EUROPA

Un week-end nero ad Atene

Domenica 4 febbraio un grande corteo ha occupato piazza Syntagma. Un movimento nazionalista sulla questione della Macedonia sta infiammando la Grecia, raccogliendo un fronte ampio che va dall’estrema destra fino ad alcune frange della sinistra, passando per la chiesa ortodossa ed ex ufficiali dell’esercito. Da dove nasce, chi lo appoggia e che conseguenze avrà sulla scena politica greca?

Era il il 21 gennaio quando circa 150mila persone scesero in piazza a Salonicco, seconda città della Grecia, per manifestare contro il riconoscimento da parte del governo greco del nome della Repubblica di Macedonia. Mentre il corteo percorreva le vie della città, un gruppo di fascisti aveva attaccato due centri sociali, riuscendo a bruciarne internamente uno, Libertatia, e aveva vandalizzato un memoriale dell’olocausto.

Oltre all’inaspettata partecipazione alla manifestazione, il fattore più preoccupante rimane la composizione del movimento che sta scuotendo la Grecia, movimento che parte  dall’estrema destra e lambisce frange della sinistra.

Dopo il “successo” della manifestazione del 21 gennaio, il movimento ha organizzato una nuova manifestazione per domenica 4 febbraio, questa volta nella capitale, nella storica e simbolica piazza Syntagma. Larga e inquietante è stata la partecipazione: oltre 200mila  persone all’insegna di una cornice dichiaratamente nazionalista, hanno infiammato nuovamente sentimenti che affondano le radici in una contesa risalente alla fine della guerra civile greca e che avevano condotto, negli anni ‘90 del secolo scorso, all’uso del nome “Fyrom” (Former Yugoslav Republic of Macedonia), per identificare lo stato balcanico, rivendicando così la grecità del toponimo Macedonia, usato per indicare anche la regione del nord del paese.

Recentemente, sollecitato dalla Nato e dalla Ue, il governo greco si sta finalmente apprestando a risolvere la disputa attorno al nome del Paese limitrofo, e a riconoscere una nuova denominazione. La questione ha quindi riaperto una ferita e offerto una piattaforma ideale di comune appartenenza nazionalistica, che ha portato fianco a fianco l’estrema destra, il centro-destra, la chiesa ortodossa, ex ufficiali dell’esercito e alcuni partiti della sinistra extraparlamentare greca.

Nel frattempo Alba Dorata, il partito neonazista greco, ha provato a cavalcare l’onda del rinato movimento nazionalista, cercando di riguadagnare la forza e il rispetto persi negli ultimi anni a causa dell’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas nel 2013 da parte di un membro di Alba Dorata, e al conseguente processo che ha portato all’arresto di buona parte del comitato centrale del partito, i cui militanti hanno quindi ripiegato su frequenti aggressioni di stampo razzista ai danni di migranti.

Oltre ad appoggiare il movimento per la Macedonia, naturalmente, Alba Dorata ha provato a lanciare un presidio in occasione della tradizionale manifestazione per le isole Imia, due scogli nel mezzo dell’Egeo contesi tra la Grecia e la Turchia dalla fine della Seconda Guerra mondiale, la cui rivendicazione pubblica di appartenenza greca da parte di organizzazioni fasciste negli ultimi due anni era stata impedita dalla preventiva occupazione della piazza da parte del movimento antifascista. Il presidio, infatti, che abitualmente si tiene il 27 gennaio, è stato spostato a sabato 3 febbraio, nel tentativo di raccogliere la partecipazione e il consenso del raduno nazionalista in programma per il giorno successivo, domenica 4 febbraio.

La mobilitazione fascista del sabato non ha avuto successo, la partecipazione è stata decisamente contenuta. I militanti di Alba Dorata, allora, hanno aspettato lo scioglimento delle migliaia di persone presenti al raduno nazionalista di domenica, per dare l’assalto – per ben due volte – nella zona di Monastiraki al Teatro occupato Ebros e subito dopo per invadere il quartiere anarchico di Exarcheia.

Un insuccesso clamoroso, grazie alle migliaia di persone che si sonó mobilitate per garantire numerosi presidi antifascisti del quartiere, così come nelle diverse occupazioni abitative di rifugiati, e che hanno coordinato la difesa degli spazi socialista e le strade della città, vanificando le aggressioni fasciste.

Tuttavia, resta preoccupante la larga e popolare partecipazione alla manifestazione nazionalista di domenica. Fenomeno che in qualche modo va analizzato, a partire – prima di tutto – dalla questione macedone, ponendo poi domande attuali come: dove nasce oggi questo movimento nazionalista, chi lo appoggia, e perché.

 

DA DOVE NASCE LA QUESTIONE MACEDONE ?

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Repubblica popolare di Macedonia faceva parte della Repubblica di Yugoslavia. Alla fine della guerra nei Balcani e in seguito allo scioglimento della Yugoslavia, nel 1993 la Macedonia divenne indipendente.

È a partire dagli anni ‘90 che si apre ufficialmente la disputa attorno al nome della Macedonia. Comincia a prendere corpo un potente movimento nazionalista greco che nel ‘92 aveva portato in piazza un milione di persone, forse la manifestazione più grande del dopoguerra greco.

