ROMA

Centocelle, the indolence

Oggi sotto attacco e militarizzato, il quartiere di Roma Est ha una lunga storia di periferia romana. Il primo di una serie di racconti dalla fine degli anni ’70 e lungo gli anni ’80. In giro per le strade e le piazze, tra politica, assalti ai fascisti, vivacità culturale, disimpegno, eroina

Una peculiarità di Centocelle sono due: l’indolenza che, mista a un sincero e costante attivismo e presenza, produce quello strano tipo di svagatezza, quella specie di fatalismo che nelle difficoltà aiuta a tenere i piedi per terra. Insieme a questo, anche quel po’ di cialtroneria che non guasta mai. L’altro è la grande vivacità culturale, prodotto probabilmente del suo passato storico. Proprio qui infatti, in questo quartiere popolare abitato da un ceto medio-basso (ma con grande dignità) sono avvenute battaglie politiche di grande spessore: dalla “libera Repubblica di Centocelle”, quando nel ’45 per una quarantina di giorni dopo la cacciata dei nazifascisti e in attesa dei collegamenti col Cnl, provò una sorta di “autogestione”, alla cacciata a furor di popolo del missino Giulio Caradonna da piazza dei Mirti (1969).

Vale la pena ricordare come la sezione del Msi di via delle Ninfee non riuscisse a scampare al fuoco in media per più di due giorni. Piena di sezioni politiche, dal Pci al Psi (c’era anche quella della Dc, una specie di dopolavoro per pensionati) giù giù fino a Potere Operaio (quella che, come è noto, diventò poi Comitato Comunista Centocelle o Co.Co.Ce.) alle piazze di incontro e di “bazzico” dei giovani più alternativi come piazza dei Gerani, dove dagli anni ’80 si erano trasferiti anche quelli del famoso “sottoscòla”, quello scalino esterno del liceo Francesco d’Assisi che fu luogo di pionieri di “ricercatori dello sballo creativo” per eccellenza, la “Campo de’ Fiori del quadrante sud est”.

Quando arrivò l’eroina, anni dopo, il “treppio” si formò principalmente nei bar. La cui toponomastica quasi mai corrispondeva a quella delle loro insegne: a via delle Giunchiglie, ad esempio, c’era il “bar dei Sorci”, a via dei Glicini c’era un curiosissimo “bar della Lesbica” («sarà lei?» si saranno chiesti in silenzio e un po’ morbosi, i tanti avventori davanti alla cassiera del bar di turno, nonostante i tanti cambi di gestione del bar: il nomignolo gli è rimasto appiccicato ancora oggi). O il temutissimo “bar della Cifra”, un po’ più verso Villa Gordiani, di cui si diceva a bassa voce che era frequentato dalla mala pesante. In tutto questo va ricordato che a Centocelle, quartiere all’epoca ancora più periferico di oggi, c’erano ben cinque scuole medie superiori (oltre ovviamente alle medie inferiori ed elementari): un liceo classico, uno scientifico, un Istituto per geometri e un altro per ragioneria.

Poco distante, un Istituto Tecnico. L’eroina, verso la fine degli anni ’70 e lungo tutti gli anni ’80, diventò un segno costante del quartiere e un elemento di trasformazione. Con la riforma della legge sanitaria, si aprirono i primi SerT (che allora si chiamavano Sat) e uno fu proprio a piazza dei Mirti, il quadrante principale del commercio con la vicina via dei Castani (si diceva allora che era più conveniente fare shopping a via del Corso che a via dei Castani). La piazza, al contrario dei Gerani 400 metri più in là, era frequentata dai ragazzi “per bene”: quelli non politicizzati, con le auto parcheggiate e gli stereo a palla con la disco, tutti vestiti sempre in tiro.

