approfondimenti

MONDO

Dall’America Latina governi e movimenti sociali solidali con la Palestina: fermiamo il genocidio

I governi di Bolivia, Cuba, Colombia e Cile, movimenti femministi, indigeni e popolari: la solidarietà con il popolo palestinese va di pari passo con la denuncia del colonialismo e degli interessi militari israeliani, dalle dittature fino ad oggi, nel continente

Nelle scorse settimane sono state diverse le importanti prese di posizione di vari governi latinoamericani rispetto alla guerra a Gaza, dopo che, a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, ed in continuità con la politica di espansionismo sionista degli ultimi decenni, Israele ha lanciato con una nuova operazione militare genocida contro la Striscia di Gaza. L’intensificazione dei bombardamenti su Gaza ha provocato, in appena un mese e mezzo, oltre 15mila morti, di cui oltre 5mila bambini, con la devastazione delle aree abitate, degli ospedali, delle reti di infrastrutture nelle città e dei campi profughi a Gaza City, nelle aree urbane e rurali della Striscia di Gaza, a cui ha seguito anche una significativa intensificazione della violenza in Cisgiordania e nei Territori Occupati.

Il presidente boliviano Arce, del Movimento al Socialismo, ha interrotto le relazioni diplomatiche richiamando l’ambasciatore in Israele e denunciando il genocidio portato avanti dal governo Netanyahu a Gaza, mente l’ex presidente Evo Morales ha chiesto di dichiarare Israele come “Stato terrorista”.

Condanne anche dal Venezuela e da Cuba, con il presidente cubano che ha espresso solidarietà per le vittime israeliane e palestinesi, dichiarando inaccettabile la solidarietà selettiva ed ipocrita del mondo occidentale, denunciando le politiche di decenni di occupazione militare portate avanti dallo Stato di Israele in Palestina. Condanne anche dal Messico, Honduras e dal Brasile, con Lula che ha condannato tutte le violenze e ha preso posizione all’ONU per chiedere un cessate il fuoco.

Negli stessi giorni, ancora nel mese di ottobre, il presidente cileno Gabriel Boric ha annunciato il ritiro dell’ambasciatore da Tel Aviv, e dopo aver condannato gli attacchi di Hamas ha annunciato che “nulla giustifica la barbarie dell’attacco a Gaza”, mentre a Santiago e in altre città cilene sono state molto grandi le mobilitazioni sociali, anche in relazione alla presenza della più grande comunità palestinese della diaspora di tutta l’America Latina. Intanto, in Argentina il presidente uscente Alberto Fernandez, nel paese con la presenza della comunità della diaspora ebraica più importante dell’America Latina, ha mandato la solidarietà immediata per le vittime israeliane e condannato gli attacchi di Hamas, per poi segnalare come gli attacchi di Israele stiano violando il diritto internazionale. Poco dopo, la drammatica vittoria elettorale dell’estrema destra in Argentina, con il ballottaggio dello scorso 19 novembre, ha portato al prossimo governo del paese Javier Milei, che assumerà l’incarico il prossimo 10 dicembre con il sostegno dell’ex presidente Mauricio Macri (quello del debito a 100 anni con il Fondo Monetario Internazionale) e l’ex ministra Patricia Bullrich (prossima ministra della Sicurezza, dopo aver ricoperto lo stesso incarico con il governo Macri, durante le operazioni repressive che portarono alla desaparicion e alla morte di Santiago Maldonado).

Javier Milei ha annunciato che il suo primo viaggio istituzionale sarà diretto in Israele e negli Stati Uniti, e che sposterà l’ambasciata argentina da Tel Aviv a Gerusalemme, con tanto di ringraziamenti pubblici di Netanyahu, impegnato nella ripresa dei bombardamenti contro la popolazione di Gaza dopo la fragile tregua con scambio di ostaggi della scorsa settimana.

Intanto, lo stesso Milei ha nominato come Procuratore del Tesoro un ex neonazista responsabile di assalti alle sinagoghe, evidentemente sostegno ad Israele e militanza neonazista non rappresenta una contraddizione per il nuovo governo argentino (seppure vi sono state significative critiche della comunità ebraica argentina per questo motivo).

Petro denuncia le responsabilità di Israele nel genocidio in Palestina e in Colombia

Spostandoci verso il nord della regione sudamericana, arriviamo in Colombia, il paese con i maggiori rapporti militari con Israele, strutturati in modo organizzato a partire dalla fondazione del Gruppo Bilaterale di Lavoro e Dialogo Politico-Militare firmato nel 2003, durante i governi di estrema destra di Alvaro Uribe Velez (presidente dal 2002 al 2010), ma che di fatto risalgono ai decenni precedenti. Come segnala Colombia Informa, ricostruendo in una inchiesta le relazioni militari tra i due paesi, il ruolo delle forze militari israeliane è stato decisivo nella formazione dell’esercito e dei paramilitari colombiani, tra i principali autori di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani al mondo negli ultimi decenni. Proprio il presidente colombiano Gustavo Petro, primo presidente di sinistra della storia del paese, si è reso protagonista di una forte presa di posizione che ha portato ad uno scontro politico e diplomatico. Non solo ha richiamato l’ambasciatore presso Israele, dopo aver denunciato il genocidio di Gaza e i crimini contro l’umanità dello Stato di Israele, ma ha anche annunciato l’apertura di una sede diplomatica colombiana in Palestina, contemporaneamente all’invio di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza.

