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Laudato si’, Franciscus

Vogliamo riflettere sull’esito dei ballottaggi e il palese imbarazzo di Renzi? Ma quando mai! Parliamo di cose serie.

Leggiamo a caso l’Enciclica Laudato si’: «…la cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura». Poi guardiamo, con il dovuto ribrezzo, il tweet di Grillo su topi, spazzatura e clandestini o le promesse di Alfano di espellere i Rom illegali o le sbrasate di Salvini sulle ruspe. C’è poco da scegliere con chi schierarsi. Da Francesco (che si firma Franciscus, in calce a un testo tutto italiano, altro che ammiccante tweet di regime!) ci separa una bella differenza teologica ed etica, ma da quegli altri un abisso: siamo due specie zoologiche diverse.

Neppure facciamoci ingannare dal solito coro unanime di lodi al Papa. Il petroliere Jeff Bush ha constatato il proprio contrasto di interessi e da noi hanno rosicato Libero e Il Foglio, ma i politici italiani, nella loro ipocrisia, si sdraieranno a baciare la pantofola: assai a torto, perché quell’Enciclica non è affatto conciliante e multiuso.

Beninteso, è impossibile separare con un taglio il teologico inaccettabile e il politico suggestivo: la “cura della casa comune”, che denuncia spietatamente la catastrofe ecologica incombente, gli effetti perversi della globalizzazione, l’antropocentrismo produttivistico, la “rapidizzazione” dei processi economici e biologici e la finanziarizzazione spinta, discende logicamente dal paradigma della creazione e dell’affidamento all’uomo della “custodia” e non del saccheggio del mondo (vedi tutto il cap. 2). L’etica della condivisione e di un’ascesi gioiosa –che rilancia l’inquietante profetismo francescano e bonaventuriano– si accompagna a un sostanzialismo umanistico che si trascina dietro (non chiudiamo gli occhi) la “naturalità” della famiglia e la condanna di gender, eutanasia e aborto. Non facciamoci una Chiesa e un Papa (per di più transitorio) a nostra immagine, ma prendiamolo per quello che è: un po’ meglio di Renzi e Civati, superfluo dirlo, ma anche di Merkel e Obama, comunque. Sulla stampa italiana, inoltre, è il documento più a sinistra che sia apparso negli ultimi anni, daje!

Il contenuto ecologico specifico dell’Enciclica non ha nulla di new age, a partire dalla fulminante premessa: esiste «un’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta». Non si risolve quindi in aggiustamenti cosmetici e trovate pubblicitarie “intorpidenti”, ma modificando i rapporti di dominio e la distribuzione della ricchezza. È il ricatto del debito (fondamentale l’apporto del citatissimo patriarca ortodosso Bartolomeo, che ben ha in mente il caso greco), non l’obesità o i gabbiani incatramati. La soluzione è una “rivoluzione culturale” e un complesso di pratiche politiche, non gli orti di Michelle Obama. I rifiuti tossici provengono dal consumismo in uno con la speculazione industriale e con la logica della concorrenza neoliberale che produce deliberatamente lo “scarto” di uomini e cose. Al degrado sociale e ambientale si oppone “la destinazione comune dei beni”, in primo luogo il clima minacciato dal riscaldamento globale e dall’inquinamento –un problema politico e non tecnologico – generato dai paesi ricchi e scaricato sui poveri e sui paesi poveri, un problema che richiede la cura radicale del male e non il sollievo locale dei sintomi. Bisogna eliminare «la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza». Niente di meno!

La difesa dell’acqua pubblica e sicura per tutti (forma basilare del diritto alla vita) o della biodiversità negli ecosistemi si scontra con la logica della rendita e del profitto e con la diseguaglianza internazionale e interna dei singoli paesi configurando una complessiva “inegualità planetaria”: «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale […occorre] ascoltare tanto il grido della terra quando il grido dei poveri». Chiaro che non si parla di lotta di classe e anzi si sorvola sul problema demografico con annessi e connessi, ma con l’aria che tira ci possiamo pure accontentare della denuncia degli squilibri e del “debito ecologico”. Cui immediatamente fa seguito il debito estero dei paesi poveri «trasformato in uno strumento di controllo»: la cronaca quotidiana ci esime da ulteriori commenti.

La critica di una cieca esaltazione del progresso e della tecnoscienza ripropone tutte le ambiguità delle ideologie laiche in materia, oscillando fra spiritualismo e principio di precauzione per gli Ogm fino alla “decrescita felice”, tuttavia nell’insieme si muove in direzione opposta al liberismo fanatico del TTIP transatlantico e dei più modesti furori semplificanti e trivellanti dello SbloccaItalia renziano. Si afferma realisticamente (pare di sentire Gallino) che «la finanza soffoca l’economica reale» –non pretendiamo che ci si mostri come derivi da essa– e che è illusorio aspettarsi la fine della crisi dalla crescita dei mercati e dalla massimizzazione dei profitti. Certo, la critica del paradigma tecnologico rimanda alla pretesa dell’uomo di sostituirsi a Dio anziché collaborare con Lui nell’opera della Creazione (del resto un papa lo dice più legittimamente dei francofortesi!) e il relativismo è associato allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in termini inaccettabili, ma le conseguenze lavoristiche (coincidenti con l’ideologia ancor oggi dominante nel sindacato e nella sinistra Pd) sono sempre meglio del JobsAct e della demolizione dello Stato sociale. Ci troviamo in disaccordo, come con i neo-keynesiani, però è un dibattito dignitoso e proficuo. Francesco vale più di Poletti e ha un seguito mondiale maggiore, non solo di follower su tweet.

Al netto della prolissità e del moralismo dell’analisi ecologica, come non apprezzare le conclusioni cui perviene il cap. 5, Alcune linee di orientamento e di azione, § 189? «Il salvataggio a ogni costo delle banche; facendo pagare il prezzo alle popolazioni, senza la ferma decisione di rivedere e rinforzare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale: ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo». Analisi discutibile, per l’illusione di una riforma interna del capitalismo, ma con chi dovremmo discutere e commisurarci conflittualmente? Con Juncker e Padoan, con Alesina e Giavazzi?

Tenendo conto che è un’Enciclica papale con invocazione finale alla Trinità e riscontrando che i suoi limiti di teoria economica non eccedono quelli di un Piketty, possiamo considerare questo testo un elemento importante per rimettere in discussione le ossessioni neoliberali e per disegnare convergenze praticabili in alcuni campi sui quali ci battiamo –migranti, politiche del lavoro e del territorio, povertà, conflitti urbani. Con il che ci risparmiano, per effetto collaterale, di disquisire sui risultati dei ballottaggi e le angustie del declinante governo Renzi, ancor più sulle disavventure del chirurgo Marino che marcia, scolapasta in testa, vero il 2023, evvai!