ROMA

The Future Factory: il futuro non è già scritto

The Future Factory si terrà a Roma dal 15 al 18 giugno. Uno spazio di connessione, fiducia, solidarietà e resistenza dove si crea convergenza e si immagina il futuro

L’Italia è il Paese peggiore della vecchia Europa; l’Europa della CECA e del Trattato di Roma, di Maastricht e dell’euro. Il Paese che più odia le donne, i migranti, i giovani formati. Quello più anziano, dove i sindacati hanno milioni di iscritti ma i salari sono fermi da trent’anni. Il Paese che per primo ha fatto in pezzi le pensioni, che abbandona scuola e sanità pubblica al dissesto da almeno due decenni, che ha privatizzato le spiagge e il patrimonio artistico come pochi altri nel mondo. Il Paese di Giorgia Meloni, non casualmente.

Colpisce che proprio in Italia, a Roma, reti e movimenti sociali, fondazioni culturali e organizzazioni sindacali, abbiano deciso di incontrarsi e discutere, per tre giorni di fila, di futuro. Un futuro alternativo e ostile a quello che sembra già scritto, tra catastrofe bellica, climatica, sociale. All’immaginazione di un futuro libero dalla guerra, dal machismo, dal razzismo e dallo sfruttamento, sarà dedicata la conferenza promossa in primo luogo da Transform Europe, da giovedì 15 a domenica 18 giugno a Roma, in buona parte nel quartiere San Lorenzo ma non solo. Esc, Communia, Casale Garibaldi, ma anche Sapienza, Arci, Spazio Pubblico, saranno i luoghi dove si alterneranno workshop e dibattiti, performance artistiche e convivialità.

Il tentativo è ambizioso, forse troppo, ma fondamentale. Si tratta di ricostruire nessi transnazionali, contro una politica che quando non è sovranista è comunque provinciale, incapace di fare i conti con le sfide globali del nostro tempo doloroso. Come battere la guerra, senza un movimento pacifista quanto meno europeo? Come, se non cancellando il dumping salariale e fiscale, si può estirpare la malapianta della precarietà e del lavoro povero in Europa? Se il movimento transfemminista, a partire dal 2017, è stato capace di disegnare un nuovo spazio planetario delle lotte, così non è per i conflitti sindacali e antirazzisti.     

C’è bisogno di ricominciare a parlare lingue di mezzo, lingue minori. Ma anche di pensare in grande: quando la catastrofe satura l’orizzonte, il realismo politico non può fare a meno dell’utopia. Un’utopia concreta, indubbiamente, che sappia misurarsi continuamente con la verità effettuale della cosa; eppure immaginazione: produttiva, programmatica, solidale.

Sia chiaro, The Future Factory è frutto della cooperazione di reti e organizzazioni diverse, non sempre vicine, spesso discordi. Non un soggetto omogeneo, dunque, ma un’agorà, che sarà occasione aperta di confronto, e di dissenso, per tutte e tutti coloro che vorranno. Il lungo interregno che ci tocca in sorte, infatti, potrebbe riservarci colpi ancora più duri di quelli sin qui subiti. La convergenza è un compito faticoso, mai lineare, ma necessario. Proviamoci.

Qui il programma completo dell’evento