ROMA

Quando siamo stati tutti insieme l’ultima volta? Solidarietà al Tufello

Spesa a domicilio ma non solo. Volontari e volontarie delle realtà sociali nel territorio del III municipio di Roma hanno dato vita anche a sportelli per precari, disoccupati e partite Iva e servizi di consulenza psicologica.

L’ultima volta che siamo stati tutti insieme? Il 22 febbraio 2020. Solo che non eravamo solo ‘noi’, eravamo insieme a migliaia di persone che hanno sfilato per le strade di Tufello e Montesacro nel giorno dell’anniversario dell’omicidio di Valerio Verbano. Una imponente manifestazione antifascista terminata con un concerto in piazza andato avanti per quattro ore.

Dopo ci siamo trovati, come tutti, abbastanza all’improvviso separati, distanziati, “disassembrati”. E allora ci siamo chiesti cosa potevamo fare oltre a continuare a fare il cinema di ogni giovedì in streaming e organizzare i corsi d’italiano della scuola di Puzzle per migranti online? Facciamo la spesa a domicilio no? Presto fatto, raccogliamo le disponibilità dei volontari e poi diamo una mano a chi rischia di più ad uscire di casa. Come ci chiamiamo? “Terzo a domicilio”, suona buone. Chi siamo? Una “rete per la solidarietà” nata dall’idea di aprire un punto di distribuzione alimentare dell’associazione Nonna Roma al Csa Astra del Tufello, e presto allargatasi alle altre realtà sociali del territorio: Brancaleone, Lab! Puzzle e Grande Come una Città.

 

Ma poi, materialmente, mentre giorno dopo giorno ci confrontavamo con volontari e cittadini, ci siamo interrogati su cosa altro potesse servire in quella che da un’emergenza sanitaria era diventata un’emergenza sociale.

 

Così alla spesa a domicilio abbiamo affiancato un servizio di consulenza per precari, disoccupati e partite Iva, e uno sportello di consulenza psicologica telefonico. Senza la possibilità di manifestare, di scendere in piazza, di aprire i nostri spazi per fare assemblee e incontri, abbiamo dovuto reinventare in fretta e furia come agire sul territorio. La lezione del mutualismo in questi anni di sportelli, scuole popolari, servizi dal basso l’abbiamo imparata bene, così abbiamo usato le nozioni apprese per affrontare la situazione generata dalla pandemia, sostituendoci o rafforzando l’intervento istituzionale.

 

 

Come sempre siamo partiti da quello che avevamo vicino, dalla condizione materiale dei nostri vicini di casa. Così alle prime richieste di aiuto alimentare, ormai due mesi fa, abbiamo deciso di cominciare con la distribuzione di aiuti alimentari, attivando meccanismi di raccolta e distribuzione. Un lavoro di inchiesta e di solidarietà dentro questa crisi che ci ha permesso di toccare con mano le mancanze e i ritardi delle risposte istituzionale. In questi due mesi abbiamo sostenuto circa 70 persone malate, anziane o immunodepresse, fornito decine di consulenze telefoniche di orientamento e distribuito aiuti alimentari a circa 300 famiglie.

Abbiamo intercettato non solo le povertà già presenti nel territorio del Tufello che, come racconta il libro le Mappe delle Disuguaglianze, è una delle zone dove povertà materiale ed educativa si sovrappongono in una borgata di case popolari che ormai fa parte della città consolidata. Un territorio dove le realtà di base e sociali sono molto radicate e dove hanno costruito un intervento diffuso e capillare in questi anni, ma su tutto il territorio municipale. Oltre ad una povertà storica, abbiamo tentato di organizzare e trovare una risposta immediata ai bisogni delle nuove povertà nate dentro questa crisi. C’è soprattutto quello che abbiamo chiamato il “popolo della mezza piotta”, uomini e donne che lavoravano tra economia formale e informale, lavoro nero e a giornata, senza nessuna garanzia né capacità di risparmio che hanno visto improvvisamente visto cadere le loro condizioni materiali di vita, ad avere fame. Facchini e pittori a giornata, impiegati a nero nelle pulizie e nell’assistenza domiciliare, nella ristorazione e così via.

 

Cosa succederà adesso che l’effetto delle misure una tantum terminerà? Dopo un periodo di tregua c’è il rischio concreto che le reti solidali attivate dal basso saranno l’unica risposta concreta.

 

Dobbiamo essere pronti e dobbiamo essere all’altezza della sfida. Movimenti e realtà sociali sapranno costruire un programma su cambiamenti climatici e sanità pubblica, welfare universale e nuovi diritti di cittadinanza, che sia in grado di far pagare la crisi a chi ha di più e non agli ultimi? Come reindirizzare la produzione per soddisfare i bisogno sociali di tutti e non il profitto di pochi? Segnare una battuta d’arresto alle politiche neoliberali è tutt’altro che scontato ma è una possibilità. E la prima cosa da fare per renderlo possibile è ricucire le relazioni tra gli ultimi e i penultimi, impedire che la povertà e la precarietà siano percepiti come una colpa frutto di un fallimento individuale, disvelando lo sfruttamento a cui siamo sottoposti e la potente macchina ideologica neoliberale. Il lavoro sociale che stiamo svolgendo in questi mesi, sia nell’attivazione di nuove soggettività coinvolte nelle azioni di volontariato che nella mappatura di bisogni materiali, serve esattamente a questo.

Ricomporre, tessere, costruire un’alleanza. Un lavoro ambizioso e difficile, fatto fino a oggi delle fatica di un’organizzazione quotidiana svolta senza risorse se non quelle arrivate dalle donazioni. Per farlo non servirà a niente seguire strade rassicuranti e già battute, ma dovremo tracciare sentieri nuovi, uscire anche dalla nostra comfort zone di noi attivisti. Non sappiamo quando saremo di nuovo tutti insieme. Quel che è certo è che saremo diversi e molti di più.

Tutte le foto dalla pagina Facebook di Csa Astra