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Cannes #10: I sottoproletari di Bong Joon-Ho in “Parasite” 

In concorso a Cannes una tragicommedia che elettrizza il Festival. Bong Joon Ho presenta “Parasite”, che ritrae una famiglia sottoproletaria di Seul e la sua vita fatta di espedienti per uscire da una condizione di miseria e povertà 

Nel suo film fantascientifico del 2013, Snowpiercer, Bong Joon-Ho rappresentava la situazione post-apocalittica che seguiva l’era glaciale. Il mondo era in parte sopravvissuto e proseguiva con le stesse divisioni e violenze di prima, ma su un treno, le cui carrozze riproponevano la differenziazione delle classi sociali. Il film metteva al centro la vita, la quotidianità e le lotte di quello che Marx avrebbe chiamato l’esercito industriale di riserva di disoccupati e impoveriti. Secondo il filosofo tedesco, la progressiva implementazione della tecnologia e l’automazione progressiva dovuta all’uso delle macchine avrebbe potuto dare vita a due esiti distinti: da un lato, naturalmente, la scienza e la tecnologia possono liberare il lavoratore dal lavoro; dall’altro producono l’impossibilità di riassorbire il lavoro umano all’interno del processo di produzione, generando una crisi di valorizzazione epocale. Queste persone espulse dal rapporto salariale, spinte ai bordi del processo economico capitalistico, che tutte insieme costituiscono una sorta di negazione della forza-lavoro, sono quelle che Marx chiama Lumpenproletariat, letteralmente “proletariato straccione”, e che già Hegel aveva bollato come “lazzaroni”.  Sulla base di questa analisi, negli ultimi anni, alcune correnti di rivisitazione del marxismo (spesso vicine alla tradizione anarchica) hanno affermato che in un contesto di automazione e di diminuzione del lavoro socialmente necessario, il vero soggetto di una possibile rivolta contemporanea sono appunto i sottoproletari.

 

 

In Snowpiercer, Bong Joon-Ho ha certamente enfatizzato il ruolo, se non rivoluzionario, trasformativo di questa sorta di “classe” di diseredati. Nell’ultimo film, Parasite, invece, lo descrive in modo più spietato, raccontando la storia di una famiglia di quattro persone che abita nei bassifondi di Seul. I quattro componenti abitano in un seminterrato lurido, ricoperto di sporcizia, oggetti accatastati e scarafaggi e vivono con pochissimi mezzi in uno stato di povertà quasi completa, sbarcando il lunario con piccoli lavori a cottimo. Fino a quando la loro vita non prende una svolta decisiva. Uno dei due figli riesce, falsificando una laurea a Oxford, a intrufolarsi come insegnante di inglese nella casa di una famiglia dei quartieri ricchi di Seul e, lentamente, tutta la famiglia sottoproletaria riesce a prendere servizio presso di loro, svolgendo diverse mansioni. Iniziano così a “parassitare”, vivendo alle dipendenze della upper class, fino a quando, alterne vicende non li spingeranno, con un finale a sorpresa, a ri-organizzare la loro vita.

Il film, tuttavia, ci mostra anche come i poveri non riescano a togliersi di dosso l’odore dei loro vestiti a poco prezzo e dell’umidità del seminterrato in cui tutti i giorni tornano ad abitare. La puzza della povertà è qualcosa di ineliminabile, così come immodificabili sono i loro comportamenti e l’incapacità di adattarsi a un contesto sociale benestante. I poveri non si sanno comportare: non vestono, non mangiano, non parlano come i ricchi, non hanno le loro stesse capacità di stare al mondo. Ma questa accusa alla società coreana divisa rigidamente in classi diventa per Bong Joon-Ho una critica più generale al sistema capitalistico e all’immobilità sociale che esso produce. E non solo. Il film, infatti, rende perfettamente anche il conflitto orizzontale che si produce tra poveri: la lotta tra loro per conquistare un pezzetto di sopravvivenza, piuttosto che la coscienza che occorra fare del male a chi sta nei quartieri di sopra.

 

 

La realtà del sottoproletariato che diventa per un attimo poverissimo proletariato urbano, per Bong Joon-Ho, non ha alcuna possibilità di riscatto. L’idea viene chiarita da una sequenza in cui scoppia un temporale e la pioggia torrenziale invade le strade della città. Mentre la casa della famiglia ricca non viene quasi scalfita dalla pioggia, i poveri corrono e scendono, attraverso i meandri delle strade allagate, nei “bassifondi”, per tornare alla loro abitazione in una Seul sommersa, ripresa in tutta la sua cruda  distopia. Troveranno la loro abitazione allagata: gli oggetti accatastati galleggiano; le acque chiare della pioggia  si mischiano a quelle scure della fogna.  In quel momento, la figlia più piccola, in un bagno costruito in modo improbabile e completamente inondato, si siede sulla tazza e mentre l’acqua continua a salire si accende una sigaretta. In mezzo allo sporco, che nella normalità della Seul benestante e ricca viene evitato, asportato, pulito, vi è un povero che è costretto a vivere e che riesce, nonostante tutto, a trovare un’immediata forma di godimento. Perché alla fine il sogno di un futuro da borghesi emancipati, non potrà che rimanere nient’altro che un sogno.