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Il soggetto imprevisto

È in libreria “Il soggetto imprevisto. Neoliberalizzazione, pandemia e società della prestazione” (Meltemi, 186 pagine, 18 euro), l’ultimo lavoro di Anna Simone e Federico Chicchi. Nel libro, i due sociologi ricostruiscono il modo in cui il virus abbia stravolto le società contemporanee facendo emergere in controluce la loro trama più profonda. Di seguito, l’introduzione al volume

“No volveremos a la normalidad

Porque la normalidad era el problema”

Scritta apparsa a Santiago del Cile nei primi mesi del lockdown

Mentre ci accingiamo a chiudere questo volume per consegnarlo al nostro editore è in corso una guerra sanguinaria che nessuno si aspettava, non dopo due anni di lutti e traumi collettivi generati dalla pandemia. Una guerra i cui esiti e rapporti di forza sono al momento imprevedibili, mentre le sue ricadute sugli attori sociali e sulla vita quotidiana sembrano, purtroppo, essere prevedibilissime: ulteriore riduzione del potere d’acquisto, inflazione, crisi energetica, senso di impotenza e di instabilità generalizzata. I temi affrontati in questo volume non attraversano questo nuovo evento, non è compito dei sociologi capire e studiare le relazioni internazionali, tuttavia non possiamo certamente pensare che la guerra non costituisca l’ennesimo tassello sintomatico all’interno di una crisi globale, divenuta ormai strutturale, che genera una linea mortifera di continuità, discontinuità, assestamenti e rilanci almeno a partire dalla prima grande crisi economica del 2007. Questa linea altalenante, fatta di slanci e di crisi drammatiche, è determinata dai processi di neoliberalizzazione e dagli effetti che produce sulle nostre società, nonché dalla “qualità” del capitalismo contemporaneo e dalle sue forme di governo che sembrano attraversare i processi di de-democratizzazione e di de-politicizzazione, incistando progressivamente in essi il grande progetto tecnocratico.

Sulla pandemia, all’interno delle scienze sociali, sono già stati scritti parecchi volumi prevalentemente centrati sulle forme di interazione sociale durante il lockdown, sullo smartworking, sui solidarismi e su altri singoli aspetti che hanno travolto le nostre vite negli ultimi anni. Invece, a parte il volume di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo del 2020 e il numero monografico della rivista Cartografie Sociali, abbiamo ancora poche visioni e poche immaginazioni sociologiche di insieme sulle società che verranno. Naturalmente, ogni impressione e ogni analisi può tranquillamente essere smentita dai fatti della storia, e lo scoppio della guerra lo dimostra nettamente, tuttavia per noi non ha costituito un buon motivo per stare sul presente rimuovendo i due anni precedenti. Non foss’altro perché rimuovere una pandemia, passando semplicemente da un ordine discorsivo all’altro, significa ignorare i segni che lasciano i grandi traumi singolari e collettivi e significa, anche, non capire nulla del presente catturato dalle giostre mediatiche e dal fiorire di opinionismi ed “esperti” dell’ultima ora senza serie basi conoscitive degli effetti politici, economici e giuridici che ogni grande fatto della storia porta con sè.

Questo nostro volume, al di là delle formali attribuzioni dei capitoli, è il frutto di un lavoro comune, il prodotto di un intenso confronto e di una serrata discussione, nonché di un’amicizia che, ormai, prosegue da molti anni. Il soggetto imprevisto, con cui abbiamo definito il virus, nonché titolato il libro, questa micro navicella spaziale arrivataci addosso all’improvviso, in realtà riprende una felice locuzione attraverso cui si nominava il pensiero femminista di matrice lonziana negli anni Settanta. Nonostante le dovute differenze, l’elemento simbolico di comunanza per noi è dato dall’elemento di rottura, taglio, visibilizzazione dell’invisibile, che entrambi i soggetti imprevisti sono stati in grado di determinare nelle nostre società denudando i Re di turno. Certo, soggettivare un virus è difficile, eppure secondo noi la sua potenza è stata ed è molto importante perché suo malgrado, questa minuscola ed invisibile entità immateriale, ha saputo rompere il vaso di pandora di tutti i guasti già prodotti dai processi di neoliberalizzazione e da ciò che abbiamo definito come “società della prestazione” nel nostro libro precedente. In altre parole, evocare questo nuovo soggetto imprevisto, per noi significa da un lato dissotterrare l’inganno di un modello di sviluppo che ha retto molto male l’impatto catastrofico del virus; dall’altro lato significa riprendere le riflessioni che erano state proposte ne la società della prestazione per rilanciarle a partire dalle importanti trasformazioni che la società capitalistica contemporanea ha affrontato e affronta in questi ultimi anni, nonché a partire da quel che ha generato il virus impattando su quella stessa società capitalistica. Il modo in cui la pandemia ha stravolto il funzionamento delle nostre società svolge nel volume, in tal senso, un ruolo da protagonista. Il libro, infatti, assume la pandemia come un contesto in cui riconoscere in modo più evidente la trama dei processi di neoliberalizzazione, provando a studiarne la più recente evoluzione a livello sociale.

Le tre diverse sezioni in cui il volume è diviso svolgono il compito di indicare e circoscrivere gli ambiti che più sono stati coinvolti dai processi di radicale ristrutturazione del capitalismo e dei processi di neoliberalizzazione dello Stato e delle sue istituzioni: la politica, la tecnica e la riproduzione sociale. Nella terza sezione e nelle conclusioni vengono anche presentati alcuni riferimenti a quello che nel libro viene considerato come lo spazio della ricostruzione che abbiamo il compito di proporre e progettare nei prossimi anni: l’economia della restituzione.

I sei capitoli da cui è composto il libro sono disposti in modo da creare un movimento altalenante, e speriamo complementare e fecondo, tra la riflessione teorica e l’analisi fenomenica degli effetti della crisi globale in atto.

In particolare, nel primo capitolo, che inaugura la prima sezione dedicata alla politica, si cerca di dare conto di come la pandemia abbia drammaticamente investito il sistema economico e sociale di stampo neoliberale che già aveva mostrato in questi ultimi anni tutti i suoi effetti perversi. Il soggetto imprevisto ha, in altri termini, messo in particolare risalto come i drastici tagli alla sanità e a tutti i servizi di cura ad essa connessi, soprattutto quelli territoriali, l’aumento apparentemente irrefrenabile delle diseguaglianze sociali e dei tassi di povertà delle famiglie, erano e sono un problema che, dal nostro punto di vista, necessitano di una decisiva discontinuità nella scelta di quale modello di sviluppo adottare. Una straordinaria opportunità che, soprattutto in Italia, non è stata affatto raccolta. Infatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha nuovamente ribadito l’adesione a un modello di società e di sviluppo caratterizzati da una logica di ulteriore neoliberalizzazione dei suoi dispositivi. Analizzando il linguaggio e le varie mission contenute nel PNRR emerge chiaramente il disegno di un modello di giustizia sociale completamente schiacciato sul rilancio del principio di concorrenza. Nel secondo capitolo si propone ai lettori un’analisi delle principali trasformazioni della società della prestazione, così come l’avevamo descritta nel nostro volume precedente. Questa disamina è svolta alla luce dei processi che la pandemia ha determinato sulle modalità di funzionamento e organizzazione del contesto sociale. In particolare, il focus di questo capitolo si concentra sugli effetti che la crisi produce sulla qualità della soggettività neoliberale e sugli effetti psicopatologici fondamentali che è possibile descrivere a riguardo. L’invadenza che le pratiche di misurazione delle performance soggettive produce in termini sintomatici ha ormai superato il livello di guardia e la necessità di ripensare il modello di sviluppo in cui siamo bloccati, trovando in questa emergenza una delle sue più critiche manifestazioni. Un’emergenza che ci porta a disconoscere l’importanza del tempo del lutto, della perdita, dell’assenza, come momenti inaggirabili e preziosi per la costituzione non tossica della nostra soggettività. Sono questi, infatti, alcuni degli “spazi” fondamentali che dobbiamo tornare a ospitare per riuscire a nutrire quel desiderio e quello slancio che servono per inaugurare un nuovo scenario politico e sociale.

Il terzo capitolo apre la seconda sezione del volume dedicata al tema della tecnica. Crediamo ribadire qui l’importanza che tale questione riveste nella definizione delle dinamiche sociali contemporanee. Infatti, in questo capitolo vengono analizzati i nuovi dispositivi di controllo e sorveglianza che la tecnologia digitale rende oggi disponibili. Se ne la società della prestazione ci eravamo concentrati sull’analisi del funzionamento del management e sulla centralità sociale e soggettiva della forma impresa, in questo capitolo e anche nel successivo, sosteniamo che la sua evoluzione politica e sociale oggi è rintracciabile nei dispositivi della cosiddetta “governamentalità algoritmica”.

