ROMA

Dopo il turismo, riabitare Roma

La crisi può essere l’occasione per tornare ad abitare la città turistica, rispondere all’emergenza affitti e avviare politiche pubbliche strutturali sull’abitare. A patto che si smetta di vendere il patrimonio pubblico.

«Raccontano che non ci sono residenti, ma non è vero», dice Irene Berlingò, abitante di Trastevere, uno dei rioni più turistici di Roma. Una grande percentuale delle case di Trastevere era finita su Airbnb ma i residenti, per fortuna, non sono scomparsi del tutto. Per loro, tuttavia, il confinamento è stato più duro che altrove. «Solo un alimentari è rimasto aperto, insieme ai bangla. I forni hanno chiuso tutti tranne uno, il tabaccaio non aveva più sigarette e neanche i francobolli si trovavano più. I pochi negozi rimasti aperti non si sono riforniti per la paura di non vendere, tutti hanno ridotto l’apertura a poche ore, ben al di sotto del consentito, anche perché hanno licenziato tutti i lavoratori, molti erano in nero. Gli unici posti dove fare la spesa, con file estenuanti, erano i supermercati. Gli altri hanno deciso che non conveniva stare aperti senza turisti».

Alcune delle 20mila case che fino a due mesi fa erano affittate a Roma su Airbnb sono già comparse sui portali delle agenzie immobiliari. Asciugamani arrotolati sui letti, tavole apparecchiate per la colazione, pareti bianche, quadri fucsia: non si erano mai visti tanti annunci per interni luminosi e arredati con cura. Attendono solo di essere abitati. Questa pandemia può essere l’occasione per tornare ad abitare la città turistica. Ma se un terzo delle famiglie in affitto a Roma già oggi non riesce a pagare il canone, chi abiterà le case vuote del centro?

 

Case popolari a Testaccio

 

Dopo un lungo silenzio sul tema degli affitti a inizio aprile il governo ha stanziato 140 milioni di euro per il fondo affitti. Si tratta di poco più di quanto promesso, dallo stesso ministero, per il bonus per l’acquisto di bicilette e monopattini. I sindacati della casa avevano chiesto uno stanziamento di almeno 300 milioni. Intanto promuovono la rinegoziazione dei canoni sul mercato privato, la soluzione più pratica nell’immediato per tamponare l’emergenza.

«Prima dell’emergenza, a febbraio 2020, erano arrivate 10mila domande per il contributo all’affitto» sostiene Massimo Pasquini di Unione Inquilini. I fondi per l’affitto, che in alcuni anni recenti non erano stati neanche stanziati, arrivano di solito a coprire la metà delle richieste. I tempi di erogazione del contributo subivano ritardi di due-tre anni sin dai tempi di Veltroni, scrive il SUNIA. Questa era la normalità.

A inizio aprile la Regione Lazio ha stanziato 43 milioni di euro per un contributo affitto straordinario – di cui 22 andranno alla Capitale, sommandosi a 21 milioni di euro già stanziati –  ampliato da poco con un ulteriore stanziamento di 13 milioni. L’erogazione spetta ai Comuni. Il 27 aprile il Comune di Roma ha aperto un nuovo bando per coprire – in teoria – fino al 40% del costo dell’affitto, per soli tre mesi, per coloro il cui reddito non supera i 28mila euro. La scadenza per la presentazione delle domande è fissata al 18 maggio. Il 6 maggio erano arrivate oltre 30mila domande e, secondo le previsioni del Comune stesso, le richieste totali saranno almeno il doppio. «Per il bando di febbraio i soldi arriveranno a fine anno, per quello attuale non prima di agosto –commenta Pasquini – Questo significa morosità sicure e pochi soldi per tamponare la situazione da marzo a dicembre. Sarà una catastrofe». A conti fatti, oltre un terzo delle 160mila famiglie che abitano in affitto a Roma non riuscirà a pagare il canone, ma secondo Pasquini sono oltre 220mila famiglie romane che hanno richiesto buoni spesa e contributi all’affitto.

«Una nuova stagione di sfratti è prevedibile, anzi forse già decretata» scrive il SUNIA di Roma che denuncia l’assunzione di un nuovo protocollo per lo svolgimento delle udienze civili di sfratto. Gli sfratti sono bloccati fino al 1 settembre ma, quando la macchina burocratica ripartirà, «c’è il rischio che riprenda a funzionare a senso unico, e cioè solo a favore dei locatori», perché «le disposizioni normative in vigore non prevedono alcuna sospensione dei pagamenti» si legge nel comunicato. Intanto i nuovi poveri in Italia sono già incrementati del 105% secondo la Caritas Italiana, i cui centri e servizi hanno registrato il raddoppio degli utenti dall’inizio del confinamento.

