblichiamo:

«Siamo i volontari che in questi mesi si sono presi cura delle persone in difficoltà nei quartieri delle nostre città. Siamo i vostri vicini di casa, i vostri parenti, i vostri amici. Siamo quelli che avete visto distribuire mascherine, disinfettanti, generi di prima necessità, un sorriso, una speranza nei momenti più difficili di questa pandemia che ci ha devastato. Facciamo parte di associazioni, di comitati autorganizzati, di gruppi di volontariato ma siamo anche singoli individui che hanno deciso di dare una mano. Scriviamo perché vorremmo condividere quello che abbiamo vissuto perché il nostro sforzo non sia vano e perché non ci sia mai più così bisogno di noi.

 

Con la diffusione della Covid-19 nel paese e il lockdown abbiamo deciso di non rimanere con le mani in mano e di prenderci le nostre responsabilità.

 

Abbiamo convissuto con la paura di essere contagiati e di contagiare i nostri familiari; abbiamo messo da parte l’individualismo a cui ci ha abituato la frenesia della quotidianità; chi ci rassicurava dalle televisioni, sui social e la carta stampata e abbiamo deciso che non era tempo delle parole ma di atti concreti. Era il momento di stare insieme anche se a distanza. Lo facciamo perché crediamo che prenderci cura di chi, non per sua colpa, non ha le possibilità di tirare avanti è l’unico modo di contrastare la pandemia. È evidente che o garantiamo a tutti la sostenibilità del distanziamento sociale o le ordinanze e i droni non possono che certificare l’esaurimento nervoso e fisico di un paese.

 

La nostra attività quotidiana è stata necessaria e allo stesso tempo insufficiente.

 

Abbiamo visto centinaia di persone disporsi in fila per ricevere il pacco alimentare, abbiamo visto cooperative, piccoli supermercati, agricoltori donarci quello che potevano, individualità condividere parte della loro spesa quotidiana e abbiamo visto ogni giorno finire ripetutamente tutte le provviste accumulate. Abbiamo ascoltato le storie delle persone, le difficoltà che affrontavano a causa della pandemia. Ci siamo resi conto che la maggior parte di queste hanno visto peggiorare una situazione di disagio che già vivevano in condizioni normali. Ci siamo sentiti impotenti. Di fronte a tutto questo sappiamo che nonostante la nostra buona volontà, le nostre risorse si basano sullo sforzo collettivo e molto presto finiranno.

 

Ci siamo sentiti come ogni singola persona che sfidando la vergogna si è messa in fila.

 

Per quanti sforzi ognuno di loro può fare in questo paese, la solidarietà è stata l’unica chance di sopravvivenza, ma ora non basta più. Non basta a loro e non basta a noi. E’ il momento che anche le istituzioni si prendano fino in fondo le loro responsabilità!
Il nostro sforzo dovrebbe essere un’eccezione e invece ci rendiamo conto che è e sarà la normalità. Tutti coloro che hanno fatto appello all’unità nazionale non sono stati in grado di distribuire la ricchezza prima della Covid-19 e non sono in grado di farlo ora. Crediamo che non ci sia una volontà politica di far fronte a questa disuguaglianza diffusa, di rafforzare le strutture sanitarie, i sussidi, le strutture educative, i servizi di prossimità. Oggi l’unica priorità è quella di inseguire una ripresa economica per nulla scontata.

 

La ricetta è sempre la stessa: sacrificare ogni fonte di spesa pubblica per garantire alle aziende la libertà di trattare sempre peggio chi lavora con il paracadute dei soldi dello Stato per far fronte al rischio di impresa.

 

Un modello che ha già dimostrato tutta la sua fragilità. E’ invece certezza che ci confronteremo senza alcuno strumento con la crisi economica e sociale nel paese reale. In dieci anni abbiamo visto scomparire ospedali, disinvestire sull’istruzione pubblica, dimezzare gli asili nido, abbandonare ogni velleità di politica abitativa, aumentare la povertà.
Ci sentiamo vicini agli infermieri, ai medici, ai portantini a tutti coloro che in questi mesi negli ospedali hanno fatto uno sforzo per curare le persone perché condividiamo la stessa sensazione di frustrazione. Come loro continueremo a distribuire i pacchi finché potremo, continueremo ad essere presenti sui territori ma chiediamo un prezzo per tutto questo perché ci siamo resi conto che lo sforzo che abbiamo fatto per non essere vano, deve pretendere dalle istituzioni risposte concrete.

 

Abbiamo deciso, quindi, di portare ognuno di noi una cassetta vuota davanti i municipi dei nostri quartieri come simbolo dell’insufficienza degli aiuti promessi a milioni di persone.

 

Chiediamo che vengano elargiti al più presto i bonus spesa. In molti municipi di Roma non sono stati ancora consegnati registrando così un vergognoso ritardo. Chiediamo che venga messo in piedi un sussidio vero, duraturo e non una tantum. Chiediamo che ciascuno possa avere un medico di base e strutture sanitarie territoriali efficienti. Chiediamo che se ci debba essere una riapertura che questa avvenga mettendo in sicurezza le persone garantendo quello che fino ad oggi non è stato dato. Siamo stanchi di vivere in un paese in cui andare a lavorare, vivere nelle case popolari, confrontarsi con la mancanza di reddito è un atto di eroismo in cui si è esposti a ogni rischio. Non crediamo che questa pandemia si possa sconfiggere grazie alla vocazione di singoli individui. Vogliamo tutele. In quella fila ci sono i nostri amici, i nostri parenti, i nostri vicini di casa. In quella fila ci siamo pure noi»

Foto di copertina di Daniele Napolitano

Tutte le foto di Daniele Napolitano