MONDO

Gli atei di Mosca. Un racconto dalle montagne dell’oriente colombiano

Dei libri che superano la linea di fuoco e passano tra le mani di soldati e guerriglieri. Persone di condizioni sociali simili che attraverso la lettura possono guardarsi più da vicino

Julian ha trentuno anni, è stato professore di letteratura e storia in un liceo colombiano. Ha la barba lunga, i capelli scomposti, la voce grave e un sorriso beffardo stampato in faccia. Da quattro mesi ha lasciato l’insegnamento per cominciare un progetto nelle zone più remote della Colombia: le biblioteche itineranti. Julian percorre in moto e a piedi le montagne del Cauca, una regione dell’oriente colombiano, terre abitate dagli indigeni Nasa, zone di guerriglieri, paramilitari e narcotraffico. Il suo progetto è essere un bibliotecario ambulante lì dove non ci sono biblioteche, dove non ci sono attività culturali per nessuno e dove le scuole hanno solo i libri di testo. Julian attraversa in moto o a piedi le veredas e i corregimientos indigeni di questa regione, paesini di mille, massimo duemila abitanti dispersi sulle montagne, con uno zaino pieno di libri. Incontra la gente, presta libri a chiunque glieli chieda e organizza laboratori di lettura e narrazione per bambini indigeni, contadini e anziani.

Vado a incontrare Julian in una vereda di questa regione. Prendo un moto-taxi a Santander de Quilichao, una città del Pacifico colombiano segnata da decenni di violenza. Quando lascio la città e mi arrampico sulle strade sterrate, la città scompare e appaiono loro, i soldati. Sono in piccoli gruppi, camminano in fila, pattugliano le strade, cercano i guerriglieri. «Ma?» – chiedo all’autista della mia moto – «i guerriglieri non avevano lasciato le armi l’anno scorso, dopo la firma degli accordi di pace?». «No todos, huevon!» mi risponde l’autista scherzando, mentre entra deciso in una buca e io quasi mi ribalto per il peso dello zaino che porto sulle spalle. «I soldati danno la caccia alle ‘dissidenze’ delle FARC» – mi dice – «a quelli che ufficialmente hanno rifiutato gli accordi di pace». In realtà si tratta di gruppi che riuniscono criminali comuni, ex-guerriglieri e narcotrafficanti, relitti di un processo di pace che arranca, prodotti del vuoto lasciato dal ritiro delle FARC, mai colmato da una presenza dello Stato che non va oltre la militarizzazione.

Mentre percorre queste strade sterrate con la sua moto, Julian incontra spesso i soldati. Gli chiedo: «E i soldati? Anche a loro interessano i tuoi libri?». Mi risponde: «Qui in Colombia per entrare nell’esercito devi finire le scuole superiori, quindi quasi tutti i soldati sanno leggere e capiscono quasi tutto. Pattugliano il territorio, a volte stanno dieci ore di guardia davanti a un bananeto, non hanno nulla da fare. Molti leggono romanzi d’appendice che comprano in città, a poco prezzo». Quando vede un soldato che legge uno di questi libri, Julian lo rimprovera con feroce ironia: «Hermano, non leggere quella mierda sentimental, leggi questo, che è meglio!» e gli allunga un romanzo della grande letteratura latinoamericana. Poi sale sulla moto e riparte: «Me lo restituirai quando ripasso, leggilo, ma se lo perdi non ne avrai altri». E scompare costeggiando un campo di yuca.

Un paio di settimane dopo, Julian ripassa da quelle parti, incontra lo stesso soldato e gli dice: «Allora il mio libro l’hai solo portato come zavorra nello zaino o l’hai anche letto?». Il soldato risponde intimidito: «No profe! Yo lo leì, muy chévere [bello]…, no tiene otro?». Julian recupera il romanzo e stavolta gli passa un saggio di storia della Colombia nel Novecento e lo incoraggia: «Con il libro che hai appena finito sei già salito sopra la media di lettura dei colombiani, che è di mezzo libro all’anno. Sarà che ti fa bene stare qui a fare la guardia al bananeto?». Mentre lo intervisto Julian commenta: «I soldati stanno dieci ore a fare la guardia alle strade, è normale che si annoino e cerchino nella lettura un modo per passare il tempo».

A volte Julian incontra anche gli ufficiali dell’esercito, più colti, meno timidi con il profe. Alcuni di loro gli dicono: «Professore, siamo qui a cercare i guerriglieri, dobbiamo capire il nemico, sapere cosa legge, come pensa. Ci dia i testi su cui si formano i guerriglieri». E Julian gli rifila “Guerra per bande” di Che Guevara, i saggi sociologici di Camilo Torres o le memorie di Manuel Marulanda Vélez, uno dei fondatori delle FARC. Leggono e capiscono il nemico, ma non tanto come combatte, capiscono soprattutto perché combatte. Volevano capirlo per sconfiggerlo e scoprono che viene da situazioni che loro conoscono bene. Mentre un leader guerrigliero racconta dello sterminio dei suoi familiari durante il periodo di violenze rurali che prepararono la fondazione delle FARC, gli ufficiali riscoprono la stessa realtà senza legge che i loro genitori hanno vissuto, ma per un oscuro destino loro sono finiti a sparare dalla parte opposta rispetto all’autore del libro, senza sapere perché. Alcuni riconoscono la comune umanità del nemico, si specchiano nella carenza di opportunità che anche loro avevano quando sono entrati nell’esercito. Julian commenta: «Magari uno di quei soldati si riconosce un po’ nei prigionieri che cattura, magari ne ammazza uno di meno, magari capisce che quel libro parla di loro, soldati e guerriglieri, magari capiscono da dove è venuto tutto questo».

