DIRITTI

Ammortizzatori sociali al tempo di Gentiloni: il vuoto pneumatico

Revocati dal decreto Milleproroghe gli ammortizzatori sociali per i co.co.co.

Dopo ben due anni di presidi sotto l’INPS e il Ministero del Lavoro, speakers’ corner, incontri e campagne, i dottorandi, gli assegnisti di ricerca e gli specializzandi in medicina avranno finalmente lo stesso trattamento di tutti gli altri collaboratori in tema di ammortizzatori sociali: nessuno/a riceverà più un euro! Nel cosiddetto decreto “Milleproroghe” (DL 224/2016) varato dal Consiglio dei Ministri il 30 dicembre 2016, come confermato venerdì scorso dall’INPS, non è infatti previsto lo stanziamento dei fondi necessari per l’estensione della Dis-coll al 2017, lasciando scoperti migliaia di lavoratori e lavoratrici occupati/e con tali contratti di collaborazione. Il clamore suscitato dalla notizia sembra abbia spinto il governo a promettere una norma transitoria che proroghi l’erogazione della Dis-coll per il 2017, in attesa di una fantomatica norma strutturale da inserire nel ddl sul lavoro autonomo ancora fermo alla Camera. Staremo a vedere, emendamenti simili al Milleproroghe sono stati infatti bocciati nelle scorse settimane per mancata copertura finanziaria. Ed in ogni caso, i collaboratori del comparto ricerca rimarrebbero comunque esclusi!

Questo trattamento profondamente iniquo dei collaboratori (ricordiamo infatti che qualora la Dis-coll fosse anche prorogata per il 2017, fatto per nulla scontato, rimane un ammortizzatore sociale di serie B rispetto alla Naspi riservata al lavoro subordinato) ed in particolare l’ostinato accanimento nei confronti dei precari della ricerca, ben delinea qual è la politica del neo governo verso di chi subisce maggiormente il ricatto della precarietà: una condanna alla povertà. Come illustrato a chiare lettere dal Ministro del Lavoro Poletti (che dato il grande successo raggiunto coi voucher è rimasto saldamente ancorato allo scranno di Via Veneto) nel corso di una risposta ad un’interrogazione parlamentare l’anno scorso, la ragione (paradossale) dietro la mancata elargizione di ammortizzatori sociali a dottorandi e assegnisti sarebbe il carattere formativo dei loro contratti. A nulla è valsa la campagna “La ricerca come Lavoro”, che ha mobilitato centinaia di precari universitari nello “Sciopero alla Rovescia”, in cui abbiamo denunciato la condizione comune di sfruttamento. Dal lavoro gratuito fondato sull’economia politica della promessa alle dinamiche di cooptazione, dipendenza, autosfruttamento ed inferiorizzazione prodotte dalla riforma Gelmini e dai costanti tagli all’università pubblica. Una condizione che sfocia nel ricatto perenne della precarietà e nell’assenza totale di diritti per migliaia di lavoratori e lavoratrici della ricerca: niente malattia né ferie, maternità o paternità… E, tornando al punto di partenza, niente sussidio di disoccupazione per un lavoro che prevede per natura continue interruzioni da un progetto all’altro. Le conseguenze della mancanza di un sostegno al reddito nel momento in cui i contratti volgono al termine sono rese ancora più drammatiche dalle condizioni in cui versa il sistema universitario di questo paese, dopo anni di definanziamento cronico e blocco del turn over. Con l’attuale ritmo di (non) reclutamento e il limite massimo di 6 anni di assegno, oltre il 90% degli attuali 20.000 assegnisti verrà definitivamente espulso dal sistema universitario. E questo succede, è bene ricordarlo, in un paese in cui la disoccupazione giovanile è al 40% ! Ci si meraviglia poi se secondo un’indagine Eurispes pubblicata due settimane fa il 13,8% dei giovani intervistati è stato costretto a tornare a casa dei propri genitori data l’impossibilita’ di pagare l’affitto o il mutuo.

L’immediato ripristino della Dis-coll, e la sua estensione a dottorandi, assegnisti e specializzandi, è quindi un intervento tanto necessario quanto urgente, con buona pace di Poletti e della sua distorta idea di formazione permanente. Ma questa sarebbe, appunto, solo una misura emergenziale: di fronte all’insostenibile precarizzazione dovuta a queste forme contrattuali, non è più prorogabile l’eliminazione definitiva degli assegni di ricerca. Forme contrattuali inique e ai margini del diritto, tanto che perfino la Commissione Europea ne ha inizialmente vietato l’utilizzo nell’ambito dei programmi Horizon, per poi fare clamorosamente marcia indietro sotto le pressioni degli strutturati italiani, che avrebbero altrimenti perso la possibilità di sfruttare un’ottima manovalanza a costo quasi zero. Come abbiamo ribadito in tutti i nostri documenti e iniziative, chiediamo con forza l’istituzione di un’unica tipologia di contratto post dottorale che preveda un’adeguata retribuzione e, finalmente, tutti i diritti fondamentali sanciti nella Carta Europea dei Ricercatori: malattia, ferie, congedi di maternità e paternità e indennità di disoccupazione. Un contratto subordinato a tempo determinato al termine del quale vi sia la possibilità di concorrere per una posizione tenure-track.

Per raggiungere questi obiettivi è naturalmente necessario un forte rifinanziamento del sistema e la riscrittura della governance delle Università (in primis dei meccanismi della cosiddetta valutazione e della conseguente distribuzione dei fondi). Una direzione molto diversa da quella intrapresa dai governi negli ultimi anni la cui politica in tema di università e ricerca è ben rappresentata da due recenti provvedimenti: la volontà di costruire Human Technopole sotto la direzione dell’Istituto Italiano di Tecnologia (che invece di spendere i lauti finanziamenti ricevuti dal governo li mette in banca in cassaforte) e l’istituzione delle cosiddette cattedre Natta, che costituiscono un vero e proprio canale parallelo di reclutamento sotto lo stretto controllo della Presidenza del Consiglio (che avrà il compito di nominare le Commissioni che assegneranno queste cattedre di Serie A).

Di fronte a questi indirizzi strategici dichiarati a più riprese in spregio alle rivendicazioni di migliaia di precari/e della ricerca, è necessario riprendere la mobilitazione per il riconoscimento del nostro lavoro, l’istituzione di un welfare realmente universale e il rilancio dell’università come luogo democratico di produzione di ricerca e sapere. Dopo anni di trasformazione neo-liberale, riaffermare il ruolo sociale dell’Università è infatti più che mai fondamentale viste, tanto per restare nell’attualità, le cariche della Polizia avvenute giovedì scorso a Bologna all’interno di una biblioteca, dove studenti e ricercatori stavano appunto rivendicando la natura pubblica dell’istituzione universitaria.

E’ quindi ora di rimettersi in movimento, creando ambiti collettivi che ambiscano a imprimere un netto cambio di direzione nella trasformazione e nella gestione degli atenei. In quest’ottica, pensiamo sia fondamentale anche attraversare e partecipare a mobilitazioni che mettano al centro delle proprie rivendicazioni la liberazione dal ricatto della precarieta’ e l’autodeterminazione delle nostre esistenze attraverso l’istituzione di reddito minimo universale.