Gustavo Petro ha anche denunciato gli interessi e le responsabilità di Israele nel genocidio politico colombiano contro l’Unione Patriottica negli anni ottanta, un partito politico di sinistra decimato dal paramilitarismo, e dei massacri contro i leader sociali contadini, afro, indigeni e dei movimenti femministi, così come gli attivisti in difesa dell’ambiente colpiti senza sosta dai paramilitari negli ultimi due decenni.

Ha anche dichiarato pubblicamente nomi e cognomi di militari israeliani che si sono occupati negli ultimi decenni di formare in tecniche militari e di tortura l’esercito e i paramilitari colombiani, di fornire armi e sostegno alle formazioni che hanno portato avanti massacri e crimini contro l’umanità in America Latina, incluse le forze repressive, legali ed illegali, della dittature degli anni settanta e ottanta nel continente (fin dal 1983 gruppi paramilitari colombiani furono istruiti militarmente in Israele, come ricostruito dal giornalista statunitense Jeremy Bigwood).

La sua presa di posizione ha scatenato le polemiche nel proprio paese, con l’opposizione di destra e il potere mediatico concentrato che hanno attaccato il presidente accusandolo di antisemitismo, come ormai succede ovunque in modo improprio e strumentale per cercare di stigmatizzare ogni critica nei confronti della politica coloniale e di apartheid di Israele. Gustavo Petro ha dichiarato pubblicamente che “bombardare bambini innocenti è terrorismo di Stato, che sia in Israele o in Colombia”, riferendosi alle vicende del precedente governo Duque e dello scandalo dei bombardamenti contro minori di età che erano stati assoldati da un gruppo guerrigliero nella selva colombiana (che costò il posto all’allora ministro della Difesa).

Come risposta alle proteste israeliane dopo le sue dichiarazioni, con la minaccia da parte di Tel Aviv di sospendere le relazioni commerciali, Petro ha annunciato: “se dovremo sospendere le relazioni commerciali e politiche con Israele lo faremo, il governo della Colombia non accetta né sostiene chi commette genocidi”.

Non si tratterebbe solo di commercio di armi e macchinari per la sicurezza che Israele esporta nel paese sudamericano, ma anche delle importanti importazioni di carbone, caffè e altri beni che provengono dalla Colombia. Petro ha infine proposto una conferenza internazionale di Pace, rivendicando che tutti i popoli hanno il diritto di vivere in pace, incontrando sia l’ambasciatore israeliano che quello palestinese a Bogotà, e sostenendo che farà tutti gli sforzi possibili per una giusta pace. Inoltre, ha annunciato pochi giorni fa che il governo colombiano sosterrà davanti alla Corte Penale Internazionale l’accusa di crimini di guerra contro Netanyahu, annunciando che i legali del governo sono già al lavoro il collaborazione con l’Algeria, che ha presentato la denuncia per prima.

Movimenti sociali e manifestazioni

Manifestazioni popolari si sono tenute in diverse città, a Bogotà, sia nelle piazze centrali che davanti all’ambasciata palestinese a più riprese, a Santiago del Cile, Lima e Sao Paulo, Buenos Aires e Quito, durante questo mese e mezzo di bombardamenti e crimini contro l’umanità portati avanti da Israele nella Striscia di Gaza. Presidi, striscioni, cortei, manifestazioni, concerti: la presa di parola online e nelle piazze, da parte di movimenti sociali e partiti, reti femministe e popolari, artisti e artiste, hanno contribuito ad un movimento globale di solidarietà con la Palestina, fino alle giornate di mobilitazione internazionale contro la violenza di genere del 25 novembre che sono diventate giornate espressamente solidali con la Palestina. Diversi movimenti, organizzazioni e reti femministe territoriali e transnazionali dall’America Latina sono impegnate in queste settimane nel chiedere il cessate il fuoco e denunciare l’esplosione di violenza con l’escalation degli ultimi mesi sia a Gaza che in Cisgiordania, l’attacco di Hamas e l’apartheid israeliano.

L’appello della rete Acción Global Feminista por Palestina, una rete femminista che coinvolge centinaia di attiviste femministe di diverse organizzazioni, territori e paesi dell’America Latina, è arrivato pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti a Gaza, annunciando un avvicinamento al 25 novembre nel segno della solidarietà con il popolo palestinese sotto i bombardamenti di Israele.

