approfondimenti

OPINIONI

Un lungo week end

Il sorprendente movimento di massa per Gaza ha messo paura a Meloni, già preoccupata per la fallimentare politica estera. La congiuntura pone problemi anche a noi, ma segna un percorso alternativo all’antisemitismo e al terrorismo

Di cosa ha paura Giorgia Meloni?

Perché la paura è l’unica spiegazione delle reazioni schizofreniche della leader di FdI (che ormai solo in questa veste si esprime, non da Presidente del Consiglio), dell’alternanza di vittimismo per presunti discorsi d’odio diretti contro di lei e di accessi furiosi di insulti e irrisioni dirette a tutti gli avversari politici – partiti, sindacati, naviganti della Sumud  Flotilla, scioperanti e manifestanti – fino all’incredibile dichiarazione di incompatibilità di rivoluzione e week end lungo.

Non ha certo paura dell’opposizione parlamentare, visto che le ha estorto senza difficoltà un voto di astensione sul piano di pace Trump, ha fagocitato Calenda e staccato dal campo largo Renzi (nonché qualche senatore e deputato “riformista” del Pd stesso, e comunque l’ha pure sconfitta alle elezioni regionali marchigiane.

Un po’ di paura se l’è presa al registrare la ricomposizione sindacale fra Cgil e sindacati di base nella gestione di uno sciopero generale proclamato senza preavviso – e subito ha sguinzagliato ministri e autorità di sistema a denunciare l’illegittimità di tale iniziativa, senza peraltro rischiare una messa a terra della condanna mediante precettazione. Le leggi più draconiane sull’effettuazione degli scioperi come sull’ordine pubblico si afflosciano immediatamente quando entrano in campo grandi masse e il presunto reato svanisce in presenza di adesioni moltitudinarie.

La vera paura – o almeno il suo nucleo essenziale – sta invece nell’improvvisa esplosione di un movimento di massa che non à stato promosso dai partiti e solo in parte è riconducibile ad alcuni sindacati di base, dunque a un fenomeno spontaneo e per ciò stesso incontrollabile con le consuete tattiche parlamentari ed elettorali (di cui Meloni, a differenza dalla sinistra, è maestra). La Presidente del Consiglio si è trovata in una situazione inedita in cui le tattiche post-fasciste e la retorica del senso comune e della maggioranza silenziosa non fanno presa per mancanza di soggetti ricattabili. D’altra parte, a differenza dal suo idolo Trump e del rimpianto ventennio, non ha sotto mano al momento formazioni squadriste o collegamenti golpisti, che del resto finora sarebbero stati del tutto superflui e rischiosi.

Se volessimo meglio definire la congiuntura imprevista che si è creata e che sfugge completamente al controllo del governo e della maggioranza (ma anche al tardivo accollo dell’opposizione parlamentare), suscitando dunque sgomento e confusione in tutto il ceto politico e inducendo perfino una lieve quanto forse temporanea cautela repressiva, dovremmo parlare, con Max Weber, dell’emergere di un ”potere illegittimo”.

Intendiamoci, non stiamo parlando di carattere “illegale” di singoli momenti nelle due serie principali di azioni – il sequestro della Flotilla in acque internazionali e la stessa giurisdizione israeliana sulla fascia prospiciente a Gaza era clamorosamente illegale rispetto al diritto internazionale, mentre la proclamazione dello sciopero senza preavviso era perfettamente legale secondo molteplici letture – ma di qualcosa di sostanziale. È illegittimo un potere che si sottrae alla legittimità vigente per fondarne una nuova. Così, per Weber, era “illegittimo” e storicamente rilevante il potere dei Comuni italiani che si sottraevano all’autorità “legittima” del Papa e dell’Imperatore. Il ministro Salvini, che ciancia sempre di “illegittimità” degli scioperi o dei centri sociali, si sarebbe allora schierato nella battaglia di Legnano a fianco di Federico Barbarossa contro la Lega lombarda e Alberto da Giussano issato sul Carroccio, chiaro?

Lo sciopero sociale, solidale e politico che è dilagato a marea nel Paese è una forma iniziale e parziale di potere illegittimo dal basso che ha sorpreso tutti e che pone molti problemi anche in chi vi si riconosce. Non tanto in termini di organizzazione e di rappresentanza secondo categorie convenzionali (che anzi, laddove rispuntano, forse danneggiano tenuta e ricchezza della partecipazione) quanto di estensione orizzontale. Certo, possiamo sperare che esso – oltre alla saldatura già visibile con il movimento transfemminista e con quello che persiste della mobilitazione ecologista – perduri ed esca dall’ambito urbano, che si radichi nella pratica delle scuole e dell’università, che favorisca l’unità dei sindacati nelle vertenze salariali e per le condizioni di lavoro, ma questo ancora non è avvenuto: sta sicuramente nelle paure di Maloni ma non ancora nell’effettualità delle lotte. In Francia, al contrario, una grande stagione di battaglie sociali e sindacali, con la Cgt alla testa, da subito, ha preceduto le mobilitazioni per la Palestina – basta che a un certo punto le cose si saldino e un processo intersezionale si consolidi.

Meloni è pure preoccupata per una situazione internazionale entro cui aveva cercato di fingersi una statista puntando sulla stabilità del governo e su relazioni fidelizzate con gli Usa, nell’illusione di manipolare von der Leyen facendo la testa di ponte di Trump in Europa. Invece si è trovata invischiata nelle smanie guerresche dell’Europa a trazione baltico-polacca, russofoba fino alla provocazione, con il rischio di una rottura con un Salvini putiniano e di dover impiegare buona parte dello striminzito bilancio in spese militari, per non parlare di un coinvolgimento bellico diretto che le farebbe perdere in 24 ore gran parte dell’elettorato. Nel contempo è rimasta isolata all’Onu e in Europa sul riconoscimento della Palestina e non ha ottenuto in cambio neppure uno strapuntino nel Board of Peace che dovrebbe spartirsi la rendita fondiaria a Gaza. Sull’effetto dazi ne vedremo delle belle a breve. Insomma, «non ha le carte» – direbbe il suo infido amico Donald.

Unica cosa che può fare è inveire contro i suoi presunti nemici interni e occasionalmente litigare con Macron, ma sono altri a comandare nel mondo e anche nella colonia Europa. La sua è l’arroganza che scaturisce dalla paura. E allora facciamole ringoiare l’insolente battuta sull’impossibilità di tenere insieme rivoluzione e week end lungo per lo sciopero di venerdì: questa non è una rivoluzione ma un sussulto di coscienza e di indignazione, di cui constateremo gli sviluppi nel tempo, ma di sicuro il week end lungo glielo faremo vedere a lei con scioperi, occupazioni, manif sauvages e cortei programmati. E non è che l’inizio.

PS L’entusiasmo di questi giorni non ci offusca la vista e neppure lo sfacciato uso strumentale che dell’antisemitismo fa la propaganda sionista. Ma l’antisemitismo esiste, è orrido e viene alimentato deliberatamente dal sionismo fin dalle origini.  Il modo migliore per combatterlo e separarlo dalla critica alle politiche genocide di Israele è il movimento antisionista di massa. L’Italia per mare e per terra è stata in questi giorni l’alternativa a Manchester.

Immagine di copertina e dentro l’articolo di Marta D’Avanzo

SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS

Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno