ROMA

Il patrimonio di Atac tra svendita e riqualificazione

Intorno all’ex deposito Atac di piazza Ragusa, e alle altre rimesse abbandonate, si scontrano due idee diverse di città: quella della finanza, fatta di privatizzazioni e speculazioni, e quella dei beni comuni urbani

Quale sarà il destino del patrimonio immobiliare di Atac? É questa la domanda dei cittadini radunati sotto la sede Atac di via Prenestina, in un presidio organizzato il 4 dicembre scorso dalla rete territoriale Cinecittà Bene Comune. Cartelli, striscioni, espressioni di solidarietà ai lavoratori in lotta animano la protesta sugli immobili della partecipata, nuovamente a rischio svendita dopo il concordato “in bianco” firmato lo scorso 14 settembre dalla Giunta Capitolina.

Il presidio, però, è solo l’ultimo capitolo di una battaglia che va avanti da molti anni: dal 2014, per la precisione, e cioè da quando Cinecittà Bene Comune occupò simbolicamente l’ex-rimessa di piazza Ragusa per chiederne la riapertura.

“Sono due i motivi per cui ci troviamo qui oggi”, spiega Chiara al megafono. “Uno riguarda la gestione dell’Atac, che vogliamo resti pubblica, e la solidarietà ai lavoratori in mobilitazione. L’altro motivo, strettamente connesso, riguarda la gestione del patrimonio inutilizzato dell’azienda, sul quale da anni la rete territoriale Cinecittà Bene Comune sta conducendo una battaglia di salvaguardia e recupero.”

Due questioni all’apparenza slegate, ma che in realtà si intrecciano nella storia complessa e quasi incomprensibile della ristrutturazione aziendale di Atac; e che oggi, diciotto anni dopo l’inizio di questa storia, incidono profondamente sulla qualità del servizio e sull’urbanistica della città.

Ma perché il collasso dell’azienda di trasporto pubblico della Capitale e i suoi immobili in dismissione dovrebbero essere collegati? Come si intreccia il destino delle ex-rimesse diffuse in tutta Roma con il servizio reso ai cittadini? E soprattutto, se Atac è fortemente indebitata, perché opporsi alla vendita degli immobili?

I gioielli di famiglia di Atac

Per rispondere a queste domande occorre fare un passo indietro – o forse due – e ricostruire le vicende che negli ultimi anni hanno dettato le sorti della partecipata. Ci aiuta a farlo uno studio del 2012, condotto dall’Università di Roma Tre e intitolato “La ricchezza dell’Atac”, che illustra in dettaglio i cambiamenti a cui l’azienda è andata incontro e fornisce un quadro di riferimento completo.

Tutto inizia quando, nel 2000, ATAC cessa di essere un’Agenzia Speciale del Comune, e diviene una Società per Azioni a partecipazione pubblica. All’epoca era già chiarissima la situazione di sofferenza di Atac, e i bilanci in passivo ne prefiguravano il fallimento. L’allora giunta Rutelli decise di correre ai ripari e ristrutturare la società, dividendola in due tronconi: Atac SpA, con funzione di programmazione e pianificazione (e controllo), e TRAMBUS SpA, dedicata alla gestione dei servizi. Il patrimonio immobiliare dell’Agenzia Speciale Atac, fino ad allora proprietà del Comune di Roma, viene dunque ceduto dal Comune ad Atac Spa, che ne rileva anche la gestione.

Nel 2004, in occasione della ratifica del Patto per la Mobilità, viene stilata una lista dei beni immobiliari di proprietà della Atac Spa, divisi tra “alienabili nel breve e nel medio periodo”. L’anno seguente, il 2005, il Consiglio Comunale approva il Piano economico e finanziario 2005-2011, dando il via al processo di cartolarizzazione vero a proprio: nasce uno “spin-off immobiliare” dedicato allo scopo, la Atac Patrimonio Srl, alla quale Atac cede la proprietà degli immobili con l’obiettivo di valorizzarli – cioè venderli – per sanare il debito della società madre. A tale fine, Atac Patrimonio viene dotata di un capitale sociale di 80 mln di euro, e viene approvato un finanziamento quindicennale con la Cassa Depositi e Prestiti pari a 160 mln di euro.

L’allora giunta Veltroni sancisce così la decisione, già espressa dall’amministrazione precedente, di affidare il risanamento di Atac alla vendita diretta dei suoi immobili, visti come vera e propria cassa alla quale attingere per ripagare il debito della società. Come se per sanare la malagestione che aveva generato il buco di bilancio fosse sufficiente vendere i gioielli di famiglia, lasciando intatto un modello economico e soprattutto gestionale della mobilità romana chiaramente disastroso.

Valorizzazione o speculazione?

