MONDO

La Litoraleña resiste e produce: storia di una nuova recuperata argentina

La Litoraleña, situata nel quartiere di Chacarita a Buenos Aires, è una delle nuove imprese recuperate dai lavoratori durante il governo di Macri, nella difficile fase di crisi economica ed austerità che sta attraversando l’Argentina.

L’impresa, nata negli anni settanta, produce da decenni sfoglie per empanadas e torte rustiche ed è arrivata a contare 110 dipendenti, alcuni dei quali avevano raggiunto i 30 anni di anzianità. Lo scorso anno arriva però una fase difficile, cominciano i licenziamenti mentre i pagamenti cominciano ad essere incostanti. Quando si arriva alla sospensione totale del pagamento degli stipendi, i lavoratori decidono di presentare degli esposti al Ministero del Lavoro e chiedere aiuto ai sindacati. Entrambi i tentativi di negoziazione cadono nel vuoto, motivo per cui i lavoratori decidono di fare a meno della mediazione sindacale, convocano un’assemblea generale e si confrontano direttamente con il padrone.

La richiesta è semplice e chiara: certezza dei pagamenti e continuità lavorativa per tutti i 110 operai. Ma la risposta padronale non si fa attendere: 32 sono i licenziamenti stabiliti nell’arco di nemmeno ventiquattr’ore. L’assemblea dei lavoratori decide così di entrare in occupazione, il 28 ottobre del 2015, per evitare il vaciamiento da parte del padrone (ovvero lo svuotamento di macchinari e materie prime dall’impresa), strategia utilizzata con il fine di sottrarre i beni ad una eventuale vendita all’asta, ma anche per rendere l’impresa inagibile per i lavoratori in caso di recupero.

In poco tempo diventa evidente l’intenzione del padrone di procedere al progressivo smantellamento della fabbrica: gli operai vengono infatti a conoscenza dell’enorme debito contratto dall’impresa. Così sessantanove operai decidono di riattivare la produzione in forma autogestita per far fronte ad una situazione già troppo grave. “Le conciliazioni obbligatorie imponevano di continuare a lavorare, senza essere pagati, ma noi non potevamo continuare a lavorare per un padrone gratis”, racconta Ricardo, un operaio. “A partire da questo momento abbiamo deciso di prenderci la fabbrica, continuando l’occupazione, e parallelamente abbiamo formato una cooperativa di lavoro”.

Comincia così la nuova fase della Litoraleña. Nonostante la cooperativa preveda l’esistenza di cariche formali e di responsabilità specifiche, le decisioni fondamentali sono sempre prese in assemblea: come nella maggior parte delle esperienze di autogestione che si avviano, i nodi cruciali vanno affrontati in plenaria.

“Abbiamo deciso tutti insieme di rimettere in funzione le macchine, con tutto quello che comporta. Hai la polizia alla porta, non è facile prendere questa decisione, ci sono giorni in cui non possiamo produrre, ci sono giorni in cui non possiamo portare fuori la merce dalla fabbrica ed a volte abbiamo difficoltà ad effettuare le consegne” spiega Ricardo. Quando sono i lavoratori a gestire la produzione tutto si complica: la burocrazia si fa cavillosa, i controlli, prima assenti, diventano costanti. Si risveglia improvvisamente l’attenzione sopita del ministero del lavoro e delle agenzie impositive. Il padrone aveva accumulato un debito di oltre 20 milioni di pesos (circa 1 milione e 200 mila euro di contributi e tasse non pagati) ed aveva un passivo di 83 milioni di pesos per le forniture. Nonostante ciò, sindacati, giudici ed agenzie continuano a intrattenere con la proprietà una relazione aperta e dialogante.

A differenza dell’atteggiamento dei sindacati, la solidarietà delle altre imprese autogestite e del vicinato non si è fatta attendere. Mutualismo e sostegno solidale sono stati fondamentali nel sostenere il processo: è stato istituito un fondo per lo sciopero ed ognuno ha aiutato come poteva, cucinando, organizzando iniziative e raccolte fondi, creando piccole reti di acquisto o aiuto nella fornitura tra cooperative, diffondendo la notizia nelle reti sociali “Siamo stati anche all’università” raccontano sorridendo.