 

Case popolari a Testaccio

 

A Roma migliaia di persone in questi mesi tirano avanti grazie alle raccolte e alle distribuzioni di aiuti organizzate da associazioni e spazi sociali. «A Spinaceto, Tor Bella Monaca, Primavalle, Aurelio, al Tufello, al Quarticciolo, a San Basilio… le azioni di solidarietà sono davvero tante. Dopo essere partite con lo scopo di portare cibo e medicinali per chi non poteva uscire, si sono trasformate rapidamente in raccolta di cibo per chi non poteva comprarlo – racconta Rossella Marchini, che sta documentando per DinamoPress le iniziative solidali – In alcuni quartieri sono più le famiglie che chiedono aiuto di quelle che riescono a fornirlo, e le scorte non bastano. Così le realtà solidali di altri quartieri hanno inviato frutta e verdura che loro avevano in abbondanza. La solidarietà ha generato altra solidarietà, sono nati dei condomini solidali, sportelli psicologici, legali, ognuno contribuisce come può. Ma è impensabile continuare così». La solidarietà non basta, e sono già tre le azioni simboliche di protesta organizzate nelle periferie per chiedere un intervento pubblico immediato contro la povertà che avanza. In Italia, come negli Stati Uniti, molti inquilini colpiti dalla crisi stanno organizzando uno sciopero degli affitti.

Senza l’ombra di politiche pubbliche strutturali sarà dunque molto difficile non solo tornare ad abitare i centri storici turistificati ma, per molti, restare nella propria casa. Manca una visione di fondo per le politiche dell’abitare, ridotte a provvedimenti privi di coerenza. Comune e Regione da una parte finanziano sussidi all’affitto inefficaci per le modalità di erogazione, dall’altra continuano a vendere le case.

 

“Le case bianche” di Testaccio

 

Nel cuore di Testaccio un appartamento di tre vani con ascensore ha una base d’asta di 138mila euro. Considerando i prezzi al metro quadro nel centro di Roma, si tratta di una cifra irrisoria. L’Ater, l’ente gestore dell’edilizia pubblica della Regione Lazio, sta vendendo le case. Il rione, costruito a inizio Novecento sulla sponda est del fiume che lo separa da Trastevere, è il primo quartiere di case popolari della capitale, realizzate nel 1907 dal Sindaco Ernesto Nathan. Gli edifici, molti in mattoncini rossi, non hanno mai avuto bisogno di lavori di manutenzione. Oggi sono meno di 500 le case popolari rimaste. Le prossime aste sono previste per metà giugno.

«Pensare che io sto ancora pagando il mutuo» borbotta l’impiegato dell’agenzia immobiliare mentre mostra una casa a una coppia di potenziali acquirenti. L’appartamento, un quinto piano senza ascensore, è in un complesso detto “le case bianche”. Qui gli appartamenti sono stati venduti anni fa dall’Ater agli inquilini per 40mila euro. Trascorso il tempo necessario per legge, alcuni le rivendono. L’appartamento al quinto piano è in vendita per 350mila euro. Fino a poco tempo fa nello stesso edificio c’era una casa-vacanze pubblicizzata su Airbnb.

Si stima che siano circa 4mila le case Ater messe in vendita nelle zone centrali e semicentrali di Roma con una delibera della Regione Lazio l’anno scorso. E quelle ancora da vendere, di proprietà del Comune e della Regione, secondo la legge nazionale 530/93 che stabiliva l’alienazione fino al 75% del patrimonio pubblico, sarebbero oltre 20mila. Infine, su 56mila case degli enti previdenziali, solo 6mila sono scampate, a oggi, ai piani di dismissione.

Qualche anno fa il Comune di Roma indisse due aste per la vendita di parte del patrimonio disponibile. La seconda asta, in cui erano inclusi appartamenti di pregio nel centro storico, andò praticamente deserta, con un solo lotto aggiudicato, a Ciampino. Il Comune spese più soldi per organizzare l’asta di quanti ne incassò.

 

Parcheggio per biciclette, case popolari a Testaccio

 

La metà dei romani che abitavano in affitto nel 2011 risiedeva in alloggi pubblici. La vendita di una parte considerevole di questo patrimonio ha contribuito, al pari dell’emergere di Airbnb, a stravolgere e gentrificare il tessuto sociale ed economico del centro di Roma, a fronte di benefici davvero effimeri per le casse degli enti pubblici.

Puntualmente, pochi giorni fa, è arrivato l’annuncio del governo per un nuovo piano di dismissioni del patrimonio. Ma Roma è già piena di immobili ceduti a Cassa Depositi e Prestiti per la vendita, ancora sul mercato, vuoti. Il mercato immobiliare romano era già in crisi prima di questa pandemia, con cali dei valori immobili fino al 35% in alcune aree centrali. Ora i canoni e i valori scenderanno ancora. Da una parte, il crollo del mercato rappresenta un’occasione unica per ripopolare la città turistificata, rispondere all’emergenza abitativa, e avviare politiche pubbliche strutturali. Le proposte non mancano. D’altra parte, se questa occasione non fosse colta e si procedesse sulla strada della vendita del patrimonio, l’ulteriore massiccia immissione di immobili sul mercato potrebbe deprimere ulteriormente i valori immobiliari. Il nostro patrimonio, insomma, rischia di essere ceduto a prezzi stracciati. E i costi, in termini sociali, saranno altissimi. Un piano per tornare ad abitare Roma deve iniziare, necessariamente, interrompendo la svendita delle sue case.

 

Foto di Enrico Puccini