ROMA

Il verde di Roma e il lavoro gratuito dei poveri

Il vero degrado del verde di Roma: il Comune taglia il personale del Servizio giardini e ricorre al lavoro precario, volontario e gratuito degli esclusi dalla città: disoccupati, richiedenti asilo e detenuti

«Nel 1980 il Servizio giardini disponeva di una forza lavoro operativa di oltre 1.800 unità di personale. Attualmente, a seguito del blocco delle assunzioni, il personale si è ridotto a circa 540 unità di cui effettivamente operative sono circa 250, che si distribuiscono su tutti i 15 Municipi», recita la presentazione del Servizio giardini di Roma cui è affidata la manutenzione del verde pubblico della Capitale. Un patrimonio ambientale che conta oltre 40 milioni di metri quadri – non chilometri, come scrisse l’assessore Montanari – di verde pubblico e 330 mila alberi da manutenere.

La Direzione del Dipartimento Tutela Ambientale stimava, al 30 aprile 2017, 423 posti vacanti in organico nel personale «operatore servizi ambientali», pari a circa il 53% dei posti istituiti: i dipendenti in servizio sarebbero 374, ma ne servirebbero 797. Per questo a luglio scorso fu decisa l’assunzione di 30 nuovi operatori. Ma non bastano, non ci sono fondi, il Comune sbaglia i bandi per i fondi europei e inizia la danza delle soluzioni tampone.

Ad aprile 2016 parte il progetto “Le sentinelle del degrado” che in collaborazione con la Fondazione Roma Solidale assume 50 ex disoccupati, “i manutentori civici” per 20 ore a settimana per la manutenzione delle ville storiche, e quindi anche l’apertura e la chiusura dei cancelli. Il contratto viene rinnovato nel 2017, ma è in scadenza il prossimo 2 marzo. Il 10 febbraio «le sentinelle» hanno occupato l’assessorato all’Ambiente, incontrando poi giovedì 16 l’assessore Montanari: per continuare a occuparsi del verde di Roma dovranno attendere una variazione di bilancio.

Per sopperire alla carenza di personale qualificato e remunerato il Comune le sta provando tutte. Con non poche gaffes. Da tempo molti romani spontaneamente curano gli svariati spazi della città in stato di abbandono, dalle aiuole ai giardini agli orti. A qualcuno è successo di dover difendere il proprio operato di fronte alla polizia municipale o lo stesso Dipartimento Tutela Ambiente, che a Portuense ha contestato l’«adozione» delle aiuole da parte di un gruppo di cittadini.

Poi, la svolta green: il Comune cambia idea e ci mette il cappello, citando la logica della sussidiarietà, ma interpretando la cura dei beni comuni e la partecipazione dei cittadini come lavoro volontario e gratuito. Così formalizza la partecipazione dei cittadini alla cura del verde «istituendo» gli orti urbani e assegnandoli ai comitati, previa presentazione di un progetto da realizzare interamente a loro spese e di una polizza assicurativa. I comitati insorgono, e intanto il nuovo regolamento sugli orti urbani, approvati con una delibera del 2015, ancora non c’è. Come non c’è ancora il Regolamento sul verde urbano, nonostante la pubblicazione delle linee guida.

Nel dicembre 2017 il Comune stringe un accordo con la Croce Rossa Italiana: i richiedenti asilo ospiti nei centri accoglienza, quelli che la Sindaca chiede di bloccare con una moratoria sugli arrivi, potranno occuparsi del verde su base volontaria.