Dopo il primo appello, è stato organizzato un evento online dove è stato lanciato il Manifesto Femminista per la Palestina, a cura delle rete, con una iniziativa pubblica che ha visto la partecipazione di attiviste palestinesi, curde e iraniane per tessere dibattiti, relazioni e solidarietà tra i femminismi latinoamericani, indigeni, popolari e le lotte femministe e anticoloniali del Medio Oriente. “Senza mettere in dubbio la crudeltà degli attacchi di Hamas, la rete denuncia il piano sistematico di genocidio portato avanti dallo Stato di Israele contro la Palestina sia a Gaza che in Cisgiordania”, dicono le attiviste in una intervista al giornale argentino Pagina 12. Partecipano attiviste indigene e colombiane, diverse reti femministe popolari di molti paesi, presenti nei territori rurali e urbani della regione, della Coordinadora 8M dal Chile fino ai movimenti No Una Menos, dalle organizzaioni studentesche e sindacali fino alle attiviste curde presenti in diverse città dell’America Latina.

L’appello insiste sul fatto che “la Palestina sta subendo un genocidio senza precedenti per mano dello Stato sionista di Israele, con la complicità del Nord Globale, in particolare gli Stati Uniti e le potenze europee. Le vittime principali sono donne, bambine e bambini palestinesi”, e che “la politica sionista di colonizzazione e espansione travalica i confini della Palestina, minacciando i territori di Abya Yala tramite l’ingente vendita di armi usate contro l3 manifestant3 in tutta l’America Latina e tramite lo stabilimento di aziende, come ad esempio Mekroot, che distruggono i nostri ecosistemi e ci espropriano delle nostre terre. Non rimarremo in silenzio mentre la vita viene distrutta davanti ai nostri occhi: la lotta femminista del Sud Globale si alza per difenderla e per combattere tutte le forme di oppressione”.

Nelle conclusioni, chiedono “ai popoli del mondo di promuovere nei loro territori la richiesta di un cessate il fuoco immediato a Gaza e che si oppongano a ogni violenza in tutto il territorio palestinese. Inoltre, contro ogni complicità in questo genocidio, chiediamo agli stati di rompere le relazioni diplomatiche, commerciali e militari con Israele. Di portare Benjamin Netanyahu e i suoi complici davanti alla Corte penale internazionale per i crimini contro l’umanità commessi contro il popolo palestinese. E chiediamo un’azione concreta e persistente da parte dei nostri governi e dei vari organismi internazionali per fermare questo genocidio e avviare un processo di smantellamento del regime di apartheid che si sta portando avanti in tutta la Palestina.”.

Intanto in Argentina il MTE, Movimento dei lavoratori/trici Esclusi/e, una organizzazione del Sindacato UTEP dell’economia popolare, ha annunciato l’invio a Gaza di un container di 10 tonnellate di prodotti alimentari inviato dalle cooperative argentine in solidarietà con il popolo palestinese. Anche dalla Colombia, il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, la più importante organizzazione indigena colombiana, nella zona sud occidentale del paese, ha preso parola con un comunicato in cui sostiene le posizioni del presidente Petro e chiede invio di aiuti umanitari e cessate il fuoco.

Un mese dopo, il 1 dicembre, in un nuovo comunicato,  i popoli indigeni del Cauca affermano che “con la narrazione della sicurezza nazionale e del diritto alla difesa, lo Stato di Israele ha implementato una feroce occupazione, reprimendo sistematicamente e discriminando i popoli indigeni palestinesi. Oggi lo Stato di Israele è accusato, da parte delle stesse organizzazioni per i diritti umani israeliane, di essere come il Sudafrica fino ad alcuni decenni fa: uno Stato di apartheid.”

Continuano inoltre sostenendo che “la lotta e la resistenza del popolo palestinese è la lotta di tutti i popoli originari e indigeni a livello globale, popoli che per secoli hanno sofferto il colonialismo e lo sterminio. Come popoli indigeni ci sentiamo totalmente identificati con la sofferenze del popolo palestinese, perché ci ricorda il genocidio che noi stessi abbiamo vissuto a partire dall’invasione del 1492. Per questo reiteriamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese e denunciamo l’azione terrorista dello Stato di Israele e dei suoi alleati”.

Di fronte a uno scenario da regime di guerra sempre più esteso, che si articola e colpisce i corpi-territori a livello globale, la solidarietà internazionale, e la capacità di mettere al centro la pressione politica per fermare il massacro di Gaza, e per creare soluzioni politiche pacifiche contro colonialismo, autoritarismo e fondamentalismi (neoliberisti, sionisti o islamici), sono aspetti centrali della prospettiva di costruzione di pace con giustizia sociale, questioni che in diversi paesi dell’America Latina stanno affrontando e che oggi, in maniera ancora più urgente e drammatica, diventa questione globale urgente e necessaria di fronte alle molteplici crisi che stiamo vivendo.

Immagine di copertina di Alioscia Castronovo, corteo del 25 novembre a Bogotà, Colombia.