Da lì in poi la situazione cambia poco, se si esclude la breve parentesi di Roma Patrimonio srl che, attiva dal 2009 al 2011, ha avuto il solo merito di costringere il Comune di Roma a intervenire nuovamente in favore di Atac accollandosi nuove porzioni di debito.

Il piano, dunque, sin dall’inizio, era quello di salvare Atac vendendone i pezzi di pregio, puntando soprattutto sulle tre mastodontiche ex-rimesse di San Paolo, piazza Ragusa e piazza Bainsizza, patrimonio enorme in termini di metriquadri e archeologia industriale, lasciato da anni in stato di abbandono.

Anche solo la vendita rappresenterebbe un danno enorme per la cittadinanza, con la perdita di pezzi importanti del patrimonio pubblico e la creazione di una toppa che, per sanare le magagne di pochi, toglie moltissimo a tutti. Ma l’assurdità della vicenda è tale che le modifiche architettoniche delle ex-rimesse avallate da Atac nell’operazione di vendita vanno addirittura contro il PGR, il Piano Regolatore cittadino; quello stesso piano regolatore che veniva varato in contemporanea alla decisione di vendere gli immobili Atac secondo questi parametri.

La deroga necessaria alle modifiche, infatti, prevede un aumento delle cubatore di tre volte superiore rispetto ai limiti oggi imposti all’urbanistica cittadina, e un cambio di destinazione d’uso a commerciale e abitativa in tre quadranti della città che sono da sempre carenti di servizi e infrastrutture. Come lo studio sopra citato dimostra diffusamente, questo porterebbe ad aggravare una situazione che è già al limite del collasso, spesso e volentieri proprio nel settore della mobilità.

Ed è così che Atac, mentre paga l’affitto per gli uffici di via Prenestina e via Ostiense, svende agli immobiliaristi romani centinaia di metri cubi per farne appartamenti di lusso e centri commerciali, sperando in tal modo di saldare un debito che le ultime vicende hanno allargato ben oltre le possibilità di rientro previste in origine.

La favola della valorizzazione si rivela essere pura e semplice speculazione. Nel frattempo, la stessa sorte rischia di toccare anche ad altri edifici “minori”, come quello recuperato dalle attiviste di Lucha y Siesta nel quadrante di Cinecittà.

Le lotte dei cittadini e il progetto di riqualifica

A tutto questo si oppongono da anni comitati e reti che, dal basso, promuovono un’idea diversa per la riqualificazione degli immobili e il rilancio della partecipata.

L’ex-rimessa di piazza Ragusa, ad esempio, è al centro di un progetto partecipato di riqualifica che prevede per lo stabile una riconversione ad eco-stazione. Insieme ai cittadini della rete Cinecittà Bene Comune hanno contribuito all’ideazione del progetto gli stessi lavoratori dell’Atac, con l’obiettivo congiunto di creare posti di lavoro e aumentare i servizi per il territorio; il tutto nel rispetto dell’ambiente.

“L’obiettivo”, si legge nel volantino distribuito al presidio, “è quello di realizzare un polo ecologico in grado di offrire il servizio di trasporto pubblico per il centro storico e per le aree urbane limitrofe, valorizzando la tutela dell’ambiente e la promozione di una mobilità alternativa al servizio del traffico locale e di quello indotto dalla vicina stazione Tuscolana, rilanciando i livelli occupazionali, e riqualificando e selezionando in termini di ecosostenibilità l’offerta in risposta alla crescente domanda di mobilità”.

All’obiezione canonica del sì, ma non ci sono soldi, la rete ha risposto sottolineando come, per un progetto del genere, sia possibile attingere ai Fondi Strutturali Europei, nei quali proprio la partecipazione della cittadinanza è tra i requisiti fondamentali per l’assegnazione. Con la collaborazione di alcuni docenti dell’Unversità di Tor Vergata ha inoltre stilato un “Piano di sostenibilità finanziaria” che dimostra come il progetto sia non solo fattibile, ma addirittura auspicabile da un punto di vista economico.

Una prima vittoria era stata ottenuta dalla Rete con l’iscrizione della facciata dell’edificio tra i beni di archeologia industriale, per impedirne un’eventuale demolizione. E in numerosi tavoli tra Comune, Atac e cittadini era stato chiesto e ottenuto che piazza Ragusa fosse tolta dalla lista dei beni alienabili. Ma il concordato, purtroppo, ha rimesso tutto in discussione.

È per questo che Cinecittà Bene Comune ha indetto il presidio del 4 dicembre, al quale si è unito il Comitato per la riqualificazione dell’ex-rimessa Vittoria di piazza Bainsizza. Alla richiesta di incontro avanzata al presidio ad oggi non è stata data alcuna risposta e, insieme ai lavoratori e ai cittadini attivi nei quartieri, la rete prepara nuove mobilitazioni.