All’epoca, la risoluzione del conflitto attorno al nome aveva prodotto la denominazione di Fyrom (Former Yugoslavian Republic of Macedonia) che nell’ottica del movimento nazionalista serviva a ostacolare le presunte ambizioni macedoni di rivendicazione del territorio greco denominato Macedonia, ovvero la regione nord della Grecia.

Negli ultimi mesi la questione si è riaperta nel contesto delle trattative per l’ingresso della Macedonia nella Nato, fortemente ostacolato dalla Grecia.

Oggi come allora, per Nato, Usa e Ue l’obiettivo fondamentale è “stabilizzare i Balcani” e ottenere avamposti in una regione preziosa, ma perennemente instabile per le mire dei governi occidentali.

 

 

CHI APPOGGIA IL MOVIMENTO ?

Il movimento per la Macedonia è composto innanzitutto da una serie di organizzazioni che fanno parte delle Pan-Macedonian Associations of the Diaspora, nate durante la guerra civile e da sempre impegnate in questa battaglia nazionalista. Attorno all’appello lanciato da queste organizzazioni si sono tuttavia raccolte, oltre alla destra greca, anche la chiesa ortodossa, personaggi di spicco del mondo militare, nonché alcuni pezzi della sinistra.

Innanzitutto partecipano al movimento i partiti di estrema destra, tra cui Alba Dorata, ma anche Anel (Indipendent Greek) e il centro-destra di Nea Demokratia. Particolarmente importante è concretamente il ruolo della chiesa ortodossa che ha fortemente appoggiato la manifestazione, attivando la mobilitazione di un’ampia parte della popolazione greca. Supportano poi il movimento alcuni personaggi di spicco della politica greca, tra cui Fragoulis Frango, ufficiale in pensione, un tempo capo del comando generale dell’esercito greco nonché ministro della Difesa sotto il governo ad interim di Pikrammenos nel 2012.

Secondo fondate indiscrezioni, Fragoulis starebbe valutando di partecipare alle prossime elezioni, eventualmente appoggiato e finanziato dall’oligarca Ivan Savidis (proprietario di una squadra di calcio e di alcuni dei più importanti hotel di Salonicco).

Ma ciò che più di tutto colpisce è l’aperto appello alla partecipazione da parte di Zoe Konstantopoulou, ex membro di Syriza, poi parte delle fila di Unità Popolare e attualmente leader di un nuovo partito, chiamato Course of Freedom. Con un videomessaggio, l’ex rappresentante del Parlamento con il governo di Syriza ha cercato di minimizzare i connotati fascisti e nazionalisti del movimento sceso in piazza a Salonicco, connettendolo invece alle lotte anti-troika e anti-memorandum.

Anche Lae, il partito di Unità Nazionale della sinistra extraparlamentare, pur non avendo formalmente partecipato alla manifestazione di domenica scorsa, ha dichiarato che nelle iniziative collegate alla questione macedone emerge il malcontento generale e di sapore patriottico della Grecia, interamente svenduta ai capitali stranieri. Lafazanis, il leader di Up, ha inoltre accusato Tsipras di piegarsi ai voleri americani per risolvere la questione macedone.

Infine, profondamente contraddittoria (e dolorosa per molti) è l’adesione al movimento di Dimitris Theodorakis, 92 anni, il mitico cantautore storico della sinistra greca, i cui brani incarnano una tradizione di resistenza e di emancipazione per l’intero mondo progressista. Al cantante è stato lasciato l’intervento principale dalla piazza.

 

Vignetta satirica: “Noi peschiamo in acque poco chiare, e tu? Io navigo in menti poco chiare”

 

NEL FRATTEMPO SYRIZA

Ancora non è chiaro quali saranno le prossime mosse del governo Tsipras in relazione ai negoziati aperti sulla questione del nome della Macedonia. Di certo Syriza ha mantenuto una posizione moderatamente ostile al movimento nazionalista, mostrandosi come un partito pragmatico e moderno che guarda senza troppo interesse a eventi che fanno capo a uomini di chiesa e a frange dell’esercito.

Tuttavia, le accuse rivolte al governo dalla sinistra per i discutibili rapporti con gli Stati Uniti hanno il loro peso, e si riscontrano nel generale calo di consensi verso il partito del primo ministro. D’altra parte, è sempre più chiaro che il governo di Tsipras si appresta ad allinearsi in una possibile alleanza con i socialisti alle prossime elezioni, e a questo proposito la posizione dichiaratamente di destra che Nea Demokratia ha mostrato in questa campagna sulla Macedonia potrebbe risultare utile per togliere di torno ogni ipotesi di alleanza tra centro-destra e centro-sinistra.

Nel frattempo Melanchon ha chiesto l’uscita di Syriza dal Gue, dichiarando inaccettabili le misure anti-austerity implementate dal governo con l’ultimo bailout che risponde a quanto imposto dall’Unione Europea. Approvato in parlamento il 21 gennaio, il testo prevede tra le altre cose una restrizione del diritto di sciopero che ha scatenato le proteste di molti sindacati.

Quel che è certo, dunque, è che l’ondata di nazionalismo che sta scuotendo l’Europa e il mondo, ha mobilitato anche in Grecia larghe fasce della popolazione e ha permesso collaborazioni politiche fino a poco fa impensabili.

Resta de vedere se quest’ondata, nel paese che nella povertà e nella crisi migratoria più si è caratterizzato per una risposta solidale anche spontanea, si infrangerà o verrà cavalcata, anche in vista delle prossime elezioni.