Un segno di quell’indolenza si potrebbe ad esempio riassumere nel fatto che quel gruppo di persone fosse frequentato da Germano Maccari (proprio quello delle Brigate Rosse e che poi venne condannato per il rapimento Moro) che preferiva quella compagnia disimpegnata agli alternativi di piazza dei Gerani. Era normale del resto, da quelle parti, diversificare gli interessi. Indolenza pura: impegnarsi sì ma non troppo. Impegnarsi sì ma «c’ho da fa’» (tipo andare a ballare in discoteca con gli amici). Inappuntabile nel vestire (nessun mimetismo sociale: era proprio un elegantone, una specie di Brian Ferry di borgata: peraltro aveva pure una certa somiglianza col dandy dei Roxy Music). Più di qualcuno, anni dopo, ha immaginato scherzosamente che chissà se anche quella volta che gli chiesero di prepararsi per quello che fu l’evento storico più importante di questa Repubblica, lui avesse risposto indolente: «ma adesso?», farfugliando qualche scusa o magari un impegno con la ragazza. Irreale ma non impossibile.

Quella prima trasformazione fu, come dire, tutta interna al quartiere. Sì, il cosiddetto “disimpegno” e l’eroina furono questione generale ma queste novità (che coincisero anche con l’irruzione del punk, in senso culturale oltre che musicale) furono gestite nel quartiere, formando nuove e strane socialità. Piazza dei Mirti continuò a sonnecchiare nel suo indolente perbenismo (a parte l’enclave del Sat vicino all’enorme mercato ortofrutticolo, in quell’angolo di piazza dove venne girata la scena di Amore Tossico, quella del “a cadaveri eccellenti!”), piazza dei Gerani invece si trasformò in un miscuglio culturale indefinito: freakkettoni con le canne e punk nevrotici. Con una presenza di tossici sempre di passaggio (nonostante l’eroina si vendesse altrove).

Ora, descriverli uno a uno sarebbe impresa meritoria quanto improba: per Centocelle girava il Marziano, un coatto spacciatore anche molto rispettato che aveva la cattiva abitudine di fermare la gente per strada offrendogli di comprare la sua roba. Per quanto “sveglio”, una volta la offrì a due carabinieri e fu la fine della sua carriera. C’era il coattissimo Apache, a largo Teofrasto, con i suoi capelli lunghissimi, magro e slanciato che però poi parlava con l’accento della Sgurgola. C’erano il Ciovetta, il Cecalino e tutto il “treppio” di piazza dei Mirti dove il vecchio zio Arturo intratteneva il gruppo (nell’attesa che il metadone somministrato dal Sat “salisse” e svolgesse la sua missione rigenerante, calmando la crisi d’astinenza) con i suoi improbabili racconti della sua tossicodipendenza dei decenni precedenti, le canne con Gino Bartali e i Marsigliesi sempre pronto a fuggire e nascondersi quando arrivava la figlia a cercarlo perché non voleva che si drogasse.

Un capitolo a parte merita “er diarèa”, soprannominato così perché era lento. Lento in qualsiasi momento, in qualunque gesto, in qualunque occasione, persino quando in crisi d’astinenza senti le viscere fuggire via, i dolori aumentano, esplode la crisi neurovegetativa per il bisogno d’eroina. “Er diarèa” aveva il privilegio e la dannazione allo stesso tempo, di essere sempre automunito. Prima una 600 bianca mezza scassata ma eroica. Poi una 128 blu. Un’auto, per l’esistenza di un tossico, è fondamentale. Devi girare per “svoltare” i soldi, poi per cercare e inseguire lo spacciatore, poi per trovare la farmacia di turno.

Nonostante i dolori della “ròta”, era sempre di una lentezza esasperante: «a Mà e daje. E sbrigate». Non che non fosse un ottimo guidatore, anzi. Ma aveva le sue “fisime”. Se in tutto l’infernale percorso quotidiano della via crucis per rimediare “uno schizzo” arrivava l’ora del “lattuccio caldo”, non c’era nulla da fare: doveva passare prima a casa a prendersi il bicchiere di lattuccio caldo che la madre premurosa gli preparava ad orari spartani «perché gli faceva bene». E se nella sua macchina si trovavano altri tossici che ululavano come lupi famelici (magari con la dose di eroina da spartirsi) così faticosamente conquistata, niente: lui avvertiva che «devo passare prima da casa». «A Mà, limortaccitua». Inutile: la macchina era la sua. Non lo faceva per cattiveria: era un ragazzo della “borghesia di Centocelle” (caro e buono), aveva anche studiato un paio d’anni psicologia all’università (ma ben si era adattato alle dinamiche di periferia) e la sua vita era scandita da appuntamenti irrinunciabili. Centocelle, l’indolenza.