Il sostegno delle organizzazioni è stato importante, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione e la formazione professionale. Lo sforzo organizzativo è grande: molti lavoratori si sono dovuti formare in vari settori, dalla finanza alle vendite. Occorre reinventare le modalità di gestione: oltre ad imparare a gestire i bilanci, si progettano riunioni di presentazione e discussione per facilitare la comprensione interna dei meccanismi di gestione della cooperativa. Un lavoro enorme ma fondamentale: i lavoratori si ritrovano ora con contributi non pagati e stipendi arretrati e la gestione economica non potrà essere la stessa. “E’ una specie di autoformazione professionale, i ruoli amministrativi, i bilanci e le vendite devono seguire una logica diversa da quella impresariale. Tutto deve essere organizzato e presentato ai lavoratori in maniera comprensibile, altrimenti non si può portare avanti una strategia su cui c’è reale accordo e condivisione delle responsabilità” ci racconta Fabian, attivista di FACTA (Federazione Argentina de Cooperativas de Trabajadores Autogestionados), l’associazione che sta accompagnando il processo di riavvio della produzione.

I lavoratori si preparano ad affrontare una nuova e difficile fase dell’economia argentina: prezzi delle materie prime alle stelle, caduta libera nei consumi, innalzamento di tutti i costi dei servizi. Il governo di Maurizio Macri ha infatti tagliato i sussidi attraverso cui si portava avanti una mediazione sui prezzi di luce, acqua e gas. Il risultato è di una gravità estrema: spostarsi da un lato all’altro della città costa il quadruplo rispetto a prima, e anche farsi carico dei costi di produzione arriva a costare tre o quattro volte tanto. I lavoratori affermano con chiarezza che una occorre trovare una soluzione complessiva a questi problemi dell’economia argentina, ritenendo insufficienti i sussidi previsti per le cooperative in questa fase.

Nonostante la crisi aziendale la cooperativa è riuscita a mantenere viva la relazione con i clienti dell’impresa: i lavoratori hanno inoltre messo mano al processo produttivo e migliorato la qualità del prodotto, eliminando conservanti inutili. Il 30 Aprile è stato inaugurato un punto vendite nel quartiere popolare di Boedo, per ovviare ai problemi legali più immediati e per aprire uno spazio di commercializzazione diretta che prima l’impresa non aveva. Nel nuovo negozio, oltre ai propri prodotti, si vendono anche i prodotti di altre imprese recuperate e cooperative autogestite.

“Tra la commercializzazione della produzione e la Linea 1 (un sussidio di integrazione al reddito per le cooperative di lavoro, ndr), a cui abbiamo accesso da quando ci siamo costituiti in cooperativa, arriviamo quasi a garantirci il salario minimo previsto dal settore. Viste le condizioni in cui operiamo, le chiusure ed i licenziamenti in atto nelle imprese private, è già qualcosa”, spiega Luis, ex delegato di fabbrica, ora presidente della cooperativa.

Guarda il servizio di Barricada TV:

Le difficoltà economiche, non sono tuttavia le uniche. Avanza e si consolida una preoccupante ostilità alle esperienze di autogestione, tanto nelle sedi dei tribunali e quanto nei governi locali. Il padrone, dopo aver denunciato i lavoratori per usurpazione, si è presentato con la forza pubblica ed il giudice per mostrare lo stabile ad un possibile compratore. La pratica della denuncia per usurpazione da parte padronale ha recentemente conosciuto una impennata, così come la tendenza dei giudici a privilegiare la difesa della proprietà privata rispetto alla continuità lavorativa. In alcuni casi malgrado l’esistenza di leggi di espropriazione già vigenti, come avvenuto recentemente nel caso della fabbrica metalmeccanica RB, situata nella provincia nord di Buenos Aires, sgomberata con una pesante repressione nel corso della quale tre lavoratori erano stati sequestrati 5 ore in uno dei commissariati locali, fino a quando gli avvocati non hanno presentato gli habeas corpus.

A seguito della dichiarazione di bancarotta i lavoratori hanno richiesto, secondo quanto previsto dalle modifiche alla legge in materia fallimentare, l’autorizzazione a continuare la produzione. La richiesta è però stata rifiutata dal giudice per cause ancora sconosciute. Lo scorso lunedì 12 settembre hanno chiamato una mobilitazione di fronte al tribunale, al quale si sono uniti anche i 50 lavoratori del ristorante recuperato La Casona, recentemente dichiarato a rischio sgombero dalla stessa sezione giudiziaria. I manifestanti hanno bloccato la strada ed ottenuto una promessa di incontro che si dovrà tenere la prossima settimana. Intanto la battaglia prosegue ed i lavoratori vanno avanti con l’intenzione di continuare a produrre in autogestione e difendere il processo di recupero dell’impresa nonostante le minacce giudiziarie e poliziesche e l’ostilità del clima politico segnato dal governo delle destre noliberiste di Macri.