La pandemia ha accelerato e creato le condizioni di una pervasività senza precedenti dei dispositivi digitali e la falsa retorica palingenetica del digitale insiste su ogni strato della nostra esistenza. Capire che tipo di riconfigurazione delle forme di vita questo può determinare è quindi uno degli obiettivi del terzo capitolo.

Nel quarto capitolo ci occupiamo più specificatamente dell’impatto del digitale sul lavoro e sulla produzione del valore ovvero sul farsi sempre più rilevante della piattaforma nel ridisegnare i modelli di business egemoni e il funzionamento complessivo delle pratiche di organizzazione della vita sociale. Il concetto di governamentalità algoritmica viene qui discusso e ripreso sul piano concettuale, al fine di mostrare la sua incidenza sulla determinazione delle nuove forme di vita investite dal mondo e dalla logica del digitale. In questo stesso capitolo vengono infine approfondite le modalità di esercizio del potere e del controllo sociale che è possibile esercitare a partire dalla inedita disponibilità dei dati che le infrastrutture digitali permettono di raccogliere e analizzare. Il quinto capitolo apre l’ultima sessione del libro, e assume come cuore delle sue argomentazioni il progressivo venir meno, a favore di quelle che vengono definite aree di indistinzione, dei confini delle aree sociali che avevano caratterizzato il mondo industriale. Più nello specifico, in questo capitolo, viene analizzata la progressiva confusione -accelerata dalle nuove e pervasive tecnologie del digitale- tra sfera della produzione e sfera della riproduzione sociale, soprattutto per quanto riguarda la determinazione delle pratiche di estrazione e appropriazione del valore. Al fine di interrogare in profondità tale fondamentale processo di ristrutturazione delle logiche capitalistiche, viene fatto particolare riferimento alle teorie del femminismo storico e alle più recenti argomentazioni sviluppate a riguardo. Infine, sosteniamo qui la tesi che il capitalismo neoliberale stia cercando di realizzare attraverso la governamentalità algoritmica un piano per il suo rilancio dentro la sua oramai pluridecennale crisi strutturale. Il modo in cui la società della prestazione si salda e si ristruttura a partire dalla nuova norma algoritmica che la ridisegna nei suoi fondamenti è la quantificazione del sé ma anche la cifrazione, la contabilizzazione di ogni emozione, di ogni gesto, di ogni ambito di espressione sociale che i dispositivi algoritmici sembrano ora in grado di catturare e mettere direttamente a valore. Il sesto ed ultimo capitolo del volume continua la riflessione iniziata nel capitolo precedente sulla sfera della riproduzione e sulla sua nuova centralità sociale. Ci si chiede, in particolare, come e in che modo il concetto di cura, chiamato in causa ormai da un’ampissima letteratura, rappresenti oggi una vera e propria opportunità per dare vita a nuove politiche generative, e come al contempo, però, lo stesso concetto sia stato spesso utilizzato nell’era pandemica per risignificare in modo interessato e appropriativo il continuum tra lavoro di produzione e lavoro di riproduzione sociale. La crisi del Welfare State e delle sue più importanti istituzioni pubbliche sono così interpretate a partire da tale processo generale. Infine, l’ultima parte del capitolo è dedicata a tratteggiare le forme di quello che potremmo definire come un materialismo sensibile. A questo proposito viene sottolineata l’importanza e l’assoluta centralità del corpo nel definire lo scenario di un nuovo modello sociale che si ponga finalmente al di là della logica della prestazione ad ogni costo.

Le conclusioni del volume, a partire da ciò che avevamo già indicato come le figure per resistere ne la società della prestazione, cercano infine di indicare alcune coordinate per tentare di fondare una nuova politica dell’attraversamento e quindi del superamento dell’attuale processo di neoliberalizzazione. Più nello specifico tale visione da noi proposta assume tre cardini, grazie a cui aprire una vera e propria nuova stagione della riflessione sociologica e politica: il conflitto, l’inaugurazione di un’economia della restituzione e il materialismo sensibile. Ci auguriamo che questo libro possa in qualche modo aiutare a costruire l’inaugurazione di una nuova e importante stagione di esodo dalle sociologie avalutative e di servizio, per rimettere al centro tutte le sociologie che prendono posizione sulle ferite e sulle storture generate dalle grandi trasformazioni sociali dettate dalla storia.

Un ringraziamento particolare va alle colleghe e ai colleghi con cui abbiamo discusso della pandemia e dei suoi effetti in questi ultimi due anni attraverso il network “Sociologia di posizione” e, più in generale, a chi ci sopporta ogni giorno nella mirabolante impresa della scrittura di un libro.

Immagine di copertina da Pexels