approfondimenti

OPINIONI
Il mondocidio della Palestina
La distruzione di tutte le relazioni sociali operata dal sionismo va al di là di un singolo episodio di genocidio ed è una metafora dell’operato mondicida del capitalismo
Il presente articolo è stato pubblicato in prima battuta sulla rivista Ficción de la razón, per poi essere tradotto in italiano da Michele Fazioli per Dinamopress
Il colonialismo storico subito dalla Palestina non si spiega se non come intensificazione delle forme di accumulazione del capitale che comporta, innanzi tutto, la questione dell’appropriazione della terra. Tale appropriazione si è manifestata nella trasformazione del concetto di proprietà imposto dal mandato coloniale britannico a seguito dell’invasione da parte delle truppe del generale Allenby nel 1917.
La concezione teologico-gestionale della “Terra Promessa” (che, a differenza della Bibbia ebraica, è reinterpretata dal sionismo secondo un codice geopolitico che lo concepisce come “territorio”) funziona come definizione di quel territorio disponibile per una popolazione soltanto, una popolazione di “bianchi” che trasformeranno finalmente gli ebrei europei nei veri rappresentanti della “civiltà occidentale”. Ovvero, la creazione di Israele rappresenta la cristallizzazione, diciamo così, della conversione “ebraica” al cristianesimo nella misura in cui il sionismo (nelle sue diverse forme) si definisce come una teologia politica di matrice cristiana.
Oggi, la strategia continua a essere quella che Israele porta avanti fin dal 1948: spopolare tutta la Palestina storica per appropriarsi del suo territorio.
Si è aggiunto però un dettaglio forse non presente nelle previsioni iniziali: la scoperta di due giacimenti di gas di fronte alle coste di Gaza e la velleità israeliana di provare a sostituire la Russia nel mercato del gas come fornitore di materie prime all’Europa. Per Israele però questa “geoeconomia” si inserisce all’interno del colonialismo degli insediamenti, portato avanti fin dalla sua fondazione, che consiste nell’espellere il popolo palestinese dalla sua terra e, in ultima istanza, dal proprio mondo.
Secondo questa mia lettura, questa guerra geoeconomica che aleggia tanto su Gaza quanto sulla Cisgiordania, costituisce una guerra senza quartiere contro i mondi che popolano la Terra. Se per “mondo” intendiamo le asperità, il paesaggio, la rugosità che definisce la consistenza (il materiale) dell’esistenza in comune, Israele rappresenta invece il “globo”, ovvero la forza orientata all’appiattimento, l’orizzonte (non il paesaggio) e la superficie liscia (non rugosa). Gilles Deleuze e Elias Sanbar lo dicevano molto bene: il sionismo è un progetto orientato a produrre il vuoto.
Svuotare e distruggere completamente i mondi dei palestinesi a favore dell’imposizione del globo sionista che sospinge e alimenta il capitale. Svuotare la terra e trasformare in realtà la frase «una terra senza popolo per un popolo senza terra» coniata dal sionismo religioso del XIX° secolo. Noi già lo sappiamo che il capitale non è soltanto economia o, se vogliamo, che l’economia nell’era capitalista è un ordine sociale e storico, cioè un “globo” che per spiegarsi ha necessariamente bisogno della distruzione dei “mondi”. Tra il 1492 e il 2025, le diverse forme di sterminio hanno trasformato le rugosità del mondo in appiattimento di un globo.
In questo senso, ancora più radicale della ferocia di un genocidio definito come lo sterminio di un genos, di una popolazione singola, specifica, forse Gaza ci mostrerà un vero mondocidio, ovvero lo sterminio di esseri umani e non umani, esseri la cui singola esistenza compone il destino dei mondi.
Perché non si tratterebbe soltanto di “politicidio” (distruzione della politica e delle istituzioni), di “scuolicidio” (smantellamento della cultura e delle istituzioni educative), di “genocidio” (sterminio di un popolo) o di “ecocidio” (devastazione dell’ambiente), ma significherebbe che la nakba riguarderebbe tutto, in maniera integrale, e sarebbe la catastrofe del mondo.
Cancellazione di odori, memorie, desideri, olivi dati alle fiamme, stupri e sterminio delle donne, prigionia e sterminio di bambini, uccisioni quotidiane, espropriazioni di case, privazioni dei diritti, roghi sistematici di esseri umani e distruzione di un popolo privandolo degli aiuti umanitari e, per tanto, generando la fame come dispositivo tecnico e politico finalizzato allo sterminio di una popolazione: sono varie le diverse forme con le quali Israele diventa l’avanguardia del “globale”.
Dietro queste condizioni, Israele si identifica pienamente come strumento del capitale: così come individuato dalla stessa Francesca Albanese, esiste un complesso di grandi corporazioni che hanno visto aumentato il proprio capitale grazie alla perpretrazione dello sterminio a Gaza che indirizzano i propri sforzi verso la conquista dei mondi palestinesi per farli scomparire. Nella misura in cui Israele sostiene una politica del “globo”, la catastrofe palestinese (nakba) non deve essere considerata soltanto come una catastrofe “umana” se non “mondana” proprio perché in gioco c’è la cancellazione di ogni rugosità che impedisca al capitale di svilupparsi. Si tratta di pensare una concezione post-antropologica dello sterminio che sposti la centralità dell’”Uomo” così come offerta dalla tradizione umanista a favore della nozione di “mondo” per la quale esseri umani e non umani possano essere concepiti nella loro profonda interdipendenza.
In questo senso, il sionismo prevalente non si degna nemmeno di offrire una tomba per la Palestina. Una tomba conserva e mantiene un rilievo nel ricordo dei morti. La nakba, invece, è globalizzazione, ovvero la distruzione generalizzata dei mondi di modo che nessuno si ricordi della loro esistenza.
Che non ci sia un solo nome, una sola ricetta, un solo gesto che possa testimoniare che qui la nakba non ha smesso di esistere. Deve essere tutto normale. Ovviamente, questa sarà la nakba alla sua massima ferocia. In quanto mondicidio, la distruzione della Palestina è la distruzione della pluralità dei mondi e, proprio in questo senso, la distruzione ultima di qualsiasi etica possibile. Forse la Palestina ci insegnerà, giustamente, che la resistenza profonda consiste nel mantenere le asperità o fermare il tempo mostruoso dell’unificazione del mondo.
Luglio 2025
L’immagine di copertina è di Mayla Bottaro
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