ROMA

Stazione Prenestina: a processo per aver restituito un bene alla città

Inizia il procedimento penale contro persone accusate di aver occupato la stazione di Roma Est nella primavera 2023 alla fine di un corteo ecotransfemminista

Il 15 febbraio, presso il tribunale penale di Roma, vi sarà la prima udienza del processo a 10 persone ritenute responsabili della occupazione della stazione Prenestina a Roma, il 4 marzo scorso.

In quella giornata, un grande e festoso corteo promosso da Non Una di Meno Roma, dalla Laboratoria Ecologista Berta Cáceres, da Fridays for Future, Extinction Rebellion e da numerosi collettivi ecologisti e transfemministi della città attraversò le strade di Roma Est. Al passaggio presso la stazione Prenestina, sull’onda della volontà e dell’entusiasmo collettivi, si entrò nel salone centrale. La giornata si collocava a metà tra lo sciopero per il clima di Fridays For Future e lo sciopero transfemminista dell’8 marzo, e voleva evidenziare il legame indissolubile tra le due istanze nonché la rilevanza dell’intersezionalità tra le due lotte.

La Stazione Prenestina è un edificio storico dalla imponente cubatura, risalente agli anni ‘30, costruito lungo la linea dei treni regionali che raggiungono Avezzano e Pescara, affiancato poi negli anni 2000 dal nuovo tracciato ad alta velocità su cui sfrecciano i treni tra Roma e Napoli. La stazione ha una collocazione particolare all’interno del quadrante est di Roma. È in prossimità di palazzi e condomini, ma al tempo stesso è circondata da una membrana di silenziose aree verdi che quasi la isolano.

L’occupazione della stazione permise di risvegliare l’attenzione pubblica sulla storia dello stabile. Quest’ultimo era stato chiuso definitivamente nel 2012, pur rimanendo la stazione aperta attraverso la pensilina esterna che permette l’accesso ad alcuni binari. La stazione continua tutt’oggi a essere attiva, quotidianamente fermano svariati treni regionali affollati di pendolari – molti di essi giovani che studiano negli istituti di zona provenendo dalla periferia Est della capitale.

In più di una occasione associazioni e collettivi del quartiere cercarono di attivare un percorso che potesse portare a un utilizzo comune degli spazi abbandonati della stazione. Nel 2016 l’associazione Ecobaleno riuscì a scrivere un progetto di riattivazione comunitaria dello spazio che coinvolse Regione, Comune, Municipio e che persino ottenne un primo via libera anche da Rete Ferroviaria Italiana (RFI), l’attuale proprietaria. La disponibilità di RFI poi venne meno e tutto si fermò, uscendo dai radar delle istituzioni e dell’attenzione pubblica, fino al corteo ecotransfemminista del 4 marzo.

A seguito di quel corteo e di quell’ingresso collettivo nello stabile, si diede vita allo spazio, organizzando assemblee, iniziative, laboratori, eventi a tema ecologista, transfemminista ma non solo. Favorita dal situarsi in un quartiere storicamente sensibile e attento a certe tematiche, l’occupazione della stazione fu subito ben accolta. Anche chi aveva precedentemente tentato di recuperare lo spazio fu grato per l’azione intrapresa e per aver agito al posto di istituzioni sempre inerti quando non ignave.

Con l’occupazione della stazione si riuscì a denunciare la presenza di un immobile abbandonato in un quartiere popolato e popolare, in cui mancano molti servizi di base. Allo stesso tempo si volle ribaltare la condizione di stabile abbandonato in una zona silenziosa soprattutto negli orari serali: una situazione potenzialmente rischiosa per le persone queer e femminilizzate. Molte persone pendolari infatti, alla fine della giornata di studio o lavoro, si affacciavano curiose all’interno dello spazio, ringraziando chi era presente e ribadendo quanto fosse più piacevole tornare verso casa la sera trovando la stazione illuminata e viva.

Tutto questo finì il 29 marzo, quando lo spazio venne sgomberato dalle forze di polizia. RFI – che si vanta nel proprio sito di aver dato a bando per uso sociale decine di locali e di ex-stazioni in tutto il paese ­ con ogni probabilità ritenne che nel caso della stazione Prenestina il margine per una futura valorizzazione a fini commerciali dello spazio fosse sufficientemente elevato per procedere allo sgombero senza ipotizzare alcun tipo di negoziazione.

Nei 25 giorni di occupazione più volte da parte della Laboratoria si tentò un contatto con la società del gruppo Ferrovie dello Stato, ma fu sempre rifiutato.

La Laboratoria nel corso del 2022 aveva dato vita a due occupazioni di un immobile abbandonato nel Parco della Caffarella, di proprietà della Regione Lazio. In entrambi i casi si era proceduto con uno sgombero nonostante l’apertura di un tavolo di discussione con le istituzioni coinvolte. L’idea di fondo del collettivo – liberare uno spazio per farlo vivere nella forma dell’autogestione e per dimostrare plasticamente l’intersezione tra ecologismo e transfemminismo, tra lotta di classe e lotta per l’ambiente – non solo è rimasta intatta, ma dai tempi dell’occupazione in Caffarella ha pure ispirato altre esperienze simili in Italia.

Giovedì 15 quindi, inizierà il processo con cui si vogliono processare poche persone ma in realtà viene attaccata quella che fu una invece istanza collettiva molto ampia, ben al di là anche della Laboratoria Berta Cáceres.

Si vuole processare pertanto una idea politica: la possibilità che uno spazio abbandonato possa essere autogestito con fini sociali e non commerciali ma soprattutto che i meccanismi virtuosi di partecipazione e collettivizzazione possano crescere, facendo crescere assieme a loro le pratiche ecologiste e transfemministe che la Laboratoria promuove.

Inutile dire che a distanza di quasi 12 mesi da quel 4 marzo la stazione Prenestina è tornata nel silenzio, nell’abbandono e nel triste buio serale che l’avevano contraddistinta per anni.

Immagini a cura di dinamopress