Sono molti i migranti che in città spazzano le strade, sostituendosi all’Ama, un servizio pubblico pagato dai cittadini. Multiservizi, la controllata al 51% di Ama, ha appena licenziato 30 lavoratori. Per loro il Comune ha negato gli ammortizzatori sociali dopo avergli offerto il cambio di mansione: passare da amministrativi a operativi. Un vero e proprio ricatto, in un mondo del lavoro segnato sempre più dall’obbligatorietà di accettare ogni condizione e tipo di lavoro a dispetto di qualsiasi principio di congruità. I lavoratori sono andati a protestare in Campidoglio e hanno ricevuto, dagli eletti dello stesso M5S che aveva promesso loro l’assunzione, un Daspo. «Ho appena firmato il provvedimento di esclusione dall’Aula per due mesi di alcuni cittadini, resisi protagonisti di tumulti durante la seduta di ieri», scriveva Marcello De Vito su facebook. La scorsa estate Roma Multiservizi ha avviato le procedure per il licenziamento di 669 lavoratori, ne ha già licenziati 303 e ha ridotto lo stipendio ad altri 429.

Dopo i richiedenti asilo, ieri è stata la volta dei detenuti, con la firma di un protocollo per il coinvolgimento di 50 detenuti di Rebibbia in un progetto di «lavori di pubblica utilità e recupero del patrimonio ambientale», finalizzati alla «reintegrazione sociale e lavorativa di uomini e donne destinatari di condanne penali definitive e detenuti in diversi istituti cittadini».

Il tema è complesso. Secondo un’operatrice sociale che si occupa di progetti per il reinserimento di detenuti, senza dubbio la possibilità di uscire dal carcere può rappresentare un’occasione per ricreare una rete di rapporti sociali necessaria al reinserimento lavorativo. Quanto alle opportunità di futura assunzione, il Comune di certo non sembra in grado di offrirne. Paradossalmente, i detenuti che lavorano in carcere percepiscono una retribuzione. Di fronte alla scelta se lavorare gratuitamente fuori o restare dentro e percepire un compenso, la risposta non è scontata. Un fattore di cui il garante per i diritti dei detenuti avrà certamente tenuto conto.

Il leitmotiv è sempre lo stesso. Non ci sono fondi. Peccato che nell’ultimo anno il Comune abbia dovuto ritirare ben due bandi per fondi europei da destinare alla manutenzione del verde. Ad aprile 2017 Montanari annunciava 12,5 milioni di investimenti con due bandi europei – che nel 2016 Paolo Muraro aveva dimenticato di preparare. Ora il Comune ci pensa, ma in ritardo, e pubblica il bando di gara per l’affidamento del servizio cinque giorni dopo la modifica del codice degli appalti da parte del governo. Il bando è sospeso, è tutto da rifare.

Per quanto riguarda i lavoratori Multiservizi, dopo la bocciatura dell’Antitrust, a fine gennaio il Tar Lazio ha annullato la «gara a doppio oggetto» del valore di mezzo miliardo di euro per l’affidamento di molteplici servizi tra cui la manutenzione del verde non di pregio, la manutenzione di scuole e piste ciclabili. Dopo le promesse di internalizzazione fatte in campagna elettorale ai lavoratori, che chiedono che la società diventi al 100% pubblica salvaguardando i servizi essenziali e i lavoratori stessi, la Sindaca cambia idea. Adesso punta all’esternalizzazione dei servizi con la creazione di una società mista pubblico-privato di primo livello per la gestione di servizi generali. Ma per il Tar il ricorso a una società mista è ingiustificato e la gara per l’affidamento di servizi «assai eterogenei» da appaltare con un’unica gara è stata bocciata. Il Tar ha annullato anche le delibere propedeutiche per la gara a doppio oggetto, quindi il Comune dovrà predisporre nuovamente tutto l’iter, ma delle nuove delibere non c’è traccia. Una vicenda che complica ancora di più la posizione dei lavoratori Multiservizi e con essa le condizioni di degrado della città.

Intanto, tra uno sgombero e l’altro, per risollevare la “grande bellezza” della Capitale il Comune recluta lavoratori volontari tra gli “ultimi”: disoccupati, migranti, detenuti. Insomma coloro che a giorni alterni sono daspati, allontanati, dimenticati. È la partecipazione targata Cinque stelle.