Poi Julian riparte, risale le strade sterrate, si inerpica sulle colline in mezzo alla selva lussureggiante. In cima a un sentiero li incontra. I guerriglieri. Hanno da poco lasciato le armi e iniziano un difficile ritorno alla vita civile. Vivono in alloggi temporanei costruiti dal governo sulle montagne, dove attendono di iniziare progetti agricoli. Gli chiedo: «Ma… e loro? Sanno leggere?». Mi risponde: «Molti di loro hanno imparato a leggere nelle FARC, erano contadini analfabeti prima, ora vogliono leggere di tutto». Con loro inizio coi libri più semplici, a volte anche storie per bambini, che leggono stentatamente, sillabando, ma ogni volta che passo recupero i libri e gli propongo testi sempre più complessi. A differenza dei soldati, loro mi chiedono sempre: «Cosa dice di noi la gente? Cosa pensano le persone della città di noi qui, sulle montagne, che abbiamo deposto le armi? Allora, in mezzo a testi più impegnativi, gli rifilo uno dei miei libri preferiti sulla guerriglia, una pubblicazione delle chiese pentecostali di Bogotá, distribuita gratuitamente davanti alle chiese: Contro gli atei di Mosca un pamphlet tascabile, grande come un breviario e gli dico: hermano, leggi qui cosa dicono di voi, laggiù in città, la domenica mattina!».

Leggono avidamente, e non possono credere che quel testo parli seriamente di loro. Quando ripasso un settimana dopo mi dicono: «Ma… tu ci stai prendendo in giro… al profe le gustan las bromas, davvero queste persone ci vedono così? Los ateos de Mos?». E si sorprendono di come li rappresentata quella gente che nelle città affolla le chiese la domenica mattina e che non è mai salita su quelle montagne per incontrarli, neppure ora che hanno deposto le armi. Il profe conferma serio: «loro vi vedono davvero così».

Anche i guerriglieri, come i soldati, si specchiano nel racconto dell’altro, incominciano a capire da dove viene quell’odio cieco di chi non li vuole conoscere e in loro non si vuole ri-conoscere. In quei contadini recentemente alfabetizzati scocca una scintilla di pensiero critico. Cominciano a capire la differenza tra realtà e rappresentazione mediatica, sentono come i discorsi ri-creano il mondo in cui vivono, soprattutto in questo paese assediato da poche narrative egemoni, prigioniero di un’asfissiante amnesia delle condizioni sociali che alimentano il conflitto.

Julian percorre le strade sterrate del Cauca, presta libri a bambini, indigeni, anziani. E ai combattenti di entrambe le parti. I suoi libri diventano specchi in cui incontrare l’altro e ri-conoscersi in lui. Mentre per un destino beffardo mi spara e io gli sparo. In quelle righe leggo cosa dice lui di me, come mi vede, siamo entrambi prigionieri di una stessa malìa, quella di un nemico troppo somigliante per decidere di incontrarlo davvero, col rischio di riconoscersi in lui, di scoprirsi, infine, uguali.

Il guerrigliero legge come la gente delle città lo vede, il soldato riconosce nei testi della guerriglia le stesse condizioni sociali in cui è cresciuto. Io mi specchio in lui, lui si riconosce in me, i nostri visi si confondono, io avrei potuto essere lui, lui me, perché io non sono lui? Domande che nascono nella mente di un soldato, mentre monta la guardia a un immobile campo di yuca.

Sul bordo di un campo un soldato ventenne divora un romanzo che un mese prima ha letto un guerrigliero che si preparava a lasciare le armi, qualche chilometro più in su, nascosto nella selva. Quella carta assorbe il sudore di dita nemiche, occhi avversari percorrono le sue lettere, quel libro suscita pensieri, emozioni e ricordi che si intrecciano ai due lati di quel fronte invisibile, liquido e cangiante che è la guerra sulle montagne dell’oriente colombiano.

Un soldato legge, ritto sui bordi di un campo di yuca, lo difende dagli atei venuti dal freddo. Un chilometro più in là, protetto dalla boscaglia, un contadino divenuto guerrigliero legge fiabe per bambini e il pamphlet dei pentecostali e si domanda quale dei due sia il prodotto della più fervida immaginazione, quale il più lontano dalla sua realtà. Il guerrigliero rilegge le frasi tre volte e si stupisce, lui, l’ateo di Mosca, improbabile bolscevico emerso dalle foglie dei banani. Ride coi compagni d’armi increduli, lui che voleva solo un pezzo di quella terra negata, per piantarci caffè e platanos.

Julian, l’uomo che tesse le vie dell’empatia, del riconoscimento. Colui che presta specchi di carta a guerrieri avidi di incontrare le parole dell’altro. Julian, che accompagna il percorso sinuoso di uno sguardo che decifra quei segni neri su un foglio. Una mano regge quel blocco di carta intriso del sudore di un altro lettore, che spara dalla parte opposta alla sua.

E Julian riprende la strada, con la sua moto e il suo zaino pieno di libri, intrisi di dubbi, passioni e pensieri, nati ai due lati di quella trincea. Julian, l’uomo che presta libri ai guerrieri.

 

Dopo aver lavorato per l’ONU e per l’UNICEF, Angelo Miramonti decide di dare un contributo più diretto alle popolazioni colpite da conflitti. Così insieme al suo amico Hector Aristizabal, conduttore teatrale colombiano, vittima di tortura e il cui fratello è stato ucciso dai paramilitari, decide di sviluppare delle tecniche di teatro specifiche per accompagnare ex combattenti e comunità colpite da conflitti armati in un processo di riconciliazione. Il suo obiettivo è creare una scuola di teatro per la formazione della pace da esportare in